E il film si presta a molteplici, interessantissime, chiavi di lettura.
Uno degli aspetti sicuramente più interessanti è l'ossessiva ricerca della verità (il colpevole in questo caso), che "colpisce" uno ad uno i tre protagonisti (il giornalista, il poliziotto e soprattutto il vignettista): ossessione e verità sono due parole chiave del film e ossessione, se vogliamo, è un aspetto centrale nel cinema di Fincher.
Sono d'accordo.
Ma a parte questo è interessantissimo il parallelo tra verità e finzione. La scena in cui i protagonisti sono al cinema a vedere "Ispettore Callaghan: Il caso Scorpio è tuo" (ispirato realmente alle gesta di Zodiac) è esemplare, e mostra quanto sia coraggioso e controccorente il film di Fincher.
Il cinema americano ha sempre tentato di dare un nome, di controllare e eliminare "il deviante" (contrapponendogli giustizieri solitari come Dirty Harry), di fronteggiare "di petto" le proprie paure, e invece Fincher non mostra nulla. Il suo "Scorpio" non ha nome, non ha volto (nel film il killer è interpretato da ben quattro attori), non ha voce. Mark Ruffalo non è Clint Eastwood, è un essere umano come tanti altri, che brancola nel buio, alla vana ricerca della "verità".
L'ultima parte del film con il vignettista-Jake Gyllenhall che tenta di ricostruire il fitto e complesso mare di indizi disseminati dal killer, è davvero inquietante, perchè assolutamente priva di un nesso logico, di un filo conduttore. Sovraccarico di informazioni? Esatto. E lo spettatore è spaesato quanto i protagonisti del film, incapace di distinguere il bene dal male, prigioniero in un mondo in cui chiunque può essere uno "Zodiac" (bellissima, e assolutamente paurosa, la scena nello scantinato del proiezionista).
Se con "Panic Room" Fincher aveva appena accennato alle fobie paranoiche dell'America post 11, qui porta a compimento, con grande maturità (anche di regia, evitando il manierismo che permeava già i suoi ultimi film) il suo discorso.
Bello, bellissimo.