Inviato 30 novembre 2019 - 11:35

POPOLARE
è un film che leggo innanzitutto come una forma di rivisitazione, ripensamento, anche radicale, da parte di scorsese del suo stesso cinema. il cantore del mondo italo-americano di metà-fine 900 con quel misto di simpatia e repulsione, torna in vecchiaia sui propri passi drenando tutta l'energia giovanile (positiva e negativa), negando qualsiasi forma di epica, di spettacolo (anche e soprattutto visivo) e di empatia, dalla rappresentazione di questo mondo e dei suoi protagonisti. qualcuno ha fatto notare come i personaggi siano "vecchi" anche da giovani, e non solo per via del magnifico trucco del de-aging, ma perché dal racconto della loro vita è omesso tutto ciò che rende, o dovrebbe rendere, eccitante una vita giovane, quando ancora si è in forze e in salute. è assente tutta la sbornia di sesso, lusso, musica, divertimento, droga, violenza che aveva contraddistinto la vita dei protagonisti (giovani) di goodfellas e casino. non c'è nulla di eccitante, di provocatorio, di seduttivo nella vita di frank o degli affiliati della mafia: c'è solo un lento incedere verso la propria conclusione, di chi muore in modo violento (i personaggi anche minori vengono presentati con una didascalia che descrive il modo e la data della loro morte) e di chi muore per la propria fine naturale
il ripensamento è anche stilistico: via i jump cuts, le carrellate aggressive, le panoramiche a schiaffo, i pianosequenza virtuosi, la colonna sonora rock e spazio a inquadrature fisse, interni spogli, silenzi, ad un ritmo lento e funereo. uno scorsese così sobrio non si è mai visto. probabilmente è questo il film che rispecchia maggiormente quello che avrebbe voluto fare nella sua vecchiaia registica, piuttosto che film come the wolf of wall street e the departed che in un certo senso "rassicurano" e compiacciono lo spettatore che da scorsese vuole proprio quelle cose lì, vuole i suoi tic stilistici, vuole il ritmo travolgente dei film che lo hanno reso famoso. e difficilmente il pubblico vuole un film così triste, amaro e sconsolato come questo the irishman, che fa i conti con la vecchiaia e l'ineluttabilità della morte senza mai abbassare lo sguardo o fare sconti
ma oltre a tutto questo, il film mi è sembrato anche un monito. da cattolico è sempre interessato alla riflessione su cosa significhi fare il male all'altro e quali conseguenze patire da ciò. il film dice chiaramente che perseguire una vita votata alla violenza porta alla solitudine e alla perdita di tutti gli affetti più cari. morire non è bello per nessuno, ma morire da soli è anche peggio. in un certo senso si interroga anche sul fatto se uomini come frank sheeran abbiano un'anima, che per chi non è credente vuol dire essenzialmente se sono in grado anche loro di provare rimorso, di fare i conti con le proprie azioni e provare una qualche forma di dispiacere, di pentimento, dettati da una coscienza interiore. uccidere a sangue freddo, uccidere a sangue freddo una persona considerata amica, e poi continuare a vivere come nulla fosse. per loro scorsese magari non immagina l'inferno ultraterreno, ma sicuramente immagina l'inferno molto terreno delle figlie perdute e mai ritrovate, del cancro alla prostata, delle residenze per anziani, dell'oblio della storia, dell'ictus e della demenza senile. in fondo alla fine di goodfellas, henry sotto sotto se la rideva ancora perché sì ora era diventato anche lui uno stronzo qualunque, ma prima se l'era goduta un sacco, non faceva mai la coda, non chiedeva mai il permesso e spendeva quello che voleva senza rendere conto a nessuno. i personaggi di the irishman invece sembrano aver vissuto nel limbo della solitudine e della vecchiaia per tutta la vita. la visione di scorsese è diventata ormai cupissima e segnata da un pessimismo religioso totale: la vita nel peccato non porta alcuna gioia, né redenzione. è come se scorsese si fosse pentito di aver anche solo dato l'idea di aver glamourizzato in passato la vita e le gesta di queste persone
è un film molto complesso, molto stratificato - e non potrebbe essere altrimenti vista la durata monstre - che a mio giudizio funziona meglio come racconto morale ed esistenziale piuttosto che come racconto storico, sociale e politico - se così si può definire - alla ellroy di american tabloid, che pure vuole essere per il modo in cui mescola finzione e storia soprattutto nella prima metà di film. ma la demitizzazione dei kennedy, degli anni 50 e 60 della storia americana, sanno ormai di già visto e su questo fronte il film è debole. ho come l'impressione che con personaggi inventati e scenari fittizi, avrebbe funzionato molto meglio, ma resta una mia idea. in fondo non ha il coraggio (di ellroy, ma anche di stone) di dire chiaramente chi ha voluto l'omicidio di kennedy. ma qualcuno potrebbe dirmi che non è questo il focus del film e allora torniamo al punto che tutta la cornice da period potevamo farne a meno e che spesso funziona come distrazione e basta
sugli attori: monumentali. è anche il loro requiem. lo avete già scritto, ma è difficile pensare che alla loro età li vedremo ancora in ruoli come questi. è bello vedere come i loro stili identificativi non siano cambiati: pacino è pacino, è energia pura, è shakespeare sotto l'effetto della coca di tony montana; de niro è asciutto, costantemente sotto le righe, quasi nella sua confort zone, ma poi nell'ultima parte del film torna a delle vette irraggiungibili per chiunque confermandosi il più grande attore americano vivente nonostante gli ultimi decenni trascorsi a scorreggiare nella telecamera. poi c'è pesci, quasi sfigurato dalle rughe che solcano il suo volto, che interpreta bufalino come un rettile dalla freddezza omicida, nascosto dietro a degli occhiali oversize o mentre solleva una tazzina di caffè o un bicchiere di vino: la spaventosa normalità della violenza e la totale assenza di ogni emozione umana
un film di 3 ore e mezza meritava un post di altrettanta lunghezza