Visto che in chat si parlava di "C'era una volta in America", copincollo un mio commento di quando ero giovane e ingenuo e scrivevo papielli sui film:
Il tema del gangster, trasformato da Coppola in epica, reso da Scorsese come tragedia (non una tragedia classica, forse più in ambito barocco, da dramma del siglo de oro), diventa in Leone elegia. Rimpianto e ricerca del tempo perduto. Il Proust del gangster movie, sin dall'inizio immerso in quell'ottica di esasperata soggettività.
Alla fine de "L'uomo che uccise Liberty Valance", un giornalista dice a James Stewart: "Nel west, quando la realtà è diversa dal mito, noi scriviamo il mito". La storia di Noodles è la storia di un uomo alla ricerca del suo passato, della verità del passato, e che scopre che ciò che realmente rivuole sono le sue illusioni.
Le tre parti del film prendono tre momenti, relativamente brevi, di un'intera vita, eppure ci mostrano la vita di Noodles nella sua totalità. I tantissimi anni trascorsi tra l'uno e l'altro sono meri spazi bianchi ("Che cosa hai fatto in tutti questi anni?" "Sono andato a letto presto"), riempiti dalle decisioni prese in pochi momenti. Il destino di un uomo legato ad un unico atto, le cui conseguenze lo inchioderanno di fronte all'eternità.
La prima parte è quella che amo di più. La più corale, la più oggettiva, eppure la più illusoria. Il passato (irrecuperabile) a cui agognare. Il paradiso prima della caduta. Non è un caso, secondo me, che il film si svolga in ambiente ebraico. Non manca neppure Eva in questa Genesi profana; solo mi chiedo, chi è il serpente?
La seconda parte è ossessiva, claustrofobica. Luciferina. Comincia la ricerca del passato perduto, ma Noodles dovrà imparare che non si può mai veramente tornare a casa. E la madeleine in questo caso ha un sapore amaro.
La terza parte conclude la ricerca. E canta il suo inno all'illusione, al passato, ma non nella sua realtà. E' per questo che la scena conclusiva non poteva essere se non quella che è. Canta la sua canzone di tristezza e malinconia, chiude un bilancio fallimentare, fa rimpiangere una vita sprecata (o anche due, forse), un mondo perduto. L'ambiente sporco e casalingo del 1921, divenuto quello ripulito e crudele del 1933, è ora asettico e freddo come una bara. La ricerca si conclude in un tono funebre, ma non morboso. E' l'ultimo addio sotto un cielo di monotono grigiore.
Bravo!