Donald Antrim, "I cento fratelli":
"I miei fratelli, Rob, Bob, Tom, Paul, Ralph, Phil, Noah, William, Nick, Dennis, Christopher, Frank, Simon, Saul, Jim, Henry, Seamus, Richard, Jeremy, Walter, Jonathan, James, Arthur, Rex, Bertram, Vaughan, Daniel, Russel e Angus; Herbert, Patrick e Jeffrey, nati da parto trigemino; i gemelli identici Michael e Abraham, Lawrence e Peter, Winston e Charles, Scott e Samuel; ed Eric, Donovan, Roger, Lester, Larry, Clinton, Drake, Gregory, Leon, Kevin e Jack – tutti nati lo stesso giorno, il ventitré maggio, benché a orari diversi e in anni distinti – e il caustico grafomane Sergio, le cui feroci opinioni appaiono con regolarità nelle primissime pagine dei mensili più conservatori, per non parlare degli schermi a cristalli liquidi che di notte rilucono sulle fulgide postazioni informatiche di innumerevoli frequentatori di forum dalla vista appannata (tra i quali nostro fratello è affettuosamente, elettronicamente noto come il Serger); e Albert, che è cieco; e Siegfried, che fa sculture di acciaio fuso; il clinicamente depresso Anton, lo schizofrenico Irv, l’ex tossicodipendente Clayton; Maxwell, il botanico esperto in vegetazione tropicale che, dopo il ritorno dalla foresta pluviale, ci pare un tantino scombussolato; Jason, Joshua e Jeremiah, tutti e tre vagamente cupi, ciascuno nella sua personale versione del «ragazzo perduto»; Eli, che trascorre solitarie notti di veglia nella torre, riempiendo interi quaderni di disegni – le multiple declinazioni che un artista offre di un’opera più ampia? – ritraendo i volti dei suoi fratelli, incluso Chuck, il pubblico ministero; Porter, lo scrittore di diari; Andrew, l’attivista per i diritti civili; Pierce, l’architetto che progetta edifici intrinsecamente inedificabili; Barry, il medico buono; Fielding, il documentarista; Spencer, la spia notoriamente legata al Ministero degli Esteri; Foster, lo psicoterapeuta del nuovo millennio; Aaron, l’orologiaio; Raymond, che guida un aereo di sua proprietà; e George, l’urbanista che – se leggete i giornali lo ricorderete – si distinse, non molto tempo fa, con un innovativo programma per infondere nuova vita al centro città in stato di degrado (sotto forma di «un diorama animato interattivo che illustra i costumi culturali ed economici contemporanei»), per poi scioccare e sbalordire tutti, ma proprio tutti quanti, dandosi alla macchia con una ragazza di nome Jane e una ventiquattr’ore zeppa di fondi municipali in mazzette da cento non contrassegnate; e tutti i giovani padri: Seth, Rod, Vidal, Bennet, Dutch, Brice, Allan, Clay, Vincent, Gustavus e Joe; e poi Hiram, il maggiore; Zachary, il Gigante; Jacob, l’intellettuale poliedrico, Virgil, il sussurratore compulsivo; Milton, il canalizzatore di spiriti che parlano attraverso il tempo; e i donnaioli impenitenti: Stephen, Denzil, Forrest, Topper, Temple, Lewis, Mongo, Spooner e Fish; e, naturalmente, il nostro celebre fratello «perfetto», Benedict, cui è stata conferita una medaglia d’onore dall’Accademia delle Scienze per il lavoro svolto nel corso di oltre vent’anni sulla trasmissione chimica del «linguaggio sessuale» in undici specie di insetti sociali – tutti noi (eccetto George, sul quale circolano voci disparate, voci su voci: è fuggito lontano, è proprio qui, sotto il nostro naso, sta usando un nome falso, o forse più di uno, ha cambiato faccia, cose di questo genere) – tutti i miei novantotto fratelli, senza contare George, e io ci siamo di recente riuniti nella biblioteca rossa e abbiamo deciso che era giunto il momento, infine, di dire basta alla tristezza, di lasciarci il passato alle spalle, condividere una cena leggera e rintracciare, ammesso che la cosa ci risultasse sopportabile, l’urna smarrita contenente le ceneri del vecchio rompicoglioni.”
Philipp Meyer, "Il figlio":
"Mi hanno profetizzato che sarei vissuto fino a cent’anni e siccome li ho compiuti non vedo perché dovrei dubitarne. Non morirò da cristiano, ma il mio scalpo è intatto e se esiste un terreno di caccia eterno, lì sono diretto. Oppure allo Stige. Al momento credo che la mia vita sia stata fin troppo breve: quanto bene potrei fare se mi fosse concesso un altro anno in piedi. Invece sono inchiodato a questo letto, a farmela addosso come un poppante. Se il Creatore riterrà di darmi la forza mi incamminerò verso il fiume che attraversa il pascolo. L’ansa orientale del Nueces. Ho sempre preferito il Fiume del Diavolo. Nei miei sogni l’ho raggiunto per tre volte, ed è noto che nella sua ultima notte di vita mortale Alessandro Magno sgusciò fuori dal palazzo e cercò di calarsi nell’Eufrate, sapendo che se il suo corpo fosse scomparso, il popolo lo avrebbe creduto asceso al cielo come un dio. La moglie lo fermò sulla riva. Lo trascinò a casa perché morisse da semplice uomo. E poi mi chiedono perché non mi sono risposato."
Donna Tartt, "Dio di illusioni":
"La neve sulle montagne si stava sciogliendo e Bunny era già morto da molte settimane prima che arrivassimo a comprendere la gravità della nostra situazione. Era già morto da dieci giorni quando lo trovarono, sapete. Fu la più grande battuta della storia del Vermont-polizia dello Stato, FBI, persino un elicottero dell’esercito; il college chiuse, la fabbrica di colori a Hampden serrò i battenti, la gente veniva dal New Hampshire, dal nord dello Stato di New York, addirittura da Boston."
John Irving, "Preghiera per un amico":
"Eccomi condannato a ricordare un ragazzo dalla voce fessa – non già a causa della sua voce, né perché fosse la persona più piccola che io abbia mai conosciuto, o neppure perché fu strumento della morte di mia madre – ma perché è lui la ragione per la quale io credo in Dio: sono cristiano grazie a Owen Meany. Non ho la pretesa di vivere in Cristo, o con Cristo – e men che meno per Cristo, come tanti bigotti pretendono. Non ho una conoscenza tanto profonda del Vecchio Testamento, ed è dai giorni del catechismo che non leggo più il Vangelo – a parte quei brani di cui si dà lettura in chiesa. Mi sono piuttosto familiari quei passi della Bibbia riportati dal mio Libro di Preghiere. Questo, lo leggo spesso. La Bibbia, invece, solo alle feste comandate. Il Libro di Preghiere è molto più ordinato."
Bret Easton Ellis, "Less than zero" (è molto meglio in inglese):
“People are afraid to merge on freeways in Los Angeles. This is the first thing I hear when I come back to the city. Blair picks me up from LAX and mutters this under her breath as she drives up the onramp. She says, "People are afraid to merge on freeways in Los Angeles." Though that sentence shouldn't bother me, it stays in my mind for an uncomfortably long time. Nothing else seems to matter. Not the fact that I'm eighteen and it's December and the ride on the plane had been rough and the couple from Santa Barbara, who were sitting across from me in first class, had gotten pretty drunk. Not the mud that had splattered on the legs of my jeans, which felt kind of cold and loose, earlier that day at an airport in New Hampshire. Not the stain on the arm of the wrinkled, damp shirt I wear, a shirt which looked fresh and clean this morning. Not the tear on the neck of my gray argyle vest, which seems vaguely more eastern than before, especially next to Blair's clean tight jeans and her pale-blue shirt. All of this seems irrelevant next to that one sentence. It seems easier to hear that people are afraid to merge than "I'm pretty sure Muriel is anorexic" or the singer on the radio crying out about magnetic waves. Nothing else seems to matter to me but those ten words. Not the warm winds, which seem to propel the car down the empty asphalt freeway, or the faded smell of marijuana which still faintly permeates Blair's car. All it comes down to is the fact that I'm a boy coming home for a month and meeting someone whom I haven't seen for four months and people are afraid to merge.”
Ellis è un fenomeno a iniziare, tutti i suoi libri fino a Lunar Park hanno degli incipit strepitosi.