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Il sistema universitario nel sistema paese


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#101 ucca

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Inviato 08 marzo 2012 - 18:16

puoi trombare, si. ma solo per procreare altri lavoratori. Ci sono degli esami appositi degli spermatozoi che ti aiutano
a non perdere tempo con figli improduttivi che poi non riesci a piazzare.
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#102 Seattle Sound

    Non sono pigro,è che non me ne frega un cazzo.

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Inviato 08 marzo 2012 - 18:31

puoi trombare, si. ma solo per procreare altri lavoratori. Ci sono degli esami appositi degli spermatozoi che ti aiutano
a non perdere tempo con figli improduttivi che poi non riesci a piazzare.


Li sceglie scientificamente Baconi tralatro.
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Alfonso Signorini: "Hai mai aperto una cozza?"
Emanuele Filiberto: "Sì, guarda, tante. Ma tante..."
(La Notte degli Chef, Canale 5)

 

"simpatico comunque eh" (Fily, Forum Ondarock)

 

"passere lynchane che finiscono scopate dai rammstein"

"Io ho sofferto moltissimo per questo tipo di dipendenza e credo di poterlo aiutare. Se qualcuno lo conosce e sente questo appello mi faccia fare una telefonata da lui, io posso aiutarlo"
(Rocco Siffredi, videomessaggio sul web)


"Ah, dei campi da tennis. Come diceva Battiato nella sua canzone La Cura"


#103 Marguati

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Inviato 09 marzo 2012 - 08:53

Cioè lo Stato dovrebbe dirti "non fare lettere, non farlo ti prego, non essere egoista, non serve a niente lettere, fai economia che poi ti piace". E' ovvio che lo Stato
nel tuo ragionamento qualcosa dovrà fare. Sennò è un discorso poco produttivo! E noi alla produttività ci teniamo cazzo. La facoltà di lettere è un peso per lo Stato
generando laureati disoccupati? Intanto pensasse a ri-organizzarsi. Personalmente sto in un'università privata che usa professori del pubblico (ce ne sono di spettacolari) che a sua volta potrebbe fare la stessa cosa (organizzando corsi per aziende ad es.) ma non fa un cazzo. Sai perchè? Perchè se poi quello giovane viene richiesto piu' del barone come si fa, come lo giustifica? L'Università stessa invece potrebbe diventare lavoro, organizzare eventi (l'es. che ti facevo) se porta soldi, porta pure lavoro.
Detto ciò è chiaro che il laureato in economia trova piu' facilmente lavoro di quello in lettere. Ma anche per come è organizzato il nostro paese. Per come è abituato a svalorizzare le proprie materie prime (es. appunto il proprio patrimonio artistico).


non hai di nuovo capito niente, e la cosa mi stupisce perché in genere mi sembri sveglio. Sto parlando di responsabilità di un cittadino, again. Non è lo stato che dovrebbe piazzare i poliziotti dediti a fare la multa a chi butta le cartacce, sei tu che dovresti capire che è meglio non buttarle, perché avrai una città più sporca.


Vai pure a fare questo discorso ad un diciottenne che deve scegliere l'università, così ci facciamo quattro risate. Ma che cazzo vuoi che gliene freghi di produrre pil? Ma l'hai visto con quale livello di chiarezza di idee escono fuori dalle superiori gli studenti oggi? (soprattutto quelli dei licei)

Non voglio togliere tutte le responsabilità ad un giovane che deve scegliere il post-scuola dell'obbligo, ma cerchiamo anche di capire in che contesto crescono, quali sono le imposizioni dei genitori e della società, e quali i loro sogni (non nel senso inteso da Lapo Elkann), ma potrà almeno passare qualche anno prima che si rendano conto del casino in cui sono finiti o no? Poi son cazzi loro, ovvio, ma come si possa pretendere che le considerazioni che fai le capisca un bimbo di 18 anni è per me un mistero.


Onestamente, frega un cazzo. Se esci da un liceo senza sapere cosa fare al mondo la colpa potrà essere in parte di come è impostata (male) l'istruzione, ma resta anche tua. Sembra che stiate predicando uno stato-mamma che accudisce i suoi bambini in tutto e che li consola dicendogli che non è stata colpa loro. No, avete colpa anche voi.
In ogni caso hanno dei genitori che non hanno la scusa di essere ragazzi confusi.

Mandare i figli all'università a fare quello che gli piace era un lusso pre-crisi, adesso se si comincia a tirare la cinghia veramente, ci si penserà su due volte si spera.
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#104 il mistico

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Inviato 09 marzo 2012 - 09:02

ma, io non sono mai riuscito a comprendere quei genitori che accontentano i figli facendoli studiare fuori dalla propria città non ne capisco l'utilità, insomma la stessa laurea presa a palermo avrebbe avuto un valore aggiunto se fosse stata presa a firenze?
per me è assurdo oltre che anacronistico....mi sa di medioevo, quando tutti andavano a bologna o a parigi, o in quel di salerno per la medicina....
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#105 joseph K.

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Inviato 09 marzo 2012 - 09:12

Io mi sono laureato in filosofia è ho sempre lavorato, da ben prima di laurearmi. Senza contare che il buon vecchio corso di laurea in filosofia (palo di aimè più di 15 anni fa) aveva anche esami come: logica, filosofia della scienza, epistemologia, storia della medicina, socioeconomia... Per dire che le ore su Polanyi, Marx, Frege, Feyerabend, Hilbert ecc me le sono fatte pure io. A volte usciamo dai luoghi comuni: non è che se uno studia filosofia studia solo i nominalisti della Sorbona di Parigi del Trecento...
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Ora l'inverno del nostro scontento è reso estate gloriosa da questo sole di York, e tutte le nuvole che incombevano minacciose sulla nostra casa sono sepolte nel petto profondo dell'oceano.


#106 joseph K.

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Inviato 09 marzo 2012 - 09:16

ma, io non sono mai riuscito a comprendere quei genitori che accontentano i figli facendoli studiare fuori dalla propria città non ne capisco l'utilità, insomma la stessa laurea presa a palermo avrebbe avuto un valore aggiunto se fosse stata presa a firenze?
per me è assurdo oltre che anacronistico....mi sa di medioevo, quando tutti andavano a bologna o a parigi, o in quel di salerno per la medicina....


Perdonami ma una laurea presa all'Insubria di Varese ha un lievissssssimo valore in meno piuttosto che una laurea presa già solo alla Statale di Milano. Cioè ho visto esami che definire ridicoli è un complimento...
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#107 Giovanni Drogo

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Inviato 09 marzo 2012 - 09:23

Sembra che stiate predicando uno stato-mamma che accudisce i suoi bambini in tutto e che li consola dicendogli che non è stata colpa loro. No, avete colpa anche voi.


Leggi proprio bene i post degli altri, mi citi esattamente dove starebbe scritto anche solo implicitamente di uno stato-mamma? Deve cambiare l'istruzione cazzo, ma dalla A alla Z, dalle elementari fino all'università, altrimenti hai voglia a fare i tuoi discorsi.

ma, io non sono mai riuscito a comprendere quei genitori che accontentano i figli facendoli studiare fuori dalla propria città non ne capisco l'utilità, insomma la stessa laurea presa a palermo avrebbe avuto un valore aggiunto se fosse stata presa a firenze?
per me è assurdo oltre che anacronistico....mi sa di medioevo, quando tutti andavano a bologna o a parigi, o in quel di salerno per la medicina....


Non c'è nulla di anacronistico, spostarsi per prendersi una laurea decente e seguire dei corsi che ti insegnino davvero qualcosa è un imperativo, altro che medioevo.



Perdonami ma una laurea presa all'Insubria di Varese


Mammamia, che pena quell'università.
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Statisticamente parlando, non lo so.


#108 il mistico

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Inviato 09 marzo 2012 - 09:23

vorrei non essere frainteso, se uno abita in una città in cui non esiste il corso di studi che si vuole intraprendere, è normale che magari convenga trasferirsi anche per una questione di comodità..... se poi gli esami son ridicoli è un altro paio di maniche, la colpa non è mica degli studenti.
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#109 Giovanni Drogo

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Inviato 09 marzo 2012 - 09:28

vorrei non essere frainteso, se uno abita in una città in cui non esiste il corso di studi che si vuole intraprendere, è normale che magari convenga trasferirsi anche per una questione di comodità..... se poi gli esami son ridicoli è un altro paio di maniche, la colpa non è mica degli studenti.


Non è una questione di esistenza o meno del corso di studi che si vuole intraprendere, è che spostarsi è non solo necessità, ma anche virtù, andare a vivere in un altro posto anche solo per un limitato periodo di tempo e lontano dai genitori ti arricchisce, e ti permette di fare esperienze che ti perderesti alla grande rimanendo sempre nel buco in cui sei stato cresciuto.
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#110 joseph K.

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Inviato 09 marzo 2012 - 09:32

vorrei non essere frainteso, se uno abita in una città in cui non esiste il corso di studi che si vuole intraprendere, è normale che magari convenga trasferirsi anche per una questione di comodità..... se poi gli esami son ridicoli è un altro paio di maniche, la colpa non è mica degli studenti.


Eh ho capito ma gli studenti hanno (si spera) gli strumenti per capire che è meglio/ha più valore laurearsi in un posto piuttosto che in un altro. Altrimenti stiamo a casa e prendiamo la laurea con e-campus.
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#111 il mistico

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Inviato 09 marzo 2012 - 09:37

a me sembra un discorso discriminatorio nei confronti di quelle facoltà meno blasonate.
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#112 joseph K.

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Inviato 09 marzo 2012 - 09:43

a me sembra un discorso discriminatorio nei confronti di quelle facoltà meno blasonate.


Eh beh ma certo che lo è. Ma non delle meno "blasonate" ma delle meno serie e che danno una preparazione palesemente inferiore. O mi vuoi dire che la preparazione che ti dà l'università X è sempre e comunque uguale a qualsivoglia altra università?
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#113 il mistico

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Inviato 09 marzo 2012 - 09:54

guarda joseph, in italia abbiamo certe eccellenze che indubbiamente sono un buon biglietto da visita per tutti coloro che riescono li a completare gli studi, ma il ragazzo che soprattutto per motivi economici, non puo' permettersi simili trasferte per non straziare la già debole situazione finanziaria della sua famiglia, cos'altro può fare?, poi sappi che non è tutto oro quel che luccica, a volte è solamente una questione di bella nomina e basta, per certe università....magari ci sono delle belle realtà che vengono snobbate (snobbate con 2 b?) e che invece andrebbero valorizzate.
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#114 ucca

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Inviato 09 marzo 2012 - 10:15

non hai di nuovo capito niente, e la cosa mi stupisce perché in genere mi sembri sveglio. Sto parlando di responsabilità di un cittadino, again. Non è lo stato che dovrebbe piazzare i poliziotti dediti a fare la multa a chi butta le cartacce, sei tu che dovresti capire che è meglio non buttarle, perché avrai una città più sporca.

Proprio perchè ogni cittadino è libero, è libero di scegliersi il percorso di studi che gli pare, senza sentirsi in colpa. Sennò possiamo mettere dei confessionali ai lati delle aule dei corsi umanistici, con accanto un tutor che ti suggerisce qual è la retta via verso economia e commercio. "C'è troppa puzza di Dio qui dentro!".
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#115 oblomov

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Inviato 09 marzo 2012 - 11:12

il discorso è molto semplice. Il cittadino, lo Stato, ma chi se ne fotte di chi è la responsabilità, si prenda atto del fallimento del sistema universitario italiano. Alziamo le tasse, si leghi grossa parte dello stipendio ai risultati scientifici, si metta il numero chiuso in quelle facoltà in cui il placement post laurea è bassissimo, si liberino i concorsi degli amici, dei cugini ecc... (quelli da strutturato) si dia personale responsabilità al docente di gestire i soldi dei dottorati, tutti con borsa e tutti presi tramite colloquio, valutazione del progetto e cv e poi cazzi di chi butta i soldi, come succede nel 90% delle università occidentali.
Poi possiamo fare tutti i discorsi del mondo sull'incapacità di sfruttare il patrimonio o sulla stupidità del popolo bue.
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#116 combatrock

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Inviato 09 marzo 2012 - 11:24

Ma qualcuno ha preso in considerazione il piccolo particolare che l'università serve sì a creare competenze, ma anche a formare cittadini critici, consapevoli del vivere sociale e dei diritti, dei doveri, delle responsabilità che questo comporta ? E ad elevare il livello di conoscenza diffussa in questo paese asino, in cui una buona percentuale dei 20enni pensa che Aldo Moro sia stato ucciso da Al Qaeda ? Sennò qui si riduce tutto a un ufficio di collocamento... Poi, tutta quest'insistenza sulle prerogative dello stato nel normare e dirigere la vita dei cittadini a me preoccupa un po', ma anche da altre discussioni ho recepito che la libertà come valore fondamentale dell'esistenza è in netto declino, purtroppo. Per carità, una libertà che non può mai essere scissa da un forte senso di responsabilità personale e sociale (che appunto l'istruzione a ogni livello deve promuovere), però cazzo: 'sto mantra dello stato che deve fare questo e quello mi pare un po' una delega in bianco, che francamente non mi sento di dare a nessun professore tecnocrate della bocconi (tanto per fare un esempio in astratto). A parte il fatto che si potrebbe discutere pure sull'equivoco tra stato e governo, laddove del primo facciamo parte tutti ma del secondo no.
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#117 corrigan

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Inviato 09 marzo 2012 - 11:38

Ma qualcuno ha preso in considerazione il piccolo particolare che l'università serve sì a creare competenze, ma anche a formare cittadini critici, consapevoli del vivere sociale e dei diritti, dei doveri, delle responsabilità che questo comporta ? E ad elevare il livello di conoscenza diffussa in questo paese asino, in cui una buona percentuale dei 20enni pensa che Aldo Moro sia stato ucciso da Al Qaeda ?


none quello è compito della scuola secondaria.
se no l'università dovrebbero farla tutti. pensarla così mi sembra una prova della distorsione che ha avuto il ruolo dell'uni in Italia
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#118 combatrock

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Inviato 09 marzo 2012 - 11:47


Ma qualcuno ha preso in considerazione il piccolo particolare che l'università serve sì a creare competenze, ma anche a formare cittadini critici, consapevoli del vivere sociale e dei diritti, dei doveri, delle responsabilità che questo comporta ? E ad elevare il livello di conoscenza diffussa in questo paese asino, in cui una buona percentuale dei 20enni pensa che Aldo Moro sia stato ucciso da Al Qaeda ?


none quello è compito della scuola secondaria.
se no l'università dovrebbero farla tutti. pensarla così mi sembra una prova della distorsione che ha avuto il ruolo dell'uni in Italia


no no, il problema è tutto lì: l'università non è che ha un suo significato intrinseco, questa è una boiata. Come tutte le istituzioni e gli strumenti, dipende da cosa ne vogliamo fare. Se tu ritieni che sia un pre-ufficio di collocamento e selezione, va bene. Però è lungi dall'essere l'unico significato che l'istruzione superiore ha assunto nella storia anche recente (e non solo di questo paese).
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#119 corrigan

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Inviato 09 marzo 2012 - 11:52

ok ma se parliamo di strumenti mi sembra evidente che lo strumento più consono e più uniforme è proprio la scuola secondaria. tu i cittadini critici e coscienti devi formarli dai 14 ai 18, mica alla triennale di archeologia o di economia.
uno strumento ha una funzione, poi certamente puoi usare un cacciavite per premere il tasto di un telecomando.
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#120 combatrock

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Inviato 09 marzo 2012 - 11:55

ok ma se parliamo di strumenti mi sembra evidente che lo strumento più consono e più uniforme è proprio la scuola secondaria. tu i cittadini critici e coscienti devi formarli dai 14 ai 18, mica alla triennale di archeologia o di economia.
uno strumento ha una funzione, poi certamente puoi usare un cacciavite per premere il tasto di un telecomando.


ecco, vedi: la pensiamo in modo differente. per me la cittadinanza critica è materia di formazione permanente, probabilmente la più importante.
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#121 scirocco

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Inviato 09 marzo 2012 - 12:01

Ma è necessaria l'università per farsi una cultura?

Non esclusivamente, certo, i libri e la conoscenza ci accompagnano sempre. Ma se fatta bene, secondo me, dà un surplus di valore immenso che si trascina per tutta la vita: l'attitudine alla disciplina cognitiva e all'apertura mentale - nonchè contribuisce a tenerti sveglio ancora per diversi anni dopo il diploma, mica poco! Nessun lavoro, per quanto sofisticato, potrà mai darla. A mio parere, gli anni universitari - presi seriamente - danno un'impronta fondamentale a una persona, come una specie di marchio invisibile che traspare, però, inevitabilmente dallo sguardo che ha sul mondo. Una che ha fatto l'università lo riconosci istantaneamente dai dettagli di ciò che dice e da come lo dice. Certo, sto generalizzando, non sempre è così, anzi spesso si incontrano persone ben poco istruite ma di una lucidità e profondità d'esperienze ammirevoli, ma sono tendenzialmente rare.
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#122 combatrock

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Inviato 09 marzo 2012 - 12:02

Ma è necessaria l'università per farsi una cultura?

Non esclusivamente, certo, i libri e la conoscenza ci accompagnano sempre. Ma se fatta bene, secondo me, dà un surplus di valore immenso che si trascina per tutta la vita: l'attitudine alla disciplina cognitiva e all'apertura mentale - nonchè contribuisce a tenerti sveglio ancora per diversi anni dopo il diploma, mica poco! Nessun lavoro, per quanto sofisticato, potrà mai darla. A mio parere, gli anni universitari - presi seriamente - danno un'impronta fondamentale a una persona, come una specie di marchio invisibile che traspare, però, inevitabilmente dallo sguardo che ha sul mondo. Una che ha fatto l'università lo riconosci istantaneamente dai dettagli di ciò che dice e da come lo dice. Certo, sto generalizzando, non sempre è così, anzi spesso si incontrano persone ben poco istruite ma di una lucidità e profondità d'esperienze ammirevoli, ma sono tendenzialmente rare.


sono talmente d'accordo che, in ragione di questo, ho difficoltà a pensare di impedire a chiunque l'accesso all'università a prescindere.
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#123 corrigan

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Inviato 09 marzo 2012 - 12:10


ok ma se parliamo di strumenti mi sembra evidente che lo strumento più consono e più uniforme è proprio la scuola secondaria. tu i cittadini critici e coscienti devi formarli dai 14 ai 18, mica alla triennale di archeologia o di economia.
uno strumento ha una funzione, poi certamente puoi usare un cacciavite per premere il tasto di un telecomando.


ecco, vedi: la pensiamo in modo differente. per me la cittadinanza critica è materia di formazione permanente, probabilmente la più importante.


ma combat, che la cittadinanza critica sia "materia di formazione permanente" è ovvio, ma quel ruolo dovrebbe essere svolto dall'industria culturale, dai media, non dall'università.
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#124 combatrock

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Inviato 09 marzo 2012 - 12:14



ok ma se parliamo di strumenti mi sembra evidente che lo strumento più consono e più uniforme è proprio la scuola secondaria. tu i cittadini critici e coscienti devi formarli dai 14 ai 18, mica alla triennale di archeologia o di economia.
uno strumento ha una funzione, poi certamente puoi usare un cacciavite per premere il tasto di un telecomando.


ecco, vedi: la pensiamo in modo differente. per me la cittadinanza critica è materia di formazione permanente, probabilmente la più importante.


ma combat, che la cittadinanza critica sia "materia di formazione permanente" è ovvio, ma quel ruolo dovrebbe essere svolto dall'industria culturale, dai media, non dall'università.


Facciamo così: se al posto di "industria" ci metti "fabbrica", o ancora meglio "cantiere", sei molto vicino a definire l'università come la vorrei. Che poi stia ai media (?) o all'industria culturale (???) quel compito, mi dispiace ma mi pare che i fatti vadano da un'altra parte.
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#125 debaser

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Inviato 09 marzo 2012 - 12:29

Eh però non si scappa, se la formazione permanente te la dà l'università allora devi stare permanentemente all'uni asd
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Codeste ambiguità, ridondanze e deficienze ricordano quelle che il dottor Franz Kuhn attribuisce a un'enciclopedia cinese che s'intitola Emporio celeste di conoscimenti benevoli. Nelle sue remote pagine è scritto che gli animali si dividono in (a) appartenenti all'Imperatore, (b) imbalsamati, c) ammaestrati, (d) lattonzoli, (e) sirene, (f) favolosi, (g) cani randagi, (h) inclusi in questa classificazione, (i) che s'agitano come pazzi, (j) innumerevoli, (k) disegnati con un pennello finissimo di pelo di cammello, (l) eccetera, (m) che hanno rotto il vaso, (n) che da lontano sembrano mosche.
 
non si dice, non si scrive solamente si favoleggia


#126 combatrock

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Inviato 09 marzo 2012 - 12:34

Eh però non si scappa, se la formazione permanente te la dà l'università allora devi stare permanentemente all'uni asd


No: quello è un alibi per rimorchiare, per le sbronze e per le feste. Non ci provare asd
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#127 Infinite dest

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Inviato 09 marzo 2012 - 12:48

il discorso è molto semplice. Il cittadino, lo Stato, ma chi se ne fotte di chi è la responsabilità, si prenda atto del fallimento del sistema universitario italiano. Alziamo le tasse, si leghi grossa parte dello stipendio ai risultati scientifici, si metta il numero chiuso in quelle facoltà in cui il placement post laurea è bassissimo, si liberino i concorsi degli amici, dei cugini ecc... (quelli da strutturato) si dia personale responsabilità al docente di gestire i soldi dei dottorati, tutti con borsa e tutti presi tramite colloquio, valutazione del progetto e cv e poi cazzi di chi butta i soldi, come succede nel 90% delle università occidentali.
Poi possiamo fare tutti i discorsi del mondo sull'incapacità di sfruttare il patrimonio o sulla stupidità del popolo bue.

Non c'è alcun dubbio
Le responsabilità del cittadino e quelle delle istituzioni devono essere in decente equilibrio (come in qualunque democrazia compiuta ancorchè imperfetta), altrimenti che ne parliamo a fare: io la carta sull'asfalto non ce la butto, a patto che l'asfalto ci sia.
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 mi ricorda un po' Moro.

 

 

 

 

Con trepidazione vivo solo le partite dell'Inter.

 

 

 

Io non rispondo a fondo perchè non voglio farmi bannare, però una cosa voglio dirla: voi grillini siete il punto più basso mai raggiunto dal genere umano. Di stupidi ne abbiamo avuti, non siete i primi. Di criminali anche. Voi siete la più bassa sintesi tra violenza e stupidità. Dovete semplicemente cessare di esistere, come partito (e qui non ci si metterà molto) e come topi di fogna (e qui sarà un po' più lunga, ma cristo se la pagherete cara).

 

 


#128 astrodomini

    ...

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Inviato 09 marzo 2012 - 17:38

Ma cosa significa nei fatti formare una cittadinanza critica? Cosa dovrebbero fare i professori? Perché io di occasioni di confronto ne vedo, il problema è che solitamente gli studenti rispondono col mutismo o il timore manco fossimo nell'800.
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the music that forced the world into future


#129 oblomov

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Inviato 14 marzo 2012 - 10:20

RICETTE PER LA CRESCITA: PIÙ INGEGNERI E MENO FILOSOFI

di Nicola Persico

13.03.2012


La mancanza di sbocchi lavorativi per i laureati italiani è un problema serio. Tuttavia, a renderlo ancora più grave contribuiscono le scelte dei giovani, che spesso si orientano verso le facoltà umanistiche tralasciando quelle scientifiche o manageriali. Dovremmo invece seguire l'esempio di Singapore, un paese che non ha risorse naturali, ma che negli ultimi anni è cresciuto più dell'Italia. Perché ha investito nel capitale umano dei suoi giovani e oggi produce, in proporzione, il doppio dei nostri ingegneri e manager, un ottavo dei nostri avvocati e un quarto dei nostri umanisti.





Il Corriere della Sera ha di recente pubblicato un articolo dal titolo “I laureati italiani? Sempre più disoccupati”.(1) Ovviamente, la mancanza di sbocchi lavorativi in Italia è un serio problema. Però credo che sia reso ancora più grave dalla scelta improvvida della facoltà universitaria.

IL CAPITALE UMANO DI SINGAPORE

Nel 2004, quando insegnavo alla University of Pennsylvania, mi capitò sotto mano il libretto universitario più spettacolare che abbia mai visto: doppio major (laurea, diciamo) in economia e matematica, tutti A (il voto più alto possibile), e percorso universitario finito in tre anni invece di quattro. A chi apparteneva questo libretto? A Jasmin Lau, studentessa di Singapore, una delle due arrivate quell'anno a University of Pennsylvania con una borsa di studio dello Stato di Singapore.
L'aneddoto rivela un fenomeno più generale. Singapore sta facendo qualcosa di buono con i suoi studenti. Infatti, se guardiamo i punteggi Pisa del 2009 gli studenti di Singapore risultano secondi al mondo per capacità matematiche, mentre l’Italia è al trentaquattresimo posto in classifica. (2) Singapore è anche una delle nazioni cresciute più velocemente negli ultimi trenta anni, e infatti ha ampiamente scavalcato l'Italia per Pil pro-capite.(3) Le due cose sono collegate: Singapore cresce non perché abbia risorse naturali--non ne ha--ma perché ha capitale umano.

COSA STUDIANO A SINGAPORE?

E allora, se Singapore ha capito tutto dell'istruzione, perché non andare a guardare cosa studiano i suoi studenti? Mi riferisco in particolare alla distribuzione degli studenti fra le diverse discipline di studio perché una cosa che mi ha sempre colpito dell'Italia è quante persone studiano discipline come Filosofia, che hanno scarsi sbocchi lavorativi.
Ho perciò costruito la seguente tabella incrociando i dati Istat sulla tipologia delle lauree rilasciate nel 2004 da corsi di 4-6 anni, con i corrispondenti dati per Singapore. (4) Naturalmente per riconciliare le differenti classificazioni ho dovuto fare alcune scelte un po' arbitrarie, ma nulla che infici il messaggio di fondo. La tabella riporta le percentuali di laureati per disciplina. Si nota come i laureati italiani si concentrino su discipline umanistiche, mentre quelli di Singapore si concentrano su discipline scientifiche e manageriali.



Immagine inserita


Se prendiamo Singapore come un modello di una nazione che vive di capitale umano, che mi sembra debba essere la vocazione dell’Italia, vediamo che non solo c'è una differenza di livello di istruzione (vedi i punteggi Pisa), c’è anche una differenza di composizione della coorte dei laureati. Non è dunque troppo sorprendente che un sistema come quello di Singapore, che produce il doppio (in proporzione) dei nostri ingegneri e manager, un ottavo dei nostri avvocati e un quarto dei nostri umanisti, sia più capace di innovare e di crescere.

MA L'UMANESIMO PAGA?

Perché gli studenti italiani sono così sbilanciati a favore delle discipline umanistiche, non solo rispetto a Singapore, ma anche rispetto a qualsiasi concezione realistica della composizione della domanda di lavoro? È possibile che, in una maniera o nell'altra, tutti gli umanisti che produciamo se la passino meglio degli scienziati?
Per saperne di più mi rivolgo di nuovo all'Istat. La tabella seguente riporta un altro dato sul campione dei laureati italiani di cui alla tabella precedente: la percentuale dei laureati in ogni disciplina che, a tre anni dalla laurea, avevano un lavoro di tipo continuativo, dipendente, e a tempo indeterminato, il mitico "posto fisso" insomma.
La tabella evidenzia considerevoli discrepanze che vanno più o meno nella direzione che ci si aspetterebbe. Eccetto per i geo-biologi, i laureati in tutte le discipline scientifiche hanno una probabilità di impiego fisso superiore al 50 per cento, così come i laureati in discipline economico/manageriali. Nessun'altra disciplina raggiunge la soglia del 50 per cento.



Immagine inserita


Metto subito le mani avanti: la tabella dà un quadro troppo netto. Gli architetti, per esempio, non sono quasi tutti disoccupati: lavorano, e anche in modo continuativo; ma lo fanno come lavoratori autonomi (50,9 percento di essi, secondo l’Istat)mentre la tabella riporta solo i lavoratori dipendenti. Per questa ragione la tabella va interpretata con cautela. Ma, nonostante questa limitazione, credo che la misura che ho scelto sia comunque correlata con quello che intendo misurare, cioè la facilità per i laureati di trovare un buon lavoro stabile. (5)Tenendo a mente la cautela interpretativa, la tabella ci dà comunque un messaggio: le discipline umanistiche non pagano, quelle scientifico/manageriali sì. O, per essere più precisi, è più facile trovare un lavoro dipendente a tempo indeterminato laureandosi in scienze o economia, che non in discipline umanistiche.
In conclusione: è vero che è difficile trovare lavoro, però è vero anche che la popolazione investe nel tipo di capitale umano meno vendibile sul mercato del lavoro.


(1) L’articolo, pubblicato sul Corriere della Sera del 6 marzo 2012, riprende un rapporto di Almalaurea sul mercato del lavoro che è interessante e consiglio a tutti.

(2) Pisa, Programme for International Student Assessment, è un’indagine internazionale promossa dall’Ocse che mira ad accertare con periodicità triennale conoscenze e capacità dei quindicenni scolarizzati dei principali paesi industrializzati.

(3) Passando da un reddito pro capite pari al 40 per cento di quello Usa nel 1980, all'82 per cento nel 2010. Il rapporto Usa/Italia nello stesso periodo è rimasto praticamente invariato.

(4) Si veda, rispettivamente, "I laureati e il mercato del lavoro: Inserimento professionale dei laureati. Indagine 2007", a cura di Francesca Brait e Massimo Strozza. Prospetto 1.2, pag. 16. E Ang Seow Long, "Gender Differentials in Fields of Study among Graduates", Statistics Singapore Newsletter, September 2006.

(5) Misure che includono lavoro autonomo, occasionale, etc. sarebbero a mio giudizio meno utili perché sospetto che alcuni (molti?) di quegli architetti che si dichiarano lavoratori autonomi non abbiano abbastanza lavoro. Ecco perché ho preferito riportare la percentuale di lavoratori dipendenti come misura della facilità di trovare lavoro.

[/left]


http://www.lavoce.in...ina1002930.html

L'articolo è interessante nella sua miopia (paragonare singapore e l'italia neanche nei deliri più assurdi degli ultimi anni), e soprattutto da dei dati che io non sapevo, ad esempio che solo il 10% degli universitari italiani è in una facoltà umanistica strictu sensu, che diventa meno del 25 se ci aggreghiamo di tutto, tipo le discipline sociologiche e psicologiche.
  • 1
Soltanto chi non ha approfondito nulla può avere delle convinzioni.

#130 ArchieFisher

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Inviato 14 marzo 2012 - 11:57

Dal mio punto di vista (in quanto ingegnere più che precario da 4 anni) posso solo dire una cosa: in Italia ci saranno anche pochi studenti in ingegneria, ma sono comunque troppi rispetto alla domanda che c'è in Italia.
  • 1
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#131 signora di una certa età

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Inviato 14 marzo 2012 - 12:32

Dal mio punto di vista (in quanto ingegnere più che precario da 4 anni) posso solo dire una cosa: in Italia ci saranno anche pochi studenti in ingegneria, ma sono comunque troppi rispetto alla domanda che c'è in Italia.

ti ho dato un più di solidarietà e conforto, da parte di una filosofa a tempo indeterminato
  • 3

In realtà secondo me John Lurie non aveva tante cose da dire... ma molto belle


#132 ucca

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Inviato 14 marzo 2012 - 12:33

RICETTE PER LA CRESCITA: PIÙ INGEGNERI E MENO FILOSOFI

di Nicola Persico

13.03.2012



La mancanza di sbocchi lavorativi per i laureati italiani è un problema serio. Tuttavia, a renderlo ancora più grave contribuiscono le scelte dei giovani, che spesso si orientano verso le facoltà umanistiche tralasciando quelle scientifiche o manageriali. Dovremmo invece seguire l'esempio di Singapore, un paese che non ha risorse naturali, ma che negli ultimi anni è cresciuto più dell'Italia. Perché ha investito nel capitale umano dei suoi giovani e oggi produce, in proporzione, il doppio dei nostri ingegneri e manager, un ottavo dei nostri avvocati e un quarto dei nostri umanisti.





Il Corriere della Sera ha di recente pubblicato un articolo dal titolo “I laureati italiani? Sempre più disoccupati”.(1) Ovviamente, la mancanza di sbocchi lavorativi in Italia è un serio problema. Però credo che sia reso ancora più grave dalla scelta improvvida della facoltà universitaria.

IL CAPITALE UMANO DI SINGAPORE

Nel 2004, quando insegnavo alla University of Pennsylvania, mi capitò sotto mano il libretto universitario più spettacolare che abbia mai visto: doppio major (laurea, diciamo) in economia e matematica, tutti A (il voto più alto possibile), e percorso universitario finito in tre anni invece di quattro. A chi apparteneva questo libretto? A Jasmin Lau, studentessa di Singapore, una delle due arrivate quell'anno a University of Pennsylvania con una borsa di studio dello Stato di Singapore.
L'aneddoto rivela un fenomeno più generale. Singapore sta facendo qualcosa di buono con i suoi studenti. Infatti, se guardiamo i punteggi Pisa del 2009 gli studenti di Singapore risultano secondi al mondo per capacità matematiche, mentre l’Italia è al trentaquattresimo posto in classifica. (2) Singapore è anche una delle nazioni cresciute più velocemente negli ultimi trenta anni, e infatti ha ampiamente scavalcato l'Italia per Pil pro-capite.(3) Le due cose sono collegate: Singapore cresce non perché abbia risorse naturali--non ne ha--ma perché ha capitale umano.

COSA STUDIANO A SINGAPORE?

E allora, se Singapore ha capito tutto dell'istruzione, perché non andare a guardare cosa studiano i suoi studenti? Mi riferisco in particolare alla distribuzione degli studenti fra le diverse discipline di studio perché una cosa che mi ha sempre colpito dell'Italia è quante persone studiano discipline come Filosofia, che hanno scarsi sbocchi lavorativi.
Ho perciò costruito la seguente tabella incrociando i dati Istat sulla tipologia delle lauree rilasciate nel 2004 da corsi di 4-6 anni, con i corrispondenti dati per Singapore. (4) Naturalmente per riconciliare le differenti classificazioni ho dovuto fare alcune scelte un po' arbitrarie, ma nulla che infici il messaggio di fondo. La tabella riporta le percentuali di laureati per disciplina. Si nota come i laureati italiani si concentrino su discipline umanistiche, mentre quelli di Singapore si concentrano su discipline scientifiche e manageriali.



Immagine inserita


Se prendiamo Singapore come un modello di una nazione che vive di capitale umano, che mi sembra debba essere la vocazione dell’Italia, vediamo che non solo c'è una differenza di livello di istruzione (vedi i punteggi Pisa), c’è anche una differenza di composizione della coorte dei laureati. Non è dunque troppo sorprendente che un sistema come quello di Singapore, che produce il doppio (in proporzione) dei nostri ingegneri e manager, un ottavo dei nostri avvocati e un quarto dei nostri umanisti, sia più capace di innovare e di crescere.

MA L'UMANESIMO PAGA?

Perché gli studenti italiani sono così sbilanciati a favore delle discipline umanistiche, non solo rispetto a Singapore, ma anche rispetto a qualsiasi concezione realistica della composizione della domanda di lavoro? È possibile che, in una maniera o nell'altra, tutti gli umanisti che produciamo se la passino meglio degli scienziati?
Per saperne di più mi rivolgo di nuovo all'Istat. La tabella seguente riporta un altro dato sul campione dei laureati italiani di cui alla tabella precedente: la percentuale dei laureati in ogni disciplina che, a tre anni dalla laurea, avevano un lavoro di tipo continuativo, dipendente, e a tempo indeterminato, il mitico "posto fisso" insomma.
La tabella evidenzia considerevoli discrepanze che vanno più o meno nella direzione che ci si aspetterebbe. Eccetto per i geo-biologi, i laureati in tutte le discipline scientifiche hanno una probabilità di impiego fisso superiore al 50 per cento, così come i laureati in discipline economico/manageriali. Nessun'altra disciplina raggiunge la soglia del 50 per cento.



Immagine inserita


Metto subito le mani avanti: la tabella dà un quadro troppo netto. Gli architetti, per esempio, non sono quasi tutti disoccupati: lavorano, e anche in modo continuativo; ma lo fanno come lavoratori autonomi (50,9 percento di essi, secondo l’Istat)mentre la tabella riporta solo i lavoratori dipendenti. Per questa ragione la tabella va interpretata con cautela. Ma, nonostante questa limitazione, credo che la misura che ho scelto sia comunque correlata con quello che intendo misurare, cioè la facilità per i laureati di trovare un buon lavoro stabile. (5)Tenendo a mente la cautela interpretativa, la tabella ci dà comunque un messaggio: le discipline umanistiche non pagano, quelle scientifico/manageriali sì. O, per essere più precisi, è più facile trovare un lavoro dipendente a tempo indeterminato laureandosi in scienze o economia, che non in discipline umanistiche.
In conclusione: è vero che è difficile trovare lavoro, però è vero anche che la popolazione investe nel tipo di capitale umano meno vendibile sul mercato del lavoro.


(1) L’articolo, pubblicato sul Corriere della Sera del 6 marzo 2012, riprende un rapporto di Almalaurea sul mercato del lavoro che è interessante e consiglio a tutti.

(2) Pisa, Programme for International Student Assessment, è un’indagine internazionale promossa dall’Ocse che mira ad accertare con periodicità triennale conoscenze e capacità dei quindicenni scolarizzati dei principali paesi industrializzati.

(3) Passando da un reddito pro capite pari al 40 per cento di quello Usa nel 1980, all'82 per cento nel 2010. Il rapporto Usa/Italia nello stesso periodo è rimasto praticamente invariato.

(4) Si veda, rispettivamente, "I laureati e il mercato del lavoro: Inserimento professionale dei laureati. Indagine 2007", a cura di Francesca Brait e Massimo Strozza. Prospetto 1.2, pag. 16. E Ang Seow Long, "Gender Differentials in Fields of Study among Graduates", Statistics Singapore Newsletter, September 2006.

(5) Misure che includono lavoro autonomo, occasionale, etc. sarebbero a mio giudizio meno utili perché sospetto che alcuni (molti?) di quegli architetti che si dichiarano lavoratori autonomi non abbiano abbastanza lavoro. Ecco perché ho preferito riportare la percentuale di lavoratori dipendenti come misura della facilità di trovare lavoro.

[/left]


http://www.lavoce.in...ina1002930.html

L'articolo è interessante nella sua miopia (paragonare singapore e l'italia neanche nei deliri più assurdi degli ultimi anni), e soprattutto da dei dati che io non sapevo, ad esempio che solo il 10% degli universitari italiani è in una facoltà umanistica strictu sensu, che diventa meno del 25 se ci aggreghiamo di tutto, tipo le discipline sociologiche e psicologiche.



Certo, e perchè non paragonare il Polo Sud all'Italia. Io invece proporrei un altra ricerca
facciamo 10 priorità e 10 cazzate, e vediamo il numero di studi per priorità/cazzate e lo spazio che ricevono sui giornali.
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Mettere su un gruppo anarcho wave a 40 anni.


#133 Zpider

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Inviato 14 marzo 2012 - 12:37

Dal mio punto di vista (in quanto ingegnere più che precario da 4 anni) posso solo dire una cosa: in Italia ci saranno anche pochi studenti in ingegneria, ma sono comunque troppi rispetto alla domanda che c'è in Italia.


Boh, io non sono stato propriamente un fulmine e non ho avuto particolari meriti universitari ma nei 3 mesi successivi alla laurea, facendo ben pochi colloqui, ho ricevuto almeno 3 o 4 offerte dignitose... e così tutti i miei compagni di corso di cui ricordo il nome (pochi, non frequentando molto).Tutte prevedevano almeno un anno di "progetto" o forme di apprendistato ma erano comunque pagate decentemente e con la prospettiva di assunzione. Se poi avessi voluto spostarmi sarebbero state ben di più. Chiaro, dipende da ciò che si vuol fare... l'ingegneria ha settori più o meno richiesti.

Quello che ho visto in generale nelle persone che conosco è una certa rigidità nel cercare qualcosa di molto vincolato al corso di studio, non tanto perchè ci tenessero a fare quel mestiere, ma perchè "se no cosa l'ho studiato a fare": quindi nel caso di ingegneria no ruoli commerciali, no amministrativi, no settori limitrofi.. ect... ma spesso è proprio la figura tecnica nel ruolo non-tecnico ad essere più ricercata. (questo discorso me lo facevo pure io eh, e infatti sono un tecnico, ma ho avuto l'impressione che la richiesta maggiore fosse più spostata su altre cose che la maggioranza non vuole fare perchè si sente di dover fare " l' ingegnere").
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#134 ArchieFisher

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Inviato 14 marzo 2012 - 12:56

Nel mio primo commento sono stato piuttosto lapidario.
Effettivamente, la questione cambia molto da area geografica ad area geografica. A Firenze la situazione è pessima, ma a Milano, per dire, le cose vanno sicuramente meglio, idem a Genova (ci ho lavorato 6 mesi).
E comunque hai perfettamente ragione quando dici che "è proprio la figura tecnica nel ruolo non-tecnico ad essere più ricercata"; sia io che la maggior parte delle persone con cui ho studiato non facciamo lavoro tecnico (anche se le nostre aziende si ostinano a dire il contrario).

P.S. i miei discorsi non si applicano all'ambito informatico, i programmatori servono più del pane.
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#135 Giovanni Drogo

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Inviato 14 marzo 2012 - 20:01

RICETTE PER LA CRESCITA: PIÙ INGEGNERI E MENO FILOSOFI


Non che sia sbagliato prendere spunto dagli esempi più virtuosi per le proprie ricette, ma che senso ha un paragone con un posto come Singapore? Stiamo parlando di uno staterello piccolissimo con qualche milionata di abitanti tutti concentrati in una città fatta apposta per servizi finanziari, ricerca e sviluppo tecnologico, e di questa popolazione una persona su due viene da fuori apposta per motivi di lavoro o studio altamente qualificato.

Secondo la mia umilissima opinione attuale ricette di questo tipo, "più ingegneri e meno filosofi" sono una gran stronzata, o meglio, il problema delle facoltà umanistiche sta anche altrove, probabilmente se nelle università di lettere o filosofia o sociologia ci fosse lo stesso carico di studio che c'è in facoltà come ingegneria o medicina ci vanteremmo di avere dei laureati in lettere, perché ne uscirebbe fuori gente con capacità e preparazione un po' diversa (e ne uscirebbe meno).

Continuo poi a non capire il paradigma di seguire ciecamente quello che chiede il mercato. Se la scelta è fare una vita di merda sconfessando la propria attitudine personale e seguendo "il mercato" preferisco il coraggio di chi crede fino in fondo in una strada impervia senza alcuna garanzia statistica e percentuale di un lavoro, il mercato è anche frutto di queste scelte, non è una direzione unanime che bisogna prendere come capre, o perché qualche analista ha detto che per la società è meglio avere un tot di laureati in matematica e ingegneria.

Insomma, finché si parla di problemi quali corruzione o mancanza di cultura della legalità è un conto, quando si sconfina nel voler spiegare agli altri quali scelte devono fare mi pare si stia un po' esagerando.
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Statisticamente parlando, non lo so.


#136 Kaleir

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Inviato 17 marzo 2012 - 11:24

LA LUNGA ATTESA DELLA RIFORMA GELMINI

di Giliberto Capano 16.03.2012

La riforma dell'università è stata approvata più di un anno fa. Ma la legge 240 prevede un complesso intreccio di norme, già approvate o ancora da approvare, che rendono impossibile per ora un qualsiasi giudizio sui suoi effetti. Servono almeno altri tre o quattro anni perché entri a pieno regime. E dunque per capire se, come e dove il disegno riformatore inciderà effettivamente sul funzionamento del sistema universitario. Una lunga attesa sia per chi ha accolto con favore la legge Gelmini sia per chi ne ha rilevato fin dall'inizio alcune evidenti problematicità.

Sono passati quasi quindici mesi da quel 22 dicembre del 2010 in cui venne approvata definitivamente la riforma Gelmini dell’università. La legge 240/10 ha riscritto completamente l’architettura normativa del sistema universitario italiano, indugiando forse troppo in un’ansia iper-regolatrice che poteva rallentare notevolmente l’attuazione di principi generali. In effetti, per entrare completamente a regime, la legge Gelmini necessita dell’emanazione di almeno quarantacinque atti governativi (tra decreti legislativi, decreti ministeriali, regolamenti e decreti di natura non regolamentari) e di almeno quattordici atti regolamentari da parte di ciascuna università (che, ovviamente, sono tenute a emanare anche un nuovo statuto coerente con i principi costitutivi stabiliti dalla legge). Pertanto, come facilmente prevedibile, a più di un anno dalla sua entrata in vigore, la riforma è ancora in fase di carburazione ed è lecito aspettarsi che i motori potranno girare a pieno regime non prima del 2014.
GLI ATTI APPROVATI E QUELLI DA APPROVARE
Vediamo di capire il perché, cominciando dagli atti governativi. Al momento ne sono stati emanati ventiquattro e due, assolutamente strategici nel disegno attuativo, sono in dirittura d’arrivo: il primo riguarda i criteri per la selezione degli “abilitabili” e di coloro che possono aspirare a fare i commissari e il secondo la programmazione, il monitoraggio e la valutazione delle politiche di bilancio e di reclutamento degli atenei. Siamo insomma poco oltre la metà degli atti necessari.
Per quanto concerne gli statuti, invece, non siamo nemmeno a metà del guado, perché solo ventitré delle sessantasette istituzioni universitarie statali sono arrivate a emanare il loro statuto (e almeno tre di queste, Catania, Genova e Torino-Politecnico, hanno subito il ricorso al Tar del ministero). Certamente nei prossimi due o tre mesi tutte le università saranno riuscite a far entrare in vigore la loro nuova carta costituente, ma la lentezza del processo statutario inciderà ulteriormente sulla farraginosità della messa in opera proprio perché, per approvare la gran parte dei quattordici regolamenti interni necessari al funzionamento del nuovo regime, è necessario aver formalizzato il passaggio al nuovo statuto.
QUEL CHE RESTA DA FARE
Al quadro generale giova affiancare, per argomentare ancora meglio il fatto che la legge Gelmini comincerà a lavorare a pieno regime solo dal 2014, alcune altre puntualizzazioni.
Solo entro la fine dell’anno in corso, tutti gli atenei avranno completato le fasi basilari per l’adozione del nuovo impianto istituzionale imposto dalla legge 240: l’elezione dei nuovi senati, la formazione dei nuovi Cda, la prima attuazione della riorganizzazione dipartimentale, la costituzione, ove previste, delle strutture di raccordo per la didattica. È lecito aspettarsi, quindi, che la complessità della prima attuazione del ridisegno organizzativo interno necessiti di almeno un anno per riuscire a trovare assetti e modalità di funzionamento stabili.
Solo entro l’anno in corso (in teoria a ottobre) verrà bandito il primo concorso nazionale per l’abilitazione alle due fasce professorali. E quindi forse solo con l’inizio dell’anno accademico 2013-2014 avremo i primi professori selezionati con il nuovo sistema concorsuale, sulla base di concorsi locali per i quali ogni ateneo si deve dotare di regolamenti propri.
A partire dal 1º gennaio del 2014 le università dovranno adottare la contabilità economico-patrimoniale e analitica e il bilancio unico, quindi un sistema di governo e programmazione delle proprie finanze che non solo è decisamente diverso da quello attuale ma che ha anche profonde implicazioni organizzative e gestionali, al momento assai sottostimate negli atenei.
Il nuovo sistema stipendiale (fondato su scatti triennali attribuiti dagli atenei sulla base di regolamenti autonomi) potrà iniziare a essere utilizzato solo a partire dal 2014, visto il blocco degli stipendi in vigore fino al 31 dicembre del 2013 (e non a caso nessuna università ha ancora provveduto a ragionare sui criteri da adottare per gestire una competenza così rilevante, come quella della progressione stipendiale dei professori, sulla quale mai avevano avuto la minima autonomia).
Il nuovo sistema di accreditamento dei corsi di studio inizierà a entrare a regime (secondo quanto disposto dal Dlgs 19/2012, se l’Anvur emanerà gli atti necessari nei sei mesi previsti) a partire dall’anno accademico 2013-2014 e avrà bisogno di almeno un quinquennio per avere effetti sistemici sul comportamento delle università relativamente all’organizzazione e gestione della loro offerta formativa.
UN GIUDIZIO IMPOSSIBILE
Come si può capire, il processo di attuazione della legge 240/2010 è davvero ancora nella fase di assemblaggio di tutti gli elementi necessari alla sua operatività. E quindi non è possibile, per ora, alcuna valutazione sulla sua efficacia nel raggiungere gli obbiettivi previsti, come il miglioramento della qualità della governance e dell’accountability delle università; la competizione meritocratica tra le istituzioni universitarie ai fini del finanziamento pubblico, il miglioramento della qualità della didattica offerta. Gli unici dati a disposizione su cui discutere riguardano il contenuto delle norme adottate, sia dal governo sia dalle università. Ad esempio si può ragionare, e lo si farà certamente in modo approfondito nei prossimi mesi, su come gli atenei abbiano attuato nei loro statuti i principi posti dalla legge 240 relativamente alla composizione degli organi di governo e al ruolo e alle competenze dei dipartimenti e delle strutture di secondo livello. Oppure si possono analizzare le regole adottate in ogni ateneo per il reclutamento dei ricercatori a tempo determinato. Anche se, in moltissimi casi, è davvero difficile dedurre effetti pratici da norme spesso abbastanza generali fino a quando non le si vedrà in azione. Nulla di più.
Per il momento, quindi, è impossibile vedere effetti pratici, negativi oppure positivi, dal complesso intreccio di norme approvato e da approvare. Bisognerà attendere almeno altri tre o quattro anni per capire se, come e dove il disegno riformatore della legge 240 avrà davvero avuto un impatto sul funzionamento del sistema universitario. L’attesa è lunga, quindi, sia per chi ha accolto con favore il contenuto della legge Gelmini sia per chi ne ha rilevato fin dall’inizio alcune evidenti problematicità, dalla debolezza delle previsioni sull’assetto del governo degli atenei all’eccessiva minuzia regolativa.
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Ciao, io sono una firma.


#137 satyajit

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Inviato 25 aprile 2012 - 14:36

Di Università so poco o niente, non mi sono mai interessato particolarmente perché ritengo che i problemi del sistema-Italia siano altrove (in primis nell'impresa privata) e che migliorare l'istruzione terziaria servirebbe solo a formare meglio disoccupati, emigranti, operatori call-center con la laurea.

Tuttavia ultimamente mi sono imbattuto negli articoli di Giuseppe De Nicolao, che mi hanno aperto gli occhi su molti aspetti che la vulgata dà per scontati ma che sono semplicemente falsi.

Portando a sostegno una montagna di dati De Nicolao dimostra tra le tante altre cose che:

1) L'Italia spende una miseria per l'università, qualsiasi indice dell'Ocse venga preso in considerazione.
2) Nonostante la ben nota scarsità di risorse assegnate alla ricerca, L'Italia ottiene risultati sicuramente apprezzabili.
3) Il libro 'L'università truccata' di Perotti, volente o nolente base teorica per i tagli della riforma Gelmini, ispiratore di tanti editoriali sui principali quotidiani del paese (a firma Giavazzi, Bisin, ecc.), spesso citato anche in questo forum, in conformità al proprio titolo trucca i dati a piacimento.

Gli interventi di De Nicolao potete trovarli ad esempio qui:
http://www.roars.it/online/?author=8
Tutto il sito è interessante, ma non a livello dei sui articoli.

Qui i suoi commenti in un dibattito con alcuni economisti di scuola liberista:
http://noisefromamer...eppe-de-nicolao
Qualcuno gli dà ragione, qualcun altro reagisce in maniera scomposta... Enjoy

Ma sul web se ne trovano molti altri. Io consiglio di iniziare da questo, commenti compresi:
http://www.roars.it/online/?p=7092
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#138 oblomov

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Inviato 25 aprile 2012 - 14:44



riporto l'articolo di De nicolao, così lo leggiamo tutti

Diamo la parola ai dati

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Immagine inseritaImmagine inseritaAlberto Bisin e Alessandro De Nicola hanno pubblicato su Repubblica un catalogo di possibili e auspicabili tagli alla spesa pubblica. In tale contesto, menzionano anche l’università italiana, lamentandone scarsa efficienza ed auspicando maggiore competizione come panacea per migliorare la qualità e risparmiare denaro.


Una terapia efficace presuppone una diagnosi corretta. Pertanto, proviamo a sottoporre alla verifica dei fatti alcune affermazioni di Bisin e De Nicola per capire se le loro raccomandazioni si basano su una diagnosi riscontrata dai fatti.


È vero che l’università italiana produce poca ricerca?

Bisin e De Nicola scrivono:


“L’università continua a produrre … , anche se con alcuni distinguo, poca ricerca (Roberto Perotti docet)


Nel periodo 1996-2010, l’Italia è ottava al mondo come numero di pubblicazioni scientifiche e settima come numero di citazioni ricevute, si veda per esempio la seguente classifica di SCImago basata sul database Scopus.


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Se si considera che nella classifica del PIL 2010 l’Italia occupa la decima posizione, non si può dire che l’Italia produca poca ricerca. Se si restringe la finestra di osservazione agli anni recenti (per esempio il 2010), la posizione dell’Italia non cambia, a parte il sorpasso da parte della Cina per quanto riguarda le citazioni. Il buon livello degli atenei italiani in termini di citazioni è confermato anche dalla comparazione internazionale dei loro “impatti normalizzati” effettuata da SCImago (The research impact of National Higher education Systems), sulla base dei dati Scopus riportati nel World Report SIR 2010. Infatti, come già discusso in un precedente articolo, tutti gli atenei italiani tranne uno mostrano un impatto normalizzato superiore alla media mondiale.


Forse Bisin e De Nicola intendono dire che l’università produce poca ricerca in rapporto alle risorse impegnate. Tuttavia, anche in questo caso vengono smentiti dai fatti, come mostrato dai seguenti grafici tratti da un rapporto commissionato dal governo britannico (International Comparative Performance of the UK Research Base 2011, Fig. 6.2, pag. 65, Fig. 6.4, pag. 66).
Immagine inseritaL’efficienza viene calcolata dividendo l’output scientifico (articoli o citazioni) per la spesa in ricerca e sviluppo nel settore accademico (Higher education Expenditure on R&D – HERD). I grafici mostrano in modo chiaro che la ricerca universitaria italiana è più efficiente di quella francese, tedesca e giapponese sia come articoli prodotti che come citazioni ricevute.


Immagine inseritaBisin e De Nicola richiamano come fonte Roberto Perotti (L’università truccata, Einaudi 2008), il quale nel confronto tra paesi (Capitolo 3.2.b, pp. 31-32) dichiara che “l’università italiana non ha un ruolo significativo nel panorama della ricerca mondiale“. Mettendo da parte tutti gli altri indicatori bibliometrici (numero di articoli e di citazioni, h-index nazionale, quota di articoli ad alto impatto), unanimi nel porre l’Italia al settimo-ottavo posto mondiale, Perotti si basa su un solo indicatore, il cosiddetto fattore di impatto standardizzato, che è una misura normalizzata del numero di citazioni medie per articolo. Classificare le nazioni in base al numero medio di citazioni per articolo appare una scelta capziosa per diverse ragioni. In particolare, questo indicatore, non consente comparazioni sensate tra nazioni di diverse dimensioni ed è, pertanto, inadatto alla compilazione di classifiche. Per esempio, una veloce interrogazione di SCImago in data 13/04/12 mostra che la classifica 1996-2010 metterebbe al primo posto il Territorio Britannico dell’Oceano Indiano (costituito da sei atolli dell’arcipelago Chagos) seguito dalle Bermuda.


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Ciò nonostante, proviamo a stare al gioco di Perotti e, per evitare di dover competere con le Isole Fær Øer, la Guinea-Bissau e gli atolli di Tokelau, esaminiamo i dati forniti da SCImago restringendo l’attenzione alle prime 20 nazioni per numero citazioni nell’anno 2010.


Immagine inseritaSe consideriamo il numero di citazioni per articolo, in testa troviamo Svizzera, Danimarca, Olanda, Svezia, Belgio e Austria, nazioni relativamente piccole, ma che investono con convinzione in formazione e ricerca, seguite da Regno Unito, Germania, Stati Uniti e Canada. A non grande distanza, vengono Italia e Australia, che precedono la Francia e le restanti nazioni. Se consideriamo gli (scarsi) investimenti italiani in formazione e ricerca (come testimoniato dalle statistiche OCSE riportate nel seguito)si tratta di un risultato sorprendentemente buono.


A conferma della capziosità delle scelte di Perotti, che senso avrebbe lamentarsi che l’Italia stia al 12° posto in una classifica che assegna il primato mondiale a Danimarca e Svizzera relegando gli Stati Uniti al nono posto? Il lettore di Perotti non arriva a farsi questa domanda, perché l’autore evita di mostrare sia i numeri che le classifiche complete, limitandosi a fornire la posizione in classifica dell’Italia e una selezione dialcuni paesi che la seguono [1]. In particolare, Perotti omette di dire che secondo D. King (“The scientific impact of nations”, Nature 2004, Tabella 2), l’Italia è alla pari con la Francia, una nazione di dimensioni simili. È anche interessante notare che, tra i paesi che stanno dietro l’Italia, vengono menzionate solo le seguenti nazioni europee: Irlanda, Spagna, Portogallo, Grecia e Polonia. Perotti dimentica di informare il suoi lettori che nella Tabella 2 di King, dietro l’Italia finiscono anche Australia, Israele e Giappone e che il distacco dell’Italia da Canada e Finlandia è tutt’altro che abissale (1.12 contro 1.18).


Infine, Perotti ignora del tutto anche un altro indicatore, sicuramente più significativo del fattore di impatto standardizzato, ovvero come si ripartiscono tra le nazioni le pubblicazioni ad alto impatto scientifico, identificate come l’1% della produzione mondiale che riceve più citazioni. Sempre secondo King, nel periodo 1997-2001 l’Italia si colloca al settimo posto con il 4.31%.


Conclusione: affermare che l’università italiana produce poca ricerca è falso in termini di produzione assoluta ed ancor di più in rapporto alle (poche) risorse di cui dispone.


[1] “… lo stesso articolo di Nature mostrava l’Italia al tredicesimo posto; in Europa era davanti solo a Irlanda, Spagna, Portogallo, Grecia e Polonia” scrive Perotti a pag. 51 del suo libro. In realtà, nella Tabella 2 dell’articolo citato, l’Italia ha lo stesso punteggio della Francia che la precede in ordine alfabetico e pertanto la sua posizione sarebbe dodicesima-tredicesima a pari merito.




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Università sprecona oppure sottofinanziata?

Bisin e De Nicola scrivono:


E per i settori come la scuola, l’università e la sanità a quando l’iniezione di sostanziose dosi di concorrenza e merito? Perché pagare allo stesso modo il professore (o il medico) bravo e volenteroso e quello incapace e pigro? … La competizione salva denaro.


Bisin e De Nicola sono convinti che ci siano margini per risparmiare denaro nel settore dell’università. Una convinzione del tutto logica se l’università italiana fosse sovrafinanziata e sprecona come sostenuto da Roberto Perotti:


la spesa italiana per studente equivalente a tempo pieno diventa 16 027 dollari PPP, la più alta del mondo dopo USA, Svizzera e Svezia

R. Perotti, L’università truccata, Einaudi 2008, pag. 38

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Per capire cosa c’è di vero, controlliamo cosa dicono le statistiche OCSE esaminando due grafici tratti dall’edizione 2011 del rapporto “OCSE Education at a Glance”.


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Il primo grafico (Chart B2.2, pag. 227) riporta la spesa per l’università, espressa come percentuale del PIL. Si vede che gli USA sono la nazione che spende di più mentre l’Italia si trova ad essere 31-esima su 34 nazioni considerate con una spesa pari al 65% della media OCSE. Peggio di noi solo Repubblica Slovacca, Ungheria e Brasile. Per 28 nazioni del grafico, la spesa è disaggregata in tre componenti: istruzione in senso stretto, interventi di sostegno agli studenti (trasporti, vitto, alloggi) e ricerca e sviluppo. Se si considerano le spese di istruzione in senso stretto, l’Italia è 26-esima su 28 nazioni (Table B6.1, pag. 276).


Difficile pensare che siano possibili grandi risparmi senza precipitare nel terzo mondo. Tuttavia, dato che la percentuale di laureati tra i giovani italiani (20% nella fascia 25-34 anni) è bassa rispetto alla media OCSE (pari al 37% nella stessa fascia di età, vedi Chart A1.1 pag. 40), qualcuno potrebbe obiettare che la bassa spesa non esclude possibili sprechi, tesi effettivamente sostenuta da Roberto Perotti nel suo libroL’università truccata, a costo di ignorare alcune statistiche OCSE e di “ritoccarne” altre. Esaminiamo direttamente la statistica OCSE a suo tempo ignorata da Roberto Perotti.


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La figura (Chart B1.4, pag. 212) riporta la spesa cumulativa per studente lungo la durata media degli studi universitari (cumulative expenditure per student by educational institutions over the average duration of tertiary studies). L’Italia è 16-esima su 25 nazioni, con una spesa inferiore al 75% della media OCSE. Da notare che, come osservato dall’OCSE, la spesa cumulativa per studente lungo la durata media degli studi rimane la stessa a prescindere dalla velocità nella progressione degli studi ed ha quindi il pregio di non richiedere correzioni per il fenomeno degli studenti fuori corso e inattivi.


Roberto Perotti nel suo libro non riporta questa statistica OCSE e preferisce rivolgere le sue attenzioni alla spesa annuale per studente, un indicatore che è influenzato dalla durata degli studi ed il cui uso comparativo è esplicitamente sconsigliato [2]nell’edizione 2007 di OCSE Education at a Glance, utilizzata come fonte da Perotti. Il quale prosegue con un rocambolesco raddoppio della spesa italiana, giustificato in base ad una compensazione “fai-da-te” dei fuori corso effettuata solo per l’Italia. Possibile che a Perotti fossero sfuggite le spiegazioni, invero assai chiare, di Education at a Glance?


Conclusione: È difficile, se non impossibile, immaginare ulteriori risparmi, a parità di prestazioni, per l’università italiana che è una delle meno finanziate e con un costo per studente decisamente inferiore alla media OCSE. Da notare che questi dati si riferiscono al 2008 e non tengono conto dei tagli operati dal governo Berlusconi.


[2] “Both the typical duration and the intensity of tertiary education vary among OECD countries. Therefore, the differences among countries in annual expenditure on educational services per student (as shown in Chart B1.2) do not necessarily reflect the variation in the total cost of educating the typical tertiary student.” OCSE Education at a Glance 2007, pag. 178. Tale avvertimento continua ad essere presente anche nelle edizioni successive, si veda per esempio pag. 211 di Education at a Glance 2011.


Più fatti e meno propaganda

Le affermazioni di Bisin e De Nicola sull’università che abbiamo sottoposto a verifica non trovano riscontro nei fatti. Lasciamo ad altri verificare se il resto del loro articolo sia più aderente alla realtà.


Nota: Elaborare una valutazione statistica della consistenza numerica dei “concorsi farsa” (non è in dubbio la loro esistenza e deprecabilità, ma la diffusione del fenomeno) non è banale. Per le scienze “dure”, coperte dai database bibliometrici, si potrebbero esaminare gli indicatori bibliometrici dei vincitori. Non essendo possibile raccogliere dati completi in poche ore, lasciamo ad una prossima indagine la verifica di quanto risponda al vero l’affermazione di Bisin e De Nicola sulla “disarmante regolarità” dei concorsi farsa.

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#139 Ronald Regaz

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Inviato 28 aprile 2012 - 00:19

mi sono letto tutto il thread stamattina e per ora posso solo dire di esser rimasto esterrefatto dal credito dato all'idea per cui scopo dell'università dovrebbe essere l'incremento del PIL, per cui si auspicano riforme che scoraggino ufficialmente gli studenti dall'iscriversi a facoltà umanistiche.
trovo allucinanti simili concezioni...

no, non credo che l'università debba essere un parcheggio a tempo indefinito per gente inadatta allo studio, o un dormitorio per punkabbestia.
sì, sono il primo che vorrebbe riformare pesantemente (e in direzione tendenzialmente contraria alle ultime riforme) il sistema universitario italiano, organizzato spesso in maniera pietosa e inefficiente.

ma penso anche che la cultura vada coltivata senza la discriminante dell'immediato ritorno materiale/economico. e che uno abbia, vivaddio, il sacrosanto diritto di scegliere di studiare quel che gli pare! (chiaro che deve anche rivelarsene capace. io non sarei affatto contrario a rigorosi test d'ingresso per tutti i corsi di laurea, tanto per cominciare.)

ma l'idea che uno dovrebbe sentirsi un irresponsabile perché vuole studiare arte o lettere anziché fisica o ingegneria, proprio no.
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#140 oblomov

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Inviato 28 aprile 2012 - 09:28

ma dai, chi ha scritto irresponsabile? si dice solo che ci vadano dei correttivi (il numero chiuso, le tasse più alte) per far si che facoltà potenzialmente utilissime al Paese come quelle umanistiche non siano solo il parcheggio di una massa di persone inadatte allo studio che avrebbero fatto meglio, per loro e per tutti, ad andare a lavorare subito invece che perdere tempo a imparare male e superficialmente materie la cui applicazione pratica, per come le apprendono, è zero al cubo. E la cosa peggiore è che la massa di senza arte nè parte che frequenta facoltà umanistiche finisce per diluire il talento e le capacità di chi invece davvero potrebbe trarre molto di utile da quelle materie.
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#141 Giovanni Drogo

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Inviato 29 aprile 2012 - 09:05

E' d'attualità ultimamente il dibattito sulla validità di promuovere insegnamenti universitari italiani in lingua inglese:
http://www.accademia...tornata27.shtml

Nella pagina trovate anche alcuni documenti e articoli di chi è pro e chi è contro. Voi cosa ne pensate?

Io che seguo un corso di specializzazione in inglese sono dell'opinione che prima di fornire corsi tenuti in lingua inglese ci si dovrebbe accertare che i docenti la conoscano talmente bene da poter spiegare una materia con lezioni di livello universitario. Questo ahimé non succede, e spesso capitano docenti delle cui lezioni non riesci a comprendere una minchia. Non solo, non ha senso fornire corsi in inglese richiedendo un grado di conoscenza agli studenti pari o superiore ad un 59 del TOEFL, che è un livello terribilmente basso. Uno che prende anche un 70 come punteggio TOEFL arriva completamente impreparato nella comprensione di una lezione universitaria in inglese. Sommate l'ignoranza generalizzata dei docenti su questa lingua, più quella degli studenti ed otterrete delle lezioni di qualità pari ad un decimo rispetto alle stesse se tenute in italiano.

Insomma, sembra ormai una costante in Italia voler fare il passo più lungo della gamba, compiere operazioni di respiro internazionale quando mancano i fondamentali, o quando poi non c'è alcun controllo sulla qualità di come i servizi vengono erogati.
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#142 ms88

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Inviato 29 aprile 2012 - 15:26

Io che seguo un corso di specializzazione in inglese sono dell'opinione che prima di fornire corsi tenuti in lingua inglese ci si dovrebbe accertare che i docenti la conoscano talmente bene da poter spiegare una materia con lezioni di livello universitario. Questo ahimé non succede, e spesso capitano docenti delle cui lezioni non riesci a comprendere una minchia. Non solo, non ha senso fornire corsi in inglese richiedendo un grado di conoscenza agli studenti pari o superiore ad un 59 del TOEFL, che è un livello terribilmente basso. Uno che prende anche un 70 come punteggio TOEFL arriva completamente impreparato nella comprensione di una lezione universitaria in inglese. Sommate l'ignoranza generalizzata dei docenti su questa lingua, più quella degli studenti ed otterrete delle lezioni di qualità pari ad un decimo rispetto alle stesse se tenute in italiano.

Insomma, sembra ormai una costante in Italia voler fare il passo più lungo della gamba, compiere operazioni di respiro internazionale quando mancano i fondamentali, o quando poi non c'è alcun controllo sulla qualità di come i servizi vengono erogati.


Filosoficamente sono contrario a questa iniziativa che nasce dell'esigenza di far aumentare il numero di studenti stranieri nelle nostre universita' (questa invece e' cosa buona), mi spiego meglio: per incentivare la gente a venire in italia gli offri borse di studio succulente (un po' come fanno in alcuni paesi europei tipo francia/germania e soprattutto negli usa) poi ovviamente si impara la lingua del posto e questo secondo me e' un buon modo per rompere con l'egemonia culturale usa/anglosassone, insomma, specie dal punto di vista tecnico scientifico l'italia ha, e soprattutto DEVE!, avere voce in capitolo in ambito internazionale... Non si venga poi a dire che l'inglese e' lingua universale: i matematici francesi o russi (tra i piu' forti al mondo) ovviamente pubblicano nella loro lingua, se caso poi ti compri il libro tradotto
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#143 astrodomini

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Inviato 29 aprile 2012 - 15:45

lezione universitaria in inglese


Dai, un mio amico ha passato il TOFL con poco più del minimo e in Michigan era tra i migliori della sua classe. Io ho studiato due materie completamente in Inglese (docenti, libri di testo americani, interrogazioni e test in inglese, in classe praticamente solo inglese) dalla prima alla terza superiore senza particolari problemi (e non ne ho di grossi neppure ora nel seguire i seminari in inglese).
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#144 Giovanni Drogo

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Inviato 29 aprile 2012 - 15:53

lezione universitaria in inglese


Dai, un mio amico ha passato il TOFL con poco più del minimo e in Michigan era tra i migliori della sua classe.


Vuol dire che le lezioni non servivano a un cazzo. asd
Poi scusa, se si è trasferito in Michigan avrà imparato più inglese nel primo mese là che nel resto della sua vita.

Io ho studiato due materie completamente in Inglese (docenti, libri di testo americani, interrogazioni e test in inglese, in classe praticamente solo inglese) dalla prima alla terza superiore senza particolari problemi (e non ne ho di grossi neppure ora nel seguire i seminari in inglese).


Io sto parlando dell'importanza dei corsi tenuti in Italia in inglese, non centra niente la lettura di libri e paper in inglese, anche perché tra saper leggere documenti in inglese e saper ascoltare un docente universitario capendo i concetti che spiega c'è un abisso.
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#145 corrigan

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Inviato 29 aprile 2012 - 15:55

ma in generale i livelli di ammissione per i corsi universitari sono relativamente bassi dappertutto. io mi sono sempre regolato con l'IELTS rispetto che col TOEFL (trovo il primo più umano), e a Hong Kong University prendono con una overall band 7 (su 9) e con minimo 5.5 nelle prove singole. perfino a Cambridge, prendono con 7,5.
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#146 astrodomini

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Inviato 29 aprile 2012 - 16:04

anche perché tra saper leggere documenti in inglese e saper ascoltare un docente universitario americano capendo i concetti che spiega c'è un abisso.


I corsi erano tenuti da uno degli archeologi più famosi al mondo e il mio amico non ha avuto grossi problemi a seguirli e a capire. A me è capitato di assistere a seminari anche su tematiche complesse senza avere grossi problemi di comprensione (faccio fatica con chi ha un accento particolare e sul lessico specifico non archeologico), probabilmente se parlassi inglese ogni giorno o andassi a vivere in un paese anglosassone migliorerei molto velocemente. Come ti ho detto ho seguito lezioni in inglese per tre anni dai 14 ai 17, non di livello universitario ma comunque molto più serie e complicate di quelle italiane, e anche lì parlando ogni giorno e imparando il lessico non ho avuto grossi problemi.
Insomma non metto in dubbio che ci siano difficoltà ma con un po' di voglia e di allenamento ce la si può fare senza problemi!
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#147 Giovanni Drogo

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Inviato 29 aprile 2012 - 16:08

Sì, ma se gli stessi concetti li spiega una persona che non sa parlare bene l'inglese stiamo freschi.
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#148 Affen

    Paolo

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Inviato 29 aprile 2012 - 16:11

ma dai, chi ha scritto irresponsabile? si dice solo che ci vadano dei correttivi (il numero chiuso, le tasse più alte) per far si che facoltà potenzialmente utilissime al Paese come quelle umanistiche non siano solo il parcheggio di una massa di persone inadatte allo studio che avrebbero fatto meglio, per loro e per tutti, ad andare a lavorare subito invece che perdere tempo a imparare male e superficialmente materie la cui applicazione pratica, per come le apprendono, è zero al cubo. E la cosa peggiore è che la massa di senza arte nè parte che frequenta facoltà umanistiche finisce per diluire il talento e le capacità di chi invece davvero potrebbe trarre molto di utile da quelle materie.

aumento di tasse selettivo, solo per quel tipo università? conosco ingegneri laureati con 110 e lode che non sanno risolvere un problemino idiota di statica, eppure fanno il loro lavoro (mediocre) egregiamente. Non oso immaginare quelli laureati con 90 o peggio che razza di cani siano.
Non sarà che tutte queste persone si riversano in università umanistiche perché hanno ricevuto una preparazione pessima? Non sarà che rimangono dei cani anche all'università perché è questo genere di sistema ad essere sbagliato? No, si aumentano semplicemente le tasse così possono permettersi una formazione di quel genere solamente i ricchi e qualche autistico. Fantastici anche i rigorosi test d'ingresso in modo che possa accedere all'università solamente chi abbia ricevuto una formazione adeguata in precedenza, così magari ci sono un po' meno plebei, che d'altronde fanno sempre schifo.
Il test d'ingeresso dovrebbe essere un'ottima istruzione di base, garantito a tutti dallo stato, indipendentemente dallo stato economico e culturale di provenienza.
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#149 oblomov

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Inviato 29 aprile 2012 - 16:24


ma dai, chi ha scritto irresponsabile? si dice solo che ci vadano dei correttivi (il numero chiuso, le tasse più alte) per far si che facoltà potenzialmente utilissime al Paese come quelle umanistiche non siano solo il parcheggio di una massa di persone inadatte allo studio che avrebbero fatto meglio, per loro e per tutti, ad andare a lavorare subito invece che perdere tempo a imparare male e superficialmente materie la cui applicazione pratica, per come le apprendono, è zero al cubo. E la cosa peggiore è che la massa di senza arte nè parte che frequenta facoltà umanistiche finisce per diluire il talento e le capacità di chi invece davvero potrebbe trarre molto di utile da quelle materie.

aumento di tasse selettivo, solo per quel tipo università? conosco ingegneri laureati con 110 e lode che non sanno risolvere un problemino idiota di statica, eppure fanno il loro lavoro (mediocre) egregiamente. Non oso immaginare quelli laureati con 90 o peggio che razza di cani siano.
Non sarà che tutte queste persone si riversano in università umanistiche perché hanno ricevuto una preparazione pessima? Non sarà che rimangono dei cani anche all'università perché è questo genere di sistema ad essere sbagliato? No, si aumentano semplicemente le tasse così possono permettersi una formazione di quel genere solamente i ricchi e qualche autistico. Fantastici anche i rigorosi test d'ingresso in modo che possa accedere all'università solamente chi abbia ricevuto una formazione adeguata in precedenza, così magari ci sono un po' meno plebei, che d'altronde fanno sempre schifo.
Il test d'ingeresso dovrebbe essere un'ottima istruzione di base, garantito a tutti dallo stato, indipendentemente dallo stato economico e culturale di provenienza.


Aumento delle tasse universitarie in generale (usandone buona parte per borse e sostegno a chi non può permetterselo e merita che lo Stato lo sostenga) e numero chiuso legato all'effettiva richiesta di quei laureati.
Ti sfugge che:
a. l'università non è obbligatoria e se uno non ha le capacità/l'interesse di formarsi ulteriormente può anche andare a lavorare, e fa solo bene a sè stesso.
b. l'università non dovrebbe formare persone colte ma specialisti, se si perde metà del tempo a spiegare le basi che preparazione vuoi che si possa raggiungere? mediocre, nel migliore dei casi
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#150 ms88

    Roadie

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Inviato 29 aprile 2012 - 16:29

aumento di tasse selettivo, solo per quel tipo università? conosco ingegneri laureati con 110 e lode che non sanno risolvere un problemino idiota di statica, eppure fanno il loro lavoro (mediocre) egregiamente. Non oso immaginare quelli laureati con 90 o peggio che razza di cani siano.
Non sarà che tutte queste persone si riversano in università umanistiche perché hanno ricevuto una preparazione pessima? Non sarà che rimangono dei cani anche all'università perché è questo genere di sistema ad essere sbagliato? No, si aumentano semplicemente le tasse così possono permettersi una formazione di quel genere solamente i ricchi e qualche autistico. Fantastici anche i rigorosi test d'ingresso in modo che possa accedere all'università solamente chi abbia ricevuto una formazione adeguata in precedenza, così magari ci sono un po' meno plebei, che d'altronde fanno sempre schifo.
Il test d'ingeresso dovrebbe essere un'ottima istruzione di base, garantito a tutti dallo stato, indipendentemente dallo stato economico e culturale di provenienza.


Premesso che per esperienza (studio matematica alla magistrale e ora sono borsista sissa/universita' di trieste) la stragrande maggioranza delle persone che consosco non e' minimamente in grado di svolgere un problema preso da un libro di testo... personalmente penso che il deterrente siano esami piu' difficili e selettivi (voglio dire, un sacco di gente si laurea con 110 e lode, ma poi e' davvero meritato???) non lo dico assolutamente per vantarmi ma mi sono laureato a pisa con buoni risultati (anche se un anno fuori corso, ma con degli esami in surplus, cosa che secondo me non e' affatto negativa a vantaggio di una buona preparazione) e una volta giunto a trieste tutti i nuovi compagni erano laureati in pari e con alti voti... pero' secondo voi chi ha passato il test di ammissione per la borsa??? Ritengo che l'aumento delle tasse/numero chiuso e' una cosa molto sbagliata perche' consente solo a chi se lo permette di pascolare (senza un minimo controllo sulla qualita' della preparazione), se no nisba... insomma non vedo un nessun tipo di miglioramente del livello (che, a livello prettamente scientifico, sarebbe decisamente auspicabile), inoltre cozza con le esigenze di chi (ad esempio me) ha famiglia con reddito molto basso e per vari motivi non e' riuscito a finire in pari (cosa che secondo me e' troppo sopravvalutata)
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