Inviato 24 aprile 2013 - 07:41
Torino festival glbt 2013
Il festival non è finito e io ne ho visto poco, non ho mai scelto, preciso, ma ho un’amica che fa parte dell’organizzazione e quindi faccio proprio presenza amicale obbligata dove mi chiede di andare…peccato che glieli stronchi tutti. Intendiamoci, io ho nel cuore la selezionatrice, perché se ha scelto questi doveva essere proprio alla canna del gas.
Divido ciò che ho visto in lungometraggi, Lengua Madre, Paolinelli e A perfect Ending, Com e corti mischiati fra documentari e fiction
I film…. Lengua Madre, Paolinelli non si capisce proprio perché doveva essere un lungo, vive d tutto dell’idea di una figlia matura che dice alla madre del suo lesbismo in costanza di convivenza ultradecennale con la sua compagna. La madre decide di esplorare il mondo della figlia, punto. A parte la simpatia della protagonista, che è appunto la genitrice, il film risulta esilissimo, senza una trama precisa in cui accada veramente qualcosa, con nessuna precisa idea stilistica. Siamo in Argentina, c’è quasi una idea di confronto generazionale, non si vede un cellulare, sembra una scheggia fluttuante nel tempo.
A perfect Ending, Com si inserisce nelle produzioni Usa mainstream, laccatissimo, patinatissimo e una emerita sciocchezza che chissà perché si dà un’aria da intellettuale. Noioso a dir poco è ipertrofico nell’insistenza dei primissimi piani di oggetti, parti di mobili, dettagli quasi come se la metafora fosse il centro del discorso di un film in cui una matura signora insoddisfatta e molto ricca, con un matrimonio finito e un ambiente in cui anche i ricchi sono infelici (!), decide di dare sfogo alla propria insoddisfazione sessuale e si compra un amante, o meglio, sotto consiglio di una coppia di amiche, una amante (le donne lo fanno meglio), segue amore etc…
Insopportabile, ma non la trama, la messa in scena, la prostituta ha sofferto ed è talentuosa (e ti pareva, addirittura un’artista) e qui un insieme di scene barocchissime immerse in un lucore lattiginoso, simboli, simboli, simboli. La retorica trabocca da ogni scena che è volutamente costruita in quella maniera e da tutto il commento musicale, terribile.
Corti: Time bomb Julien, il separatismo e l’idea della rivoluzionarietà del femminile, in toto….fatto malissimo, bruttino bruttino con un montaggio davvero approssimativo e delle scelte anche qui simboliche a dir poco pacchiane.
Dhè lel world, Capone, chi non è toscano e segnatamente Livornese non capirà, pochi mezzi, tanta simpatia Labronica, commediola che fa il verso ad un immaginario, cortissimo e quindi facilmente digeribile, è la prima parte di un progetto, potrebbe migliorare
Le lesbiche non esistono, Landi Selis, documentario prodotto dal basso che parte da un’idea davvero interessante: la mancanza di parole per “offendere” le lesbiche. Il problema della nostra società è sempre una questione di parole, se non verbalizzi non reifichi, non oggettivizzi, le lesbiche non esistono perché non esiste un vocabolario per parlare di loro, se non esistono le parole non esistono le cose. La parte iniziale animata è molto ben fatta. Documentario puro non mantiene però il centro del discorso, tutto poi si svolge su interviste a donne che sì si definiscono, quindi parlano, ma che quasi sempre convergono sul problema del coming out famigliare, non che ciò non comporti proprio il dire, il parlare, lo scambio, l’uscire fuori dalla propria riflessione interiore per incontrare l’altro (la famiglia più spesso) parlando, ma mia spettavo un discorso più ampio, magari indirizzato a tutto l’insieme della vita di relazione delle persone. Comunque valido perché l’idea è forte, io sono perché io dico.
Re(l)azioni a catena, Novelli 4 episodi di una sorta di piccolo serial su una donna che si trova due adolescenti in casa causa sparizione della loro madre, ne conseguono incontri, scontri, confronti tutti virati in commedia. Divertente, con qualche scivolone sull’audio in presa diretta, gioca con gli stereotipi, spinge il pedale sul lato umoristico, tematizza il confronto fra ricco/apparenza, libero modo di vivere/rigidità della vita sociale e lavorativa, troppo ingessato nelle riprese con interni che sono ripresi in maniera asettica e in fondo poco naturale.
Ad occhi chiusi, Riccardi, se avrà fortuna si farà, la regista ha mestiere, metodo e occhio. E’ fiction ma ripreso da un fatto di cronaca, due adolescenti si amano, il padre di una di loro lo scopre, ne consegue separazione. Le ragazzine sono brave, anche qui in presa diretta c’è qualche sbavatura nell’audio, ma è montato bene e soprattutto la regista cura la messa in scena, si concede anche pulitissimi controluce, sceglie le inquadrature che parlano allo spettatore, ha gusto per colori e squarci di Roma, insomma ha stoffa davvero.