Molto jazz quest'anno: sarà la vecchiaia incipiente, sarà che in effetti è un periodo di uscite assai interessanti e vivaci.
Sul mio disco dell'anno riprendo quanto scritto nell'intervista fattami da Psycanprog:
Nik Bärtsch Mobile - Continuum [ECM]
Bärtsch è una figura che seguo da una decina d’anni, un pianista sui generis che con estrema personalità e limpidezza di orizzonti si muove sulla linea di confine tra jazz e minimalismo. Sebbene sulla carta la formula che propone – musica strumentale fortemente basata sulla ripetizione e gli incastri di moduli posti su differenti piani ritmici – potrebbe apparire velleitaria o intellettualistica, l’effetto delle sue composizioni è per me dirompente. Il magma ritmico che coi suoi collaboratori riesce a evocare, al tempo stesso scarno e iperdettagliato, regolare e imprevedibile, mi risulta irresistibilmente ipnotico e astraente: un lasciapassare verso uno stato atemporale, meditativo ed estatico. Suppongo il fenomeno possa risultare simile per ogni altro amante dei tempi dispari e degli incastri poliritmici dei King Crimson post-Discipline, lontani come genere ma decisamente prossimi in termini di espedienti adottati e orizzonti emotivi. Ho avuto occasione di ascoltare Nik Bärtsch quest’estate a Londra assieme alla sua band, e per quanto questo sia stato per me un anno di grandi concerti (King Crimson, Sigur Rós, At the Drive-In, Alice&Battiato, 65daysofstatic, GoGo Penguin…) l’esperienza mi è rimasta impressa più di ogni altra.
Poi, sempre su livelli molto alti:
Le Boeuf Brothers & JACK Quartet - Imaginist [Panoramic Recordings]
Anche per loro riprendo quanto già scritto altrove: Questi li ho scoperti totalmente per caso sfogliando un numero digitale omaggio del New Yorker. Sono fratelli (ma va?) e fanno una roba che decenni fa si sarebbe chiamata third stream jazz: un mischiotto assai intellettualoide, ma anche decisamente a fuoco e leggero, di jazz classico e classica neanche-troppo-contemporanea. Con evidenti influssi minimalisti (talvolta dalle parti di Reich, altre da quelle di Einaudi -- ma a me francamente va bene uguale) e Radioheadiani.
Nel loro terzo lavoro, parecchio distante dai precedenti come formula, anche se lo stile quello è, la proposta prende decisi contorni cameristico/novecenteschi e sfocia in una brillante pièce con voce narrante alla "Pierino e il Lupo", condita da altri variopinti episodi. L'ascolto è leggero ma suona serio, appagante ma non immediato. Insomma, un disco davvero riuscito che mi ha spinto a recuperare i due lavori precedenti (che si sono rivelati pure migliori).
Phronesis - Parallax [Edition Records]
GoGo Penguin - Man Made Object [Blue Note]
Mammal Hands - Floa [Gondwana]
Con questi tre dischi ci muoviamo su territori fra loro decisamente attigui: nu-jazz britannico dalla forte presenza pianistica, marcato dall'inventiva e dalla rapidità di un batterismo dalle evidentissime influenze drum'n'bass (o drill'n'bass). Se nei Mammal Hands la batteria è più tranquillina, i contorni sono spesso minimal/ambient e il ruolo del sax è di primissimo piano, coi Phronesis è il pianoforte ad assumere il ruolo di forza motrice e a spingere contrabbasso e batteria verso soluzioni decisamente dinamiche e concitate. Per il pianoforte leggo molti paragoni con l'Esbjörn Svensson Trio, ma a me sembra che qua sia tutto assai più vitale e "incastroso": personalmente preferisco di molto lo stile di questo Ivo Neame.
Un po' a metà strada (ma solo per fini retorici) sta il sound dei GoGo Penguin, che al di là del valore del disco (preferisco leggermente quello dei Phronesis) sono la formazione il cui stile ha i contorni più lucidi e inventivi del terzetto. Il terzetto pianoforte-basso-batteria riesce a mettere al centro tutti e tre gli strumenti, con una batteria imprendibile e di eccezionale capacità di guida, un pianoforte sapientemente padrone tanto del radioheadismo di Mehldau quanto dei trucchetti del minimalismo più melodico e piacione, e il contrabbasso, corposo e agile, a fare da raccordo tra le due anime conflittuali rappresentate dagli altri strumenti. La loro esibizione live al JazzMi è stata un evento notevolissimo, e i loro stop-n-go mi hanno fulminato come nessuno mai sul palcoscenico.
Ukandanz - Awo [Buda]
Non sapevo se inserirlo. Formalmente è ethio-jazz: c'è un sacco di sax, c'è la voce squillante e indubbiamente africana, ma l'energia è quella del brutal-prog dei Ruins, la baraonda quella di Zu e Lightning Bolt. Il suono è elettrico, noise, dominato da chitarra e basso distorto, ma voce e sax riescono perfettamente a riportare su un piano melodicamente strutturato, esotico ed efficace quella che sarebbe altrimenti l'ennesima proposta di puro chiasso brutal-prog fuori tempo massimo. Una sorpresa.
The Trio Project - Spark [Telarc]
Hiromi e il suo Trio Project sono una garanzia assoluta in fatto di fusion dai tratti sfavillanti e funambolici. Il pianoforte cristallino della giapponese gioca la parte del leone in questo terzetto dinamico e versatile, capace di unire carica ritmica, melodia e un gusto sbarazzino per voltafaccia e cambi di tempo. Come spesso nel panorama giapponese, lo stile è precisissimo e grintoso, luccicante ed effervescente... ma senz'altro a qualcuno risulterà troppo freddo (in un'accezione del termine che a oggi mi resta sostanzialmente incomprensibile, vista la focosità del tutto) e didascalico. Peggio per loro, si ascoltino le robe dei due post qua sopra
Frank Woeste - Pocket Rhapsody [ACT]
Si scrive Frank Woeste e si legge "due duetti con Ibrahim Maalouf". Ho avvicinato il disco del pianista franco-tedesco per via della duplice ospitata del miglior trombettista della Terra (sopraffina, come era facile prevedere) e ci ho scoperto un'ottima fusion dai tratti spigolosi, liquidi e scattanti al tempo stesso. La voce plurale delle tastiere (piano, rhodes, organo, bass synth), le coloriture offerte da violino e violoncello e i frequenti accenti di di derivazione funky o elettronica si sposano molto bene con l'approccio fortemente melodico di Woeste al piano, costruendo brani eleganti e variopinti, ben bilanciati tra gusto retrò e tocchi futuristi.
Anenon - Petrol [FoF]
Non so davvero cosa sia sta roba qua. Un mischiotto autistico di elettronica, jazz, ambient, minimalismo al confine tra idm, nu jazz, progressive electronic e dio sa cos'altro. Da quel che ho capito, è il prodotto di un tizio che si è messo a spippolare col sax improvvisando e poi ci ha lavorato sopra al pc, filtrando, rielaborando, giustapponendo. Il risultato - che è poi quello che conta - è davvero notevole. Malinconico e piovigginoso, potrebbe ricordare come orizzonti emotivi quel 2 8 1 4 che l'anno scorso qua fece sfaceli (ovviamente i mezzi stilistici sono del tutto diversi, sia chiaro). Altri nomi chiave potrebbero essere Arandel, lo Squarpusher più atmosferico (ammesso che esista) o le nenie del morissammazzato Colin Stetson, da cui per fortuna il disco si discosta per l'assoluta prevalenza dell'evocazione sull'autoreferenzialità e gli intellettualismi. Dubito possa piacere a molti qua dentro, ma a me ha davvero colpito.
Ikarus - Chronosome [Ronin Rhythm]
Formazione svizzera, prodotta da Nik Bärtsch e dedita a un equilibratissimo pastiche minimal/zeuhl, capace di riprendere dal sound lovecraftiano e vetusto di Eskaton e Dün gli elementi più leggiadri e fonderli alla tavolozza estatico/meditativa della musica di Bärtsch. Tra incastri reichiani e tempi dispari come se piovesse, i consueti colori torvi della scuola Magma riemergono quasi subliminalmente e conferiscono alle composizioni un retrogusto esoterico che affianca ma non cancella la celestiale limpidezza del sound.
Jizue - Story [Bud Music]
In Giappone per un prodotto decisamente easy listening: il quinto album del quartetto nu jazz/smooth/post-rock già distintosi in passato per la sopraffina qualità kitsch della sua formula. Tra pianismo ipercinetico (vedi Hiromi poco sopra), scatti ritmici, progressioni soft/loud, innesti elettronici e repentini salti da un quadretto stilistico all'altro, il disco inanella in mini-suite perfette sequenze di jingle simil-occidentali e proprio per questo così zuccherosamente nipponici. Prima o poi ce li ritroveremo negli spot tv, senza manco accorgercene.
Snarky Puppy - Family Dinner: Volume Two [Universl Classics and Jazz]
Non ho capito bene la ratio di questo progetto live, essenzialmente un insieme di duetti con gente a caso, anche lontanissima dallo stile che ha reso gli Snarky Puppy un nome di punta della fusion iperturnistica degli ultimi anni. Suppongo che l'etichetta volesse promuovere un po' di artisti accasati presso il suo marchio, e abbia preso la band più tecnicamente versatile del suo roster per mandare a centro la trovata. Beh, dannazione, ci sono riusciti. Il disco è del tutto schizofrenico, e salta dal synth-pop dei KNOWER al cantautorato romantico di serie b suo malgrado rappresentato dall'incolpevole David Crosby: ci sono episodi fulminanti e altre cose in cui il sensore antikitsch doppia o tripla il livello di guardia, ma nel complesso il ventaglio stilistico è davvero sorprendente, come lo è la capacità degli Snarky Puppy di adattarsi a ogni ricetta senza perdere la propria professionalissima personalità. Vorrei vederli dal vivo.
Niechęć - s/t [Wytwórnia Krajowa]
Formazione polacca che ha raccolto in questi anni un discreto seguito tra i rockettari pentiti, i Niechęć si muovono in modo decisamente personale sulla linea di confine tra avant-jazz, nu-jazz, post-rock. Adottando una tavolozza a tinte scurissime senza però sconfinare nel macchiettismo del dark-jazz più in voga, confezionano una musica che senz'altro non si adatta a ogni momento ma che è capace di proiettare il giusto clima meditativo sulle situazioni che richiedono concentrazione. Se gli episodi atmosferici non mancano, va comunque rilevata la preponderanza dei momenti in cui l'impronta jazz-rock eminentemente settantiana si fa più spinta. Il notevole sta in come i polacchi rielaborano le influenze Seventies, facendo propri espedienti post- e tonalità elettroniche e dando forma a un suono citazionista, sì, ma alquanto cinematico e originale.
House of Waters - s/t [GroundUP Records]
Terzetto di virtuosi di stanza a New York, gli House of Waters esordiscono con un disco di smooth/world/fusion dominato dalle intricatezze etno e dal suono argentino dei cordofoni (shamisen, salterio). Tutto è molto gentile e ovattato (a tratti anche troppo), ma la perizia e la capacità inventiva sono innegabili. Episodi come "In Waves" e "17" sposano relax e cinetismo, fascinazioni esotiche e disciplina quasi crimsoniana dando alla musica quel nerbo e quell'efficacia che un po' mancano in altri episodi di un disco comunque assai originale.
Takuya Kuroda - Zigzagger [Concord]
Fusion fatta e finita, hancockiana e super-funky: il trombettista nipponico di stanza a Brooklyn si avvale di un vasto parterre di collaboratori internazionali per frullare debitamente influenze settantiane e trovate elettroniche decisamente più contemporanee - su tutti, FlyLo. La musica è briosa ed efficace, lo stile trombettistico di Kuroda è un déjà vu post-bop ma la classe non si può negare. Notevole l'episodio finale con gli Antibalas: afro-funk in salsa downtown che mi fa montare l'impazienza per il ritorno della formazione newyorkese.
Ecco! “rapparolo” è il mio problema. Perché incide su una delle mie poche idiosincrasie musicali (l’altra è il metal).
E’ un disco che mi ha completamente spiazzato proprio perché sono un attento seguace di Lehman
ma, nello stesso tempo, non digerisco il rap….
Indubbiamente è un disco di valore, anche innovativo per alcuni aspetti. E Lehman non rinuncia alle sue tecniche spettrali né ai suoi fraseggi veloci e contorti ma…per me non è abbastanza.
In definitiva secondo me è un disco che si colloca maggiormente nell’ambito dell’hip hop/ elettronica sebbene dalle forti coloriture avant jazz.
Ovviamente tutto questo non sposta di una virgola la mia opinione su Lehman( e sulla Pi) che continuo a considerare uno dei migliori musicisti contemporanei.
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Le merendine di quand'ero bambino non torneranno più! I pomeriggi di Maggio!
penso che Lehman abbia volutamente fare un disco più rap che jazz un po' per valorizzare gli ospiti in un'operazione stilisitcamente "democratica" e un po' - chissà, forse - per cercare visibilità hipster. Che mi sembra arrivata ma non in modo clamoroso.
Ps: hai visto che hanno ristampato in cd il Seikatsu kojyo linkai?
E pure due live di Takayanagi...
sì, il primo in particolare credo fosse fuori stampa da tempo. I miei takayanagi preferiti li hanno ristampati 2-3 anni fa, Free-Form Suite e Live at Moers. Anche il cofanetto quintuplo su jynia mi piacerebbe averlo originale.
Se ti riferisci al cofanetto Archive 1 piacerebbe molto anche a me averlo in originale.
In particolare la prima edizione con il bonus Dvd…Ma è molto difficile da trovare e comunque
a prezzi improponibili.
Quanto agli altri due non conosco. Ma se mi dici che vale la pena corro a cercarli...
Il live at moers, se non sbaglio, lo avevo visto ristampato dalla Three Blind Mice.
sì, three blind mice, anche l'altro. Sono i miei Takayanagi preferiti insieme a "April is the cruellest month" (che ancora si trova, mi pare) e a "Second Concept", doppio culminante della fase tristaniana, che ovviamente propone proprio "un'altra musica".