- logica-linguistica: cioè tutta la roba studiata dalla filosofia analitica, in soldoni. la rispetto ma non mi appassiona. le riconosco comunque una funzione strumentale importante, tener pulito l'armamentario del ragionamento. ma poi bisognerà pur ragionare su qualcosa. in particolare, di tutte le questioni linguistiche preferisco si occupino, veh un po', i linguisti.
In fondo mi è andata meglio che ad altri
Sulla 'funzione strumentale', un lievissimo fastidio mi è sempre stato causato da chi mi fa implicitamente capire che, essendo la filosofia analitica 'meramente strumentale', meglio farei ad occuparmi d'altro (tipo l'etica, che è anche per me l'ambito pedagogicamente più rilevante). Ma se il mio talento va lì? Se quando si parla di filosofia del linguaggio riesco a tirare fuori buone idee, perché dovrei scrivere del destino dell'uomo nel mondo, argomento infinitamente più interessante ma su cui non ho niente di nuovo da dire?
Ma questa è una questione personale.
Invece qualcosa da dire lo avrei su "metafisica e supercazzole". Premettendo che questa è una idea mia: ma penso proprio che, in qualsiasi ambito si faccia filosofia, andando abbastanza oltre inevitabilmente si incappa in questioni ontologiche (e di converso, partendo dalla ontologia e andando abbastanza in fondo non si può fare a meno di trovarsi tra le mani una logica, un'etica ecc.). Le questioni si richiamano l'una con l'altra, e quindi non sono neanche d'accordo con l'affermazione che la filosofia non sia unitaria, sia costituita di ambiti distinti (lo sembra essere per l'enorme ampiamento del campo, per la specializzazione accademica, e soprattutto se si prendono le teorie filosofiche 'da utenti' senza provare a teorizzare a propria volta). E al fondo di questi richiami ci sono strutture concettuali notevolmente astratte che si mostrano non tanto in un insieme di affermazioni quanto nel modo di organizzare principi, leggi e concetti in ogni altra disciplina.
E qui rientra in gioco l'ontologia.
Non so, ho come l'impressione che per molti 'metafisica' sia un sinonimo di filosofia naturale, una specie di surrogato della scienza che gioca sullo stesso terreno, o al limite una disciplina separata con leggi diverse e più 'generali'. Cosa che è (o è stata), anche, in parte, come suo ambito di applicazione privilegiato. Ma questo è solo un aspetto.
Ad esempio, quando dite che a far l'ontologia oggi sono gli scienziati: sono d'accordo, in parte. Ma intendiamoci: non è la teoria scientifica a prendere il ruolo funzionale dell'ontologia, ne è la struttura categoriale in cui è espressa. Semplificando al massimo: l'ontologia degli scienziati non è la fisica delle particelle, è la matematica; e la loro metafisica non è la teoria del multiverso, è l'uso del concetto di causa e le peculiari declinazioni di esso nella pratica scientifica.
E sono d'accordo in parte perché da altri ambiti disciplinari possono nascere altre ontologie. La logica e l'analisi linguistica, in Russell e in Wittgenstein diventano un'ontologia. Che poi si è esplicata nel modo di strutturare il discorso matematico. L'analisi della vita emozionale umana, in Heidegger, diventa un'ontologia. Che poi si è esplicata in un modo di vedere il linguaggio poetico (tra le altre cose) come emancipato dal legame ai linguaggi denotativi. E così via.
E studiando Peirce mi sono affacciato a una semiotica che è un'ontologia, capace di assorbire e l'ontologia degli analitici e un buon numero di istanze dei continentali. Peccato che sia rimasta un'opzione di minoranza.
E pure per quanto riguarda certi "trip dei continentali", per cui ho sempre avuto un'istintiva antipatia: leggendoli con alle spalle una conoscenza più ampia della storia della filosofia, che è una premessa indispensabile al loro uso proficuo (e qui sono d'accordo, questa estrema referenzialità ad altri testi è un limite, non un pregio), mi sono accorto quanto nei loro voli pindarici da un ambito all'altro ci sia la tensione a individuare strutture soggiacenti, che (a un grado sufficiente di astrazione) sono formalmente simili. Un percorso magari metodologicamente poco rigoroso ma indubbiamente produttivo.
Anni fa, leggendo un libro di Paul Veyne, ho trovato un esempio di applicazione di uno di questi motivi 'ontologici' (preso da Deleuze, ho capito poi, o meglio dalla lettura deleuziana di Bergson). Era introdotto con un esempio fisico, superficiale e inesatto e che fa sospettare come questo motivo cozzi con l'ontologia soggiacente alle scienze fisiche; ma era poi applicato a una circostanza storica, mostrando una via nuova e molto liberatoria alla costituzione dei fatti storici, del discorso storico.
E concludo questo trip fatto di supercazzole dicendo che (sempre come idea personale) non ritengo indispensabile l'ontologia per 'dare un fondamento' alle altre discipline. La ritengo indispensabile perché ogni disciplina, ogni discorso, ha la tendenza ad 'autofondarsi', a darsi una ontologia implicita, e quindi fare della ontologia esplicita quando si studia un qualsiasi ambito serve a scoprire le carte.
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