Il Portogallo sprofonda, evviva il PortogalloScrivere di un posto dove apparentemente non succede nulla non è molto facile. Si finisce con l’essere ripetitivi. I sondaggi non annunciano prossimi terremoti elettorali, non ci sono nuovi partiti in ascesa e quelli vecchi mantengono, bene o male, inalterati i loro equilibri. A movimentare, poco direi, le acque, la sentenza con cui il Tribunale Costituzionale annulla il taglio delle tredicesime operato esclusivamente contro il pubblico impiego: ci sarebbe infatti una violazione flagrante di un principio di uguaglianza. Il primo ministro José Passos Coelho annuncia quindi che verranno tagliate le tredicesime anche nel settore privato e l’eguaglianza verrà prontamente ristabilita.
Fmi e Ue sono già con i loro fucili spianati a minacciare tranches e ramanzine se al più presto da Lisbona non arriveranno spiegazioni e, soprattutto, manovre correttive. Insomma: nulla di nuovo sul fronte occidentale. Da un mese all’altro basta aggiornare i dati e il punto della situazione è fatto: aumento del deficit (all’8%), aumento del debito di 5,8 miliardi di euro (circa il 113% del Pil), aumento della disoccupazione (dal 14% al 14,9% in poche settimane) diminuzione del Pil (solo nel primo trimestre dell’anno ha segnato un -2,2%), aumento dell’inflazione del 2,7% e diminuzione delle entrate fiscali: -300 milioni di euro solo nel trimestre scorso. Insomma, all’orizzonte si intravede un probabilissimo ulteriore giro di vite nelle politiche di restrizione del bilancio.
Peccato perché solo a gennaio il governo solennemente annunciava: il 2012 segnerà l’inizio della fine della crisi. Anche perché se è vero che l’avanzo primario sia in decisa crescita ogni sforzo è vanificato dagli aumenti esponenziali dei tassi di interesse sul debito che segnano: +80% (i tabloid dei paesi virtuosi AAA potrebbero ricordare ai loro lettori che prendere soldi allo 1% e prestarli al 5 è in fin dei conti un buon affare). Nonostante numeri da brivido, i grandi leader mondiali si mostrano soddisfatti con i risultati ottenuti dal Portogallo: da Li Keqiang, vice-premier cinese, a Christine Lagarde direttrice del Fondo Monetario, passando per Olli Rehn, commissario agli Affari Economici e Monetari, ed Herman Van Rompuy presidente del Consiglio d’Europa. Eppure i dati citati non dovrebbero esser loro sconosciuti essendo pubblicati sui siti del Banco de Portugal, dell’Instituto Nacional de Estatistica e dall’Instituto de Gestão da Tesouraria e do Crédito Público: ovvero tutti organismi statali. Ci si potrebbe chiedere sulla base di quali misteriosissimi dati in loro possesso il Portogallo sarebbe incamminato sulla buona strada nella direzione di un prossimo rilancio. Forse pensano all’aumento delle esportazioni?
Già è vero le esportazioni sono aumentate, ma guarda un po’ l’indice di produzione industriale diminuisce del 6,7% in maggio. E infatti se dalle percentuali passiamo ai dati assoluti il Portogallo ha esportato per il mese di aprile del 2011 3.440.000 e nell’aprile del 2012 beni e servizi per 3.535.000! Il miglioramento del disavanzo nella bilancia dei pagamenti è in gran parte concentrato su di una riduzione drastica delle importazioni, 5 miliardi nell’aprile dello scorso anno 4 miliardi e mezzo nell’aprile scorso? Il risultato però mi sembra più da associare alla radicale diminuzione del potere di acquisto che non ad un incremento della capacità di produrre beni, e infatti le vendite al dettaglio segnano un -5%.
Trai paesi in cui la bilancia è maggiormente deficitaria vale la pena segnalarne due: Spagna 600 milioni e Germania 100. Die Bild, che ama sempre soffiare sul fuoco e strillare contro i paesi del sud Europa, non si ricorda mai di dire ai suoi testé citati assatanati lettori che parte del loro lavoro dipende dai compratori portoghesi e che forse chiudere i rubinetti, come loro vorrebbero, potrebbe non essere molto conveniente. Come fa il governo a difendere l’indifendibile? Un dialogo, oramai datato, tra il ministro della finanze tedesco Wolfgang Schäuble e quello portoghese Vitor Gaspar, tuttora disponibile su You Tube, potrebbe forse fornire alcune chiavi interpretative. Il video era stato ripreso di nascosto durante una riunione dell’Eurogruppo dello scorso febbraio. Schäuble si mostra soddisfatto delle misure adottate dal suo omologo portoghese e promette un aiuto.
Una revisione dei tempi e dei modi per la restituzione del debito? Chissà, quel che è certo la Germania si mostrava disponibile con quello che è senza dubbio il suo allievo prediletto, quello che i compitini a casa, per usare una espressione tanto cara alla cancelliera Merkel, li fa tutti e ci aggiunge pure del suo. Dopotutto anche se i conti saranno ancora più disastrati di adesso una formula, un eufemismo che spieghi senza rivelare, lo si troverà, anche perché diciamocela tutta: è davvero difficile capire quello che succede negli intricatissimi meandri dei bilanci statali ed un po’ di maquillage, al momento opportuno, potrebbe risolvere tanti problemi.
Così, da quel che emerge, la Germania più che premiare i risultati premierebbe il conformismo e la fedeltà. Perché se c’è un punto su cui non ci sono dubbi è la tenacia e la precisione con cui il governo di Pedro Passos Coelho sta applicando tutte le misure previste nel memorandum concordato con la troika.
Anzi, l’opposizione di sinistra, generalmente molto timida, su questo punto si mostra più combattiva, e accusa il centrodestra di voler strafare, adottando misure ancora più draconiane di quelle proposte dall’Europa e dall’Fmi. Per capire cosa sta succedendo in Portogallo si può provare ad adottare una differente prospettiva e guardare alle politiche di austerità non come misure per rilanciare l’economia ma come un vero e proprio progetto politico di riscrittura dei precedenti equilibri. In questo senso il quadro si fa davvero ben più inquietante. Facciamo un passo indietro: la dittatura salazarista si è basata sempre su un assioma incrollabile: ogni sviluppo economico dev’essere rigidamente sottomesso al rigido mantenimento degli equilibri sociali.
Cioè, detto in altre parole: meglio rimanere poveri che provocare un terremoto che alla lunga possa minare la stabilità della dittatura. Lo sviluppo economico c’è stato, questo è innegabile, ma il Portogallo è uscito dalla dittatura rimanendo il paese europeo di gran lungo più povero. Dal 25 aprile del 1974 al marzo del 2011 tutti i governi che si sono succeduti hanno avuto per obiettivo quello di colmare le differenze portoghesi col resto dell’Europa: più stato sociale, più istruzione, salari più alti, garanzie di lavoro. Insomma, il Portogallo avrebbe dovuto diventare un paese conosciuto per il suo paesaggio, per la sua cultura, per le sue città e non più per essere quel posto dove sembra di fare un tuffo indietro negli anni ’50.
I risultati sono stati notevoli, anche se la sperequazione tra ricchi e poveri si è mantenuta alta, i portoghesi oggi hanno livelli di vita decisamente migliori rispetto al passato, la salute pubblica ha ottenuto risultati incoraggianti, i salari sono più alti, le garanzie sono migliori e, soprattutto, grandissimi investimenti sono stati fatti sull’istruzione. L’austerità come politica interviene a modificare quella che da 40 anni è stata la colonna portante della democrazia portoghese: lo sviluppo.
Chi è troppo formato viene invitato dal primo ministro a trovarsi un lavoro all’estero perché il Portogallo deve tornare a essere quello che era prima: un paese povero, un paese di miseria, un paese sottosviluppato. I salari dei dipendenti pubblici sono stati «temporaneamente» tagliati del 30% e nulla indica che il temporaneo non sia in realtà definitivo, così come i tagli possano estendersi anche al settore privato. Un paese di miseria perché l’accesso ai servizi sociali viene drasticamente ridimensionato, meno sanità gratuita, meno ospedali, asili più costosi, più giorni di lavoro e meno garanzie.
C’è un aspetto in particolare che mostra la ferocia di questo governo: imporre alle imprese di costituire un fondo per finanziare il licenziamento dei lavoratori. o meglio, la flessibilità in uscita. Un paese sottosviluppato perché se ai più “bravi”, a quelli che maggiormente potrebbero contribuire a una economia competitiva, viene detto di andarsene all’estero a rifarsi una vita questo vuole semplicemente dire che qui la classe dirigente, sta scommettendo su un modello economico basato esclusivamente sulla mano d’opera a bassissima qualificazione. Le politiche ispirate all’austerità il Portogallo le conosce bene, meglio di chiunque altro, perché il vecchio dittatore Antonio Oliveira Salazar rappresenta il simbolo per antonomasi a di questo approccio macro-economico. Lui che neanche si era sposato pur di dedicarsi a tempo pieno ai “fedeli” della sua “parrocchia”.
Lui che aveva un modello di vita morigerato, che mai lo si vedeva nelle occasioni mondane, lui che nei fine settimana tornava nella sua spartana casa di campagna a Santa Comba Dão. I conti portoghesi sotto la dittatura erano, prima dello scoppio della guerra coloniale, tra i migliori al mondo, immense riserve di oro sono state trovate nei cauveaux del Banco de Portugal quando la dittatura era finita. Il rapporto Pil/debito pubblico è sceso dal 60% nel 1930, momento della presa del potere, al 15% quando la dittatura è crollata. Non esisteva stato sociale ma il paese aveva soldi da spendere e sono stati spesi dopo il 25 aprile per costruire ex-novo proprio quello stato sociale di cui Salazar aveva tanta paura.
Probabilmente è a quel paese che si sta pensando oggi quando si riscrive o si cancella tutto quanto è stato conquistato in 40 anni di lotte e di democrazia. Il Portogallo di oggi sta lentamente planando verso un baratro da cui molto difficilmente si riprenderà. Sono davvero in pochi quelli che pensano che quanto stia succedendo oggi sia solo temporaneo.
Forse non sarà l’apocalisse greca, ma solo perché i pasdaran delle politiche di austerità hanno bisogno di quello che chiamano “un caso di successo”, dove per successo si intende non la ripresa economica o il miglioramento delle condizioni di vita delle persone ma il fatto di essere riusciti a togliere ogni forma di umanità senza provocare una rivoluzione.
Le politiche di austerità, interpretate da un punto di vista politico e non economico, mostrano tutta la loro efficacia: la crisi economica provoca l’aumento della disoccupazione, l’aumento della disoccupazione aumenta i livelli di paura e la paura rende tutti ricattabili, tutti disponibili a subire qualsiasi vessazione pur di mantenere il lavoro e non precipitare nella disperazione. Tutto insomma si muove in una sorta di tragico quanto irreale torpore. Il dubbio, adesso, è: quali saranno le prossime misure restrittive che il governo adotterà?
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