Il problema non è Harden, potentissimo, concentrato, fiero, focalizzato, sempre uguale a se stesso, quando scende caracollando, come se stesse indossando le ciabatte, si passa la palla tra le gambe, procede lento e inesorabile e tu lo sai che alzerà lo sguardo per vedere se qualcuno dei suoi sta pensando di fare il taglio giusto, ma non è vero nulla, perché i suoi non ne hanno voglia, non sanno cosa fare, ma sanno cosa farà Harden, ossia la finta di penetrazione, il passo indietro e il tiro da tre, senza ritmo, ma con l'abilità del cecchino più affidabile.
L'altra sera all'Oracle la scena si è ripetuta con una frequenza ammorbante, mentre gli avversari schiacciavano sull'acceleratore, si intersecavano, facevano le capriole volanti, trovavano tiri dopo aver girato come trottole, ma intanto dall'altra parte c'era Harden, in zoccoli, ogni tanto un'apertura, giusto per non esagerare, e poi tiri su tiri, come un muro sul quale vai a sbattere, come un Djokovic che riappare sempre dalla foschia, eretto, sornione e sogghignante e ti trafigge, e nemmeno suda.
Il problema non è Harden, è Mike D'Antoni, che un tempo ci provava, ma oggi sembra che abbia altro a cui pensare; non dà nulla al gioco, non gliene frega nulla, ha Harden, Capela come braccio destro, tirate ragazzi, tirate quando potete, anzi no, fate tirare soprattutto ad Harden, siate generosi.
D'Antoni è il Max Allegri della NBA, ma almeno il Max organizza una fase difensiva a puntino, Mike neanche quello. Non vincerà, perché i nodi vengono sempre al pettine, ma è una sciagura. Arrestatelo!