http://www.ondacinem...inspotting.html
Mi considero per certi versi parte dell'ultimo "ciuffo" generazionale coinvolto dal boom di Trainspotting nella seconda metà degli anni '90. Ricordo vivamente la mia prima collisione con il film originale: la sua trasmissione in seconda serata su Italia 1 nell'autunno 1998 seguita da un dibattito in studio sui suoi contenuti diretto da Paolo Liguori, un prete (non ricordo se proprio Don Mazzi) e uno psicologo, una roba devastante al pensarci adesso ma quella era la televisione italiana dell'epoca.
In ogni caso quel film fu un'epifania: avevo 13 anni e lo videoregistrai quasi di nascosto dai miei genitori, guardandomelo prima da solo e poi addirittura in gruppo con i miei compagni di classe. Questo per dare un esempio di quanto abbia rappresentato un vero e proprio "romanzo di formazione" per quelli che erano (o erano a un passo dal diventare) adolescenti in quel determinato momento di quel decennio, e posso solo immaginare quale impatto possa avere avuto per chi lo aveva visto direttamente al cinema un paio d'anni prima.
Al di là del tema della droga, Trainspotting ha segnato un punto cruciale per moltissimi ragazzi dell'epoca che iniziavano a interessarsi alla musica, al cinema, alla letteratura e a prendere coscienza di sé stessi in modo realmente autonomo e personale: questo è dimostrato dall'enorme ondata di fanbase che, a distanza di due decenni, aspettava con trepidazione un sequel che di fatto non poteva che risolversi in un gioco di specchi tra i personaggi (e quello che sono diventati) e il pubblico che in quegli anni si identificò in modo così empatico con essi.
Per questo, personalmente, mi ritengo soddisfatto di questo "tour nella giovinezza": sapevamo tutti che la magia del primo film non sarebbe stata recuperabile, ma questo secondo episodio (al di là del dibattito se il primo fosse davvero autoconclusivo: per me non lo è mai stato) era comunque doveroso, in quanto non si chiedeva soltanto un proseguimento della storia (che già c'era stato con il romanzo "Porno", qui però ripreso alla larghissima) ma anche una messa a punto di come sono stati trasformati i "valori", le aspettative, le ambizioni e i sogni delle mini-generazioni pre-millennials dopo 20 anni nei quali quel mondo e quella società sono stati letteralmente fagocitati.
Sugli aspetti tecnici di T2 preferirei parlare in un secondo momento, perché la cosa che sinceramente adesso vorrei sottolineare maggiormente, senza voler montare alcuna polemica personale, è che a mio avviso un ragazzo nato nel '94 (il recensore del sito che ha stroncato il film con un 5, anche ben motivato per certi aspetti) non può interpretare pienamente il senso di tutta questa operazione: in sostanza, questo non è un film che "parla" a lui.
E' un film quasi interamente diretto a quelli che sono cresciuti negli ultimi scampoli di secolo prima della diffusione globale di internet e degli stravolgimenti di costume che li hanno investiti; quelli che scoprirono Iggy Pop grazie a quel film, quelli che vivevano anni in cui i Massive Attack e gli Underworld andavano al n.1 in classifica, o che da pischelli pensavano a quanto sarebbe stato figo essere come Sick Boy a 25 anni. Ecco, T2 ti dice che essere Sick Boy a 40-45 anni non è poi così tanto figo; è un lavoro meta-cinematografico che condivide la nostalgia dei protagonisti con quella del suo pubblico, che non può non essere in grandissima parte composto da coetanei o quasi coetanei dei personaggi stessi.
Le generazioni che sono venute dopo, inevitabilmente si perdono qualcosa di questo assurdo ma innegabile rapporto simbiotico, e ci sono due personaggi nel film che le rappresentano esplicitamente: il figlio di Begbie e la "fidanzata" di Sick Boy.
Entrambi si aggirano sui 20-22 anni ed entrambi sono oppositivi, vogliono "rompere" col modus vivendi dei loro referenti, non lo capiscono e se lo capiscono lo ritengono (anche giustamente) sbagliato e in poche parole li trattano esattamente come reietti fuori moda di un'altra epoca (quali sono, effettivamente).
Ci provano anche, entrambi, a un certo punto, a seguire le loro orme, ma poi si rendono conto che non è una roba loro: sono cresciuti in un mondo completamente diverso da quello dei quattro protagonisti.
Non sono necessariamente due personaggi che hanno scelto già così giovani "la lavatrice e il maxi-televisore del cazzo" (sui quali poi cadiamo comunque tutti: questo è un altro messaggio, forse scontato, del film che però viene espresso con un realismo di grande impatto) però dicono chiaro e tondo, in alcuni momenti-chiave, che hanno altre cose per la testa, altri gusti, altri modelli di riferimento e non hanno alcun interesse nel comunicare con quella generazione.
A proposito poi del monologo "aggiornato" del "Choose Life", io credo che quello di questo film sia di impatto maggiore rispetto a quello del primo Trainspotting, non fosse altro per il fatto che, se il primo era diretto a chi aveva già scelto quella vita, e che in sostanza ci diceva "tranquilli, non sto dicendo a voi ma ai vecchi babbioni", quello di T2 arriva dritto sparato a noi, in questo caso senza fare distinzioni generazionali: nell'uno Renton parlava, fuori campo, di chi aveva all'epoca già 40-50 anni e ti faceva pensare "beh io però non diventerò così", in questo invece ti guarda dritto negli occhi e ti dice proprio "SI, SIAMO DIVENTATI COSI'". Quella, per quanto mi riguarda, è una delle scene di comunicazione intragenerazionale più potenti che mi sia capitato di vedere in un film.