Per la prima volta ho inserito un disco della Del Rey in una classifica di fine anno. Banalmente, il motivo è che ha messo insieme un gruppetto di pezzi davvero ben confezionati - oltre alle solite, una menzione per la meno citata "California", dal hook lungo e cattivello - e che soprattutto fluisce coerentemente e senza intoppo alcuno. Ascoltando alcune tracce mi sono trovato a sperare che non finissero lì dove l'outro pareva iniziare, che è sempre un buon segnale.
* seguono commenti sparsi, non richiesti e poco articolati *
Eppure continuo ad avere un problema con lei, ed ha a che fare forse alla lontana con quella storia autentico/artificio di prima. Il problema of course non è l'artificio - altrimenti si dovrebbe buttare a mare buona parte della compagine pop, inclusi Prince e Bowie - ma il suo artificio, che a mio avviso è poco credibile.
La Del Rey non si re-inventa insegnante spirituale e ci parla della kundalini, né si rinomina Dita e passa in rassegna le sue perversioni erotiche. Al contrario, lei gioca con emozioni personali, storie, stralci presumibilmente (auto)biografici e confidenzialità, cioè contenuti cui solitamente affibieremmo l'etichetta di cantautorale, etichetta basata molto spesso su una piattaforma di autenticità (illusoria, d'accordo, ma questa è un'altra storia).
Lana Del Rey è una 35enne newyorkese, molto middle class, dichiaratamente cattolica e che ha frequentato le solite scuole bene, che poi è quello che sembra trasparire dalla sua immagine pulita e distaccata. La stessa Del Rey, o un suo costrutto, ci parla poi da quasi un decennio del mondo di una giovane donna dalla biografia vissuta, localizzata in un orientalizzato sud statunitense o alternativamente in un'altrettanto idealizzata e stilizzata versione della west coast. I riferimenti sono quanto di più cliché si possa associare all'America di periferia in senso largo - quella di Boys Don't Cry, per dire un film tra mille. Cliché forse necessari se l'intento è aumentare il proprio appeal presso audience che, o per geografia o per anagrafica, poco conoscono dell'America ma molto dell'immaginario associatovi.
A farmi storcere il naso non è tanto il fatto che la DelRey probabilmente sulla LBC non ci sia mai neanche stata, ma la generale superficialità d'immagine con cui il progetto è messo insieme. Dei testi in primis - abbastanza ribolliti e immancabilmente pieni di frasi fatte - e dell'aura decisamente aristocratica e posata della sua estetica per il personaggio Otis Redding, karaoke e trucco sfatto che vuole dipingere. Una dissonanza che provo in tutti i modi a scacciare via quando metto su il disco per non rovinarne la goduria, ma che è sempre lì dietro l'angolo ogni volta che la faccia della Lana mi compare su spotify.