Ben trovati all'unica classifica che sono in grado di fare
Titolari
Soft Boys - Underwater moonlight 10 (1980)
Semplicemente bellissimo, perfetto, le coordinate sono varie: Psychedelic Furs del terzo disco (I wanna destroy you), Only ones (Kingdom of love, Tonight, irresistibili), Julian Cope periodo Fried ( Insanely Jealous, folle con la sua accelerazione di basso, suonato da Hitchcock). E poi c'è il meglio del power pop (Queen of eyes e Underwater moonlight) e Old pervert che cela semi metal. Musicisti oscenamente bravi per capacità e gusto, tutto è bellissimo ed essenziale.
Pop Group - For how much longer do we tolerate mass murder? 9,5 (1980)
il Pop Group si sa, non è un gruppo comune, è strettamente legato ad una concezione di ascolto impegnativa (scuruffian..coff.coff..), direi che è davvero molto difficile dire che possano essere apprezzati per la fruibilità o la godibilità. Le coordinate non si discostano molto da Y, è sempre un blob sulfureo fatto di cacofonie, urla di dolore, distorsioni e disturbi. Il risultato è prendere il funk bianchissimo ed "adulto" dei Gang of Four di Solid Gold (quello freddo freddo: Blind Faith), portarlo all'estremo (in For how much longer c'è un punto in cui sembra che tutto l'universo collassi su se stesso), imbastardirlo con cacofonie beefheartiane impazzite come maionese (Communicate), per poi chiudere scherzosamente con un pezzo divertito e facile, concettualmente punk col suo refrain nichilista (Rob a bank). Nel caos, emerge un utilizzo del basso clamoroso. Testi che sembrano (sono) denunce di Amnesty International, verità sbattute in faccia senza giri di parole, ma col sorriso da pazzo. Ripensandoci, nome del gruppo geniale nel suo ribaltamento della concezione del reale. Insomma, musica fatto come una volta, con un furore tale come se ci si giocasse la propria vita, come dovrebbe quasi sempre essere, come oggi non può più essere.
Chicago Transit Authority – S/T 9 (1969)
Piacione, tecnico e con perizia, sculettante ma politico, elettrico ma non masturbatorio, peculiare come scarti a sinistra folk, prog e psichedelia preferendo un approccio squisitamente hard eppure curatissimo e minuzioso, oltre che elegante ed inaspettatamente colorato (la lunga coda brasileira di Beginnings).
Crosby,Stills,Nash & Young – Dejavu 9 (1970)
Pesi massimi tutti insieme. I supergruppi la maggior parte delle volte vanno in bianco, ma qui erano altri tempi e altre menti. Il mio preferito è Crosby, qui pienamente nella fase paranoica e pericolosa, che spara fuori la tesa Almost cut my hair (splendida, la migliore) e l'acida title track. Young alterna folk figlio di Everybody know this is nowhere (There is a town) e grandeur (Country girl), Nash è l'anima apparentemente più candida, come emerge da Teach your children, che paga un po' dell'ingenuità folk hippie sia nel testo che nella melodia, ma che è anch'essa molto bella, e soprattutto Our house, che è 100% Beatles pre droghe. Stills fa il suo con Carry on e la conclusiva e corrosiva Everybody I love you (scritta con Young).
Didjits - Hey Judester e Fizzjob 9 ad entrambi (1986)
Questi li ho presi solo perché avevo trovato una lista su RYM coi gruppi preferiti di Steve Albini. E cazzo che fai, non ti fidi di Steve? in 47 minuti si levano di dosso entrambi gli lp: si tira dritti a rotta di collo, non una pausa, non una ballata, solo ghigni,ironia pesante, scherzi surf e rock'n roll e soprattutto il miglior punk rock che si possa trovare dopo i Dead Kennedys.
Portishead – Third 9 (2008)
Third dei Portishead fu un ritorno clamoroso, forse il vero capolavoro del gruppo. Con l'aumentare degli ascolti quel retrogusto amaro di sottile noia che di solito mi ha accompagnato durante l'ascolto dei primi due dischi è evaporato. Third è il suono del metallo liquido che entra nel flusso sanguigno, o viceversa del sangue che da vita ai robot. Sia come sia, è un esempio mirabile di fusione tra umano ed elettronico, basilare addirittura (Machine Gun). La cosa che però stavolta ho notato, è come i Portishead in realtà metabolizzino tantissimi elementi del passato: We carry on è davvero un pezzo dei SIlver Apples, sembra letteralmente suonato con il leggendario Simeon; Deep water è ingioiellata con cori (ricreati) anni 30, Small vanta una coda psichedelica rubata di peso dal 1969. Threads chiude magistralmente con il pezzo più puramente "tipico" del gruppo.
John Martyn – Inside out 9 (1973)
John Martyn: sapevo che era profondamente amico di Nick Drake, e chissà perché mi aspettavo qualcosa tutto fingerpicking e tenderness. Qualcosa c'è, ma l'approccio è più fisico. Ma soprattutto quel che dimenticavo è che John Martyn era un cazzo di alcolizzato, e quindi anche i momenti più introspettivi (le bellissime Beverley o So much in love with you per dire) sono trafitti da un lampo di disperazione o rabbia, magari sottile. Per non parlare poi della lunga jam Outside in (che ribalta il titolo del disco), delirante, o del fatto che canti sbiascicando,sbavando, quasi strappando a morsi le parole. Disco veramente peculiare.
Thin White Rope – Exploring the axis 9 (1985)
Gruppo naturalmente (nel senso di genuinamente) immenso. Esordio epocale di calore, sabbia e sporcizia
Todd Rundgren - Todd 9 (1974)
Un disco estenuante, sfiancante, davvero. Todd fa entrare qualcuno in cameretta ma si vede che lui è il Dottor Frankenstein, le canzoni(?) le crea, le ha pensate/sognate/disegnate, ed ora le realizza, con quel che capita ( epiche collezioni di piani e chitarre, mi dicono dalla regia). Rundgren è un genio che ti prende per consunzione: mentre A wizard era un happening fiume di hard rock e soul, con un chiaro approccio da arena, qui il tutto viene preso e fatto schiantare a velocità massima contro un muro, non ci sono freni. Di soul ce n'è poco ora, mentre lo stupro di synth non fa che enfatizzare l'approccio ultra/meta fisico dell'hard rock (perché è questo alla fine) del genio: The spark of life sembra voler superare i confini dell'universo con la chitarra che praticamente ha cominciato a sanguinare, ed infatti si conclude con un "no no no a little more of humanity please" e poi parte una fanfara da giostra (An elpee's worth of toons). E la giostra parte, si alternano schizzi zappiani (ma è invecchiato meno di Zappa, e lo si ascolta più volentieri, forse perché si guarda meno allo specchio), un midtempo capolavoro (The last ride, oscenamente perfetta), sfuriate chitarristiche con assoli pazzeschi(Number 1 lowest common denominator e Heavy metal kids) ed infine l’ultima bestemmia, In and Out the Chakras We Go (Formerly Shaft Goes to Outer Space), in cui percepisci almeno tre volte che ci si potrebbe fermare, ma no, si deve stramazzare al suolo. Avrei potuto evitare sto pippone scrivendo semplicemente: guardate la copertina, con la faccia stravolta ma col ghigno soddisfatto, ed i capelli bicolor e lerci, e capirete tutto (recensione preventiva).
Kevin Ayers & the whole world – Shooting at the moon 9 (1970)
Che meraviglia Kevin, ancora meglio rispetto al già bellissimo Joy of a toy. Maestro nel mescolare sapientemente pop sghembo e acidulo (ma mai lo-fi) e rigurgiti di rumore e/o avanguardisti. Pezzo migliore, nonché riassunto delle due anime, per me è Rheinardt & Geraldine, praticamente un pezzo di dolcezza Soft Machine in cui deraglia a metà un gioco di manipolazioni sonore e si chiude con una coda di tromba degna di una ninna nanna
Human Switchboard-Who's landing in my hangar? 9 (1981)
Perla new wave da Akron, Ohio. Di mezzo c'è Paul Hamann, bassista di Pere Ubu e David Thomas, che in questo unico lp suona spesso il basso, assieme ad altri. Disco davvero bello, che evita accuratamente e nettamente le atmosfere dark che andavano tanto in quegli anni, preferendo mettere su disco la disillusione, la sfrontatezza, la bravura e la contemporanea irriconoscenza dal resto del mondo. Si tratta di un disco urbano, notturno, fatto di nervi tesi (Book on looks, la title track, I used to believe in you) ed insonnie d'amore (refrigerator door, Where the light breaks), con brevi momenti di equilibrio interiore (saturday's girl, Don't follow me home). Veramente preziosi (sembro Mollica) gli utilizzi sapienti di sax e tastiere, oltre a Myrna Marcarian che è Patti Smith che decide di fidarsi del prossimo. Tra le b-sides inginocchiamoci tutti di fronte a Shy about you.
In panchina
Kinks - Face to face 9 (1966)
La solita incredibile capacità melodica
Black Flag - Damaged 9 (1981)
Il suono della rabbia
Can - Future days 9 (1973)
Premio Sandro Pertini
Flavio Giurato-Il manuale del cantautore 8 (2001)
Di lui si parla poco ma si parla di cosa si parla. Vorrei tantissimo recuperare i dischi vecchi, al momento quello che si trova meglio ed ad un prezzo ragionevolissimo (su Amazon) è questo. Che è alla fine come me lo aspettavo, è chitarra e voce, è cantautorato nel dna, niente di più niente di meno, assolutamente meno lineare (specie nei testi, che più che criptici sembrano assemblaggi di idee diverse)di quel che si pensi, sanguigno ma mai sguaiato o buttato lì. Un mini universo sonoro in cui convivono Totti e Nesta, Praga bombardata, Silvia Baraldini e Pasolini, con sullo sfondo, inevitabile, una Roma che "è diventata un parco nazionale, un luogo per pregare".
Verdena-Endkadenz Vol.1 8 (2015)
Mi sembra che i Verdena continuino il loro percorso,dopo aver svoltato chiaramente con il precedente Wow. Al momento tutto funziona a meraviglia, anche se minimi segnali di crepa in questo impasto di liriche poco comprensibili, chitarre acide e potenti che a tratti molto brevi si fanno acustiche o assumono sonorità vagamente hard/stoner (tornando a bomba ai tempi di Requiem) e ululati stratificati e saturi cominciano ad apparire. Stupisce però l'abilità di creare hit come Nevischio,Puzzle, Un po' esageri e soprattutto Sci desertico, in cui veramente riescono a fondere melodia killer e pulsazioni sintetiche mai approfondite in passato.
Scisma - Rosemary plexiglas 8 (1997)
Benvegnù chitarrista fantasioso il giusto pur muovendosi quasi sempre negli schemi (post) grunge di quell’indie italiano lì (d’altronde, produce Agnelli), oltre a prima/seconda voce poco dotata ma veramente personale. Sara Mazo (non so se canta sempre lei a dire il ver) è un caso rarissimo di voce naturalmente bellissima, oltre ad essere letteralmente eccitante ( i sospiri di sfondo a Svecchiamento provocano erezioni involontarie). I testi alternano supercazzole marleniane un po’ indigeste (Nuovo) a punte di sperimentazione, anche musicale, come Poco incline ai R.F. e soprattutto Svecchiamento, il cui testo, veramente geniale, metaforizza l’amplesso in un modo che Faust’o ammazzerebbe sua mamma. A metà, un gioiello assoluto come L’equilibrio, nomen omen tra strofa giocosa e vagamente sensuale e slancio melodico a due voci nel ritornello.
Umido:
Mansun - Attack of grey lanterns 5 (1997)
Sotto il vestito, poco.
Hai voglia a creare un suono stroboscopico, luccicante, con quel tocco eroin-chic che andava tanto una volta, quando alla base le canzoni sono di una banalità disarmante. Non basta affastellare suoni su suoni per pensare di essere i nuovi Beatles, a meno che non ti chiami Boo Radleys.
Patty Pravo – s/t 4 (1970)
Il terzo disco di PP mi fa sorgere la seguente domanda: al netto del peso del personaggio, delle hit passate e future, dove sta la differenza tra questo disco (1970 mi pare) ed uno di un’ipotetica vincitrice di Amici? Cover, rifacimenti in italiano di grandi classici (il riadattamento in altra lingua di una canzone è uno dei miei personali odi profondi di sempre), più un paio scritti per lei che sono un rigurgito di canzone d’amore ammuffita con le rime, i principi, i cuori, le anime cantati con quel vibrato di merda da chanteuse.