Finalmente sono riuscito nell'eroica impresa di iniziarmi alla maratona miikiana che mi ha portato a visionare un numero sufficiente di pellicole (ne recupererò altre sicuramente, almeno The bird people, DOA 2 e Katakuris) volte a farmi una panoramica su questo grande e imprescindibile (non)autore che vado qui ad elencare in ordine -più o meno - di gradimento:
Izo (2004): E qui siamo dalle parti del capolavoro, 2 ore di nichilismo puro, seppur con una (forse) speranza alla fine del circolo, cinema totalmente libero e che non fa sconti a nessuno
Ichi the killer (2001): manifesto per eccellenza del suo cinema o del suo momento clou (anche se ovviamente sarebbe oltraggioso fermarsi solo qui), che dire di più
13 assassini / Hara-kiri (2010-2011): qui va fatta una piccola puntualizzazione: di sicuro questi non sono i film più rappresentativi di Miike, nè pertanto quelli che consiglierei a un neofita o comunque uno che volesse comprendere l'estetica/cifra dell'autore, ma proprio per questo formano un dittico che in maniera proprio opposta rispetto all'altro filone rivelano tutta l'ecletticità di Miike e il suo sapersi adattare a qualsiasi pelle; poi si, sono dei remake, io non ho visto gli originali, quello di Kobayashi so che è unanimamente considerato un capo, siccome non faccio eccezzioni per nessuno su tale questione, sono pronto a declassare i suddetti nel caso, resta il fatto che sono due film bellissimi e che forse finiscono per piacermi anche un filo in più rispetto al altri suoi lavori capitali
Audition (1999): con Ichi il suo più famoso e "spendibile", almeno fra quelli della prima fase, una prova maiuscola e di maturità, nonchè un punto di svolta nella sua carriera, e lei non si dimentica, anche se alcune cose sul finale mi hanno lasciato perplesso, e l'averlo visto tempo dopo Imprint (al cui confronto questo sembra quasi una passeggiata di salute) me lo ha inevitabilmente un pò depotenziato
Big bang love, juvenile A (2006): visivamente probabilmente rappresenta il suo apice, non mi è arrivato del tutto ma è forse il suo film più complesso, difatti dovrei rivederlo, comunque un unicum nella sua filmografia e un altra dimostrazione dell'eclettismo del nostro che lascia spiazzati, c'è poi un lavoro di montaggio sopraffino che scompone e ricompone gli eventi a piacimento e una regia e scenografia che annulla il tempo e lo spazio
Visitor Q (2001): lucida follia, altro must e punto focale dell'irruenza e libertà artistica del regista, che qui sperimenta anche con il formato video, forse il grottesco a tratti sovrasta un pò tutta l'impalcatura "teoretica" che a dispetto di ciò che è messo in scena qui è quadratissima, ma avercene, paradossalmente poi si ride di gusto come nessun altra sua opera
Graveyard of honor (2002): vale un pò lo stesso discorso fatto per il dittico samurai, con la differenza che qui si cambia un pò di più rispetto alla fonte, a cominciare dal piano temporale in cui si svole la vicenda
Fudoh: The new generation (1996): suo primo in cui emerge la cifra folle, pop, freak e fumettosa per cui è maggiormente famoso, ed è fra i suoi migliori in quel senso e uno di quelli con la miglior gestione del ritmo
Lesson of the evil (2012): questo appartiene alla cosidetta svolta "mainstream" (d'uopo il virgolettato), e difatti si nota la messa in scena più classicheggiante e il budget più alto credo, resta un altro gran bel film, quasi una sorta di versione terrena di Izo volendo, lungo ed eccessivamente lento a tratti (una sua consuetudine), ma con una seconda parte che in occidente semplicemente non potrebbe esistere se non forse relegata all'interno di circuiti veramente underground
Gozu (2003): da molti ritenuto il suo capolavoro, per me no, anzi li per li non m'era piaciuto, poi pensandoci su e leggendo un pò di roba in giro ho corretto il tiro, la creatività secondo me è un pò derivativa stavolta, sia nei confronti di altri autori che di sè stesso per alcune trovate, noiosetto a tratti e che un pò mi ha lasciato il dubbio di essere un tantino pretestuoso, ma è anche un altra opera totalmente fuori dagli schemi, disturbata e al suo interno custodisce schegge di straordinaria inquietudine e weirdismo. Anche e sopratutto qui mi tengo in serbo una revisione
Black society trilogy (1995-1999): qui Miike a tratti sembra un po' voler appropriarsi e riadattare certi stilemi da cinéma vérité europeo, si tratta però dei suoi film con cui ho avuto più problemi. Il primo (Shinjuku triad society) è per me il migliore ed è anche un film importante in quanto il primo pensato per il cinema e in cui la sua poetica e le sue ossessioni sono già ben distinguibili, gli altri due mi hanno convinto meno, non fosse altro perchè ho avuto proprio difficoltà ad entrare nelle storie e nei personaggi, anche a causa di un ritmo e una narrazione zoppicante e di troppi tempi morti. Dei due Ley lines forse è più interessante, ha degli splendidi scorci visivi virati su rossi e blu pienissimi. In ogni caso, è incredibile come a seconda di cosa deve filmare Miike riesca ad adottare uno stile registico sempre diversissimo e specifico per l'occasione, difatti questa - come anche quella di DOA - è una trilogia antologica, che condivide solo temi e stile registico impiegato, eppure si identificano bene come un corpus unitario
Dead or alive (1999): questo è l'altro suo classicone che non ho propriamente amato, essenzialmente si costituisce di un incipit e un finale geniali (roba che quando lo vedi non ci credi
), il problema è che tutto ciò che sta nel mezzo mi ha convinto e interessato assai meno e in maniera un pò simile a quanto detto sopra, resta comunque un paradigma delle infinite possibilità dell'autore all'interno del genere e non
Yakuza apocalypse (2015): altra follia totale, anche parecchio di maniera stavolta, certo, ma è anche nella maniera di un film come questo (qui alla sua 100 produzione tipo ndr) che vedi la genialità di Miike, quel guizzo che ti fa svoltare, vedere per credere
Sukyiaki western django (2007): il suo minore fra quelli visti, simpatico l'omaggio, le citazioni, lo humor e tutto il resto, ma stavolta il risultato è un pout-purri fiacco, stanco, e nemmeno così pop come potrebbe sembrare a prima vista, poi anche il solito intreccio "aka Kurosawa" capisco che è un topoi, ma avrebbe anche un pò rotto...poi tecnicamente è ottimo e come DOA gode di un gran bell' incipit (con la scenografie finte) e un buon finale, e i tocchi miikeani - comunque presenti - sparsi all'interno del genere gli danno comunque senso d'esistere