il film espone una tesi molto chiara: che negli 8 anni di amministrazione bush jr si sia verificato un caso di "presidenza occulta". insomma che occorrerebbe riscrivere i libri di storia e parlare di amministrazione cheney invece che bush. è qualcosa di cui si parlò già a suo tempo e tutti sono concordi nel ritenerlo il vicepresidente più "ingombrante" della storia, ma così mi sembra sollevare troppo bush dalle proprie responsabilità per manifesta idiozia, e con lui la sua famiglia che in realtà aveva grossi interessi privati in gioco tanto quanto cheney o altri membri del governo
ma è un film e i film hanno bisogno di protagonisti, di motivazioni chiare. e allora stiamo al gioco. mi chiedo sempre: perché nessuno fa un film su clinton? o jimmy carter? mentre è pieno di film su nixon, bush, i repubblicani in generale. semplice: perché i "cattivi" sono più interessanti. è un dato di fatto. e il procedimento di mckay mi ha ricordato molto quello di scorsese, quello classico dei gangsters ma anche e soprattutto quello odierno del lupo di wall street. e con wolf of wall street condivide la caratteristica di essere uno dei biopic più originali dei nostri tempi: non è agiografico od edificante; è ambiguo e provocatorio; mette in campo soluzioni visive e di montaggio non convenzionali (alcune già sperimentate ne la grande scommessa, come lo straniamento brechtiano, la rottura della quarta parete, altre vontrieriane come dice william blake, gli inserti didascalici presi dal mondo dei documentari naturalistici)
e poi c'è christian bale, in una prova degna davvero di robert de niro. e questa volta dirlo non appare una esagerazione. eppure il film mi pare essere passato più sottotraccia rispetto a la grande scommessa, che era un po' la novità e il tentativo sorprendente di questo regista di reinventarsi dopo anni di sodalizio con will ferrell. ma la grande scommessa era anche una grande palla, scusatemi, a parte margot robbie nella vasca da bagno
qui non c'è neppure margot robbie, la storia è quella, è un film di parte, ma è costruito con intelligenza, stile, è divertente e ricco di piccole chicche da gustarsi. un po' scorsese, un po' stone, non guarda in faccia a nessuno e regala pure i 5 minuti finali di monologo da big bad guy che spiazzano il liberal convinto ed indignato
a margine c'è da dire questo: al momento in cui cheney abbandonò la vicepresidenza la sua popolarità stava al 13%, la più bassa di sempre. in mezzo c'erano state tante cose, dalla più grande recessione dell'america moderna al fallimento dell'iraq. ma c'è una cosa che questa esperienza insegna: che le forzature autoritarie in un regime democratico non pagano se la democrazia sopravvive. un auspicio per i difensori della liberaldemocrazia, ma anche un monito per tutti i teorici dell'autoritarismo: insomma gente, dovete fare le cose per bene sennò …