Alle angosciose sequenze in soggettiva, all'utilizzo magistrale degli spazi bui, al terrore che scaturiva dall'"ignoto" (le ragioni della follia del killer non venivano spiegate), Zombie sostituisce il suo stile chiassoso e "pop": un sacco di sangue in più, più sesso, più musica (bella colonna sonora rock con Blue Oyster Cult, Kiss, Rush e tanti altri), un cast pieno di volti della serie B (Brad Dourif, Danny Trejo, Malcom McDowell) ma soprattutto (e sta qui la maggior differenza rispetto al film originale) cerca di "spiegare" le ragioni della psicopatologia del maniaco Michael Myers.
La prima parte è quindi quella più originale e interessante: Zombie sembra volerci dire che ieri come oggi (come ne "La Casa del Diavolo") i mostri si nascondono in mezzo a noi, sono il frutto di una società marcia e malata, che si manifesta in primo luogo nella crisi della famiglia.
Così si prova quasi un po' di pietà nei confronti del piccolo Myers che cresce assieme ad un patrigno violento e alcolizzato, una (amorevole) madre spogliarellista, una sorella che lo ignora, e i compagni di scuola che lo deridono. Zombie rischia grosso "umanizzando" il mostro, lo fa diventare il protagonista assoluto della vicenda (al contrario del film di Carpenter, in cui il punto di vista assunto era quello di Jamie Lee Curtis). Da un lato opera un'operazione curiosa, ma dall'altro rende Myers meno spaventoso, più prevedibile (nonostante sia più brutale in questa versione 2007).
L'originalità del remake si esaurisce però con la prima parte, perchè successivamente diventa una fedele (quanto accellerata) riproposizione delle situazioni del film di Carpenter, con qualche lieve aggiustamento stilistico e narrativo (il finale, più teso, ma decisamente meno inquietante), che in definitiva non si distacca troppo dal livello medio dei film horror prodotti oggi.
Da Rob Zombie era lecito aspettarsi di più, ma probabilmente anche lui si è sentito intimorito davanti alla grandezza (e la fama) della pellicola di Carpenter.
6/10
