Intanto ho finito L'isola del tesoro di Stevenson. I capitoli iniziali, all'"Ammiraglio Benbow", il capitolo sull'"ultimo viaggio del piccolo canotto" e l'intera parte quinta, "La mia avventura in mare", con le loro scene concitate, sono in assoluto le parti del romanzo che preferisco.
Che bello potersi abbandonare a una fantasticheria, ricordarsi di quando (noi tutti) si voleva, e a volte ci si costruiva per gioco, un ruolo da protagonista in qualche avventura per terra e per mare, esattamente come Jim Hawkins (che in ciò riesce), mostratoci entusiasta alla prospettiva dell'imminente partenza:
"[...] con mia grande gioia la strada correva lungo le banchine costeggiando una fila di bastimenti di ogni forma, attrezzatura e paese. Su qualcuno i marinai accompagnavano il lavoro con il canto; in altri vedevo sopra la mia testa uomini sospesi in aria da fili che non sembravano più grossi di una ragnatela. Benchè avessi trascorso sulla spiaggia tutta la mia vita, mi pareva di non essermi mai avvicinato al mare prima di allora. L'odore del catrame e quello della salsedine mi sembravano nuovi. vedevo le più straordinarie polene che avevano percorso mari lontani. Vedevo parecchi marinai anziani con anelli alle orecchie, baffoni arricciati, codini incatramati, e quella loro ondeggiante goffa andatura. Non avrei provato maggiore entusiasmo se avessi visto re o cardinali.
Io stesso stavo per prendere il mare; e in una goletta, con un nostromo che suonava il piffero, e marinai con i codini incatramati che cantavano; in mare, verso un'isola sconosciuta, alla ricerca di tesori nascosti!"
ma, d'altra parte, senza la sia pur minima voglia di sentir parlare ancora dell'Isola del Tesoro al termine della vicenda.
Che bello, poi, il racconto per il racconto, l'avventura per l'avventura, l'intreccio sopra ogni altra cosa, senza troppi reconditi significati, nonché le pennellate paesaggistiche, di colore, e nel dipingerci i personaggi.