il lavoro, non rende libero l'uomo, lo porta lentamente alla morte. lo condanna ad avere relazioni sociali imposte, dover sottomettersi al leader che nemmeno lo guarda intensamente negli occhi, ingurgitare i buoni pasto come i condannati a morte, non aver nessun tipo di idea politico strategica differente dall'azienda municipalizzata ove lavori, ma vale per qualsiasi lavoro, compreso quello spinosissimo dell'arte della prostituzione.
purtroppo non posso scrivere molte cose su di me... ma ho avuto questa grande fortuna di trasformare malattie mentali contagiose, virus pestiferi che partivano dai polmoni e in una frazione di secondo raggiungevano i lobi neurali in perenni a priori niet da parte di qualsiasi azienda municipalizzata, da qualsia consorzio agricolo, da qualsiasi conciliabolo astrologico.
adesso sono in palla con l'informatica dal punto di vista filosofico, cerco in tutti i modi di riscattare la vita di una povera donna costretta al facchinaggio facendole da avvocato difensore citando i versetti della Bibbia commentati dai migliori teologi della crisi novecentesca, insomma il lavoro per le persone timide e rancorosamente angosciate, può portarle al suicidio o a una sorta di meta suicidio che non è più vita schiacciati dall'indolenza, pingue indolenza, dei leader, dei datori di lavoro, dei conduttori etc.
un tempo ti dicevano: vai a lavorare, è la vera volta che incontri la patata giusta e metti su famiglia. ma nella mia vita personale seppur in un monogamo silenzio interiore ho cercato in tutti i modi di avvalermi della sintesi per slabbrare qualsiasi processo motorio esistenziale lavorativo comunitario. sono un non più giovanissimo di gradevole aspetto e ho saputo in tutte le occasioni liberarmi al volo da impegni non inerenti alla laurea e allo studio particolareggiato dell'architettura simbolica della Chiesa Anglicana. sono una persona modesta che riuscirebbe a vivere con centodieci euro al mese al netto di affitto e nonostante l'apparenza fashion moralmente sono un uomo mai piegato dal volere di Dio, pronto a mangiarmi la mia scodella di brodo nelle varie diocesi conscio comunque del mio nome e della larvata psicoanalisi condotta sul mio IO attorno al 1997. il lavoro è il degrado, non il contrario.
rivedo dopo un anno una ragazzina di quindici anni che suonava il pianoforte con delle dita adatte più all'agricoltura colloquiale che alle scale di Mozart, ma piena di ideali per salvare il mondo dall'incubo della Bomba; adesso è lercia, ha venduto il piano per comprarsi la droga e il suo sguardo ha perso tutta quanta la sua pregnanza metafisica umanitaria: pesa trentasette chili, vorrebbe cantare per i locali, ma si fa mantenere dal fidanzato un ex carcerato quarantenne che vuole rifarsi una vita. ovviamente non è più vergine, è soltanto una donna buttata via. vorrebbe lavorare, ma ogni volta viene mandata fuori dai vari saloni di bellezza a calci in culo come si faceva un tempo con gli zingari più tremendi e tutto sommato o mette la testa a posto (alias sceglie me come moroso fisso) o la sua vita sarà una dissipazione, un manicomio che la condurrà a una morte prematura tra i boschetti mal illuminati dai fari notturni e pieni di siringhe pericolose e destrutturanti. ragazzi miei, la vita è un enigma e se non ci concediamo una pura trascendenza, un puro onirismo non tossico, collegati al diorama morale, verremo spazzati via come birilli.
„Non si può che confermarsi 'stranieri nella propria lingua'. Il plurilinguismo (crogiuolo di idioletti, arcaismi, neologismi di che trabocca il poema) è il contrario d'una accademia di scuola interpreti. È 'Nomadismo': divagazione, digressione, chiosa, plurivalenza, ecc. Il testo intentato è (deve essere) smentito, travolto dall'atto, cioè de-pensato.“
CARMELO BENE