Non sto ad aprire un topic apposito perché non credo si arriverebbe a più di due post, ma Laurel Halo ha fatto uno dei dischi più strampalati e affascinanti dell'anno. Più che la copertina ufficiale, direi che come descrizione visiva vale meglio l'inserto del Cd:
Che poi a me solitamente piacciono gli album fatti di canzoni pop/dance/r&b, mentre questo "Dust" - che è proprio un polverone non-generalizzato - rifugge ogni definizione di sorta. Ma nel far ciò, impiega ritmi tropicali, tastierine anni 80, vocine sceme, sample giapponesi, chitarrine da spiaggia e sonorità electro modernissime. Il risultato è un brodo che ti attacca alla pancia, dà assuefazione e poi crea dipendenza.
E infine apriamolo invece 'sto topic, visto che il disco è bellissimo e pare che almeno su qualcuno (me, Imnotdevo, il redivivo Mooninjune, forse Giubbo, forse qualcun altro?) abbia fatto decisamente colpo.
C'è la rece sempre di Damy, al solito ottima ed acuta nel sottolineare soprattutto lo "spirito creativo" di un disco la cui peculiarità maggiore concordo essere la sfuggevolezza della sua identità, la dialettica tra "pop" e le strategie molto oblique della sua complicazione o destrutturazione.
http://www.ondarock....elhalo-dust.htm
L'aspetto più conturbante del nuovo disco di Laurel per me è proprio questo, il fatto che si neghi nel suo stesso offrirsi, in un certo senso, in un modo molto felino, ora pelo ora unghie. E' un disco felicemente spaesante, che toglie i riferimenti da sotto i piedi, urban tropicalia o giù di lì. Accanto a pezzi più (per)suasivi (Jelly, Moontalk che Damy prende proprio ad esempio nella recensione, Do U Ever Happen) ce ne sono altri molto meno immediati, forme di jazz torbido e smontato dove - pur non avendo letto molto delle release sheets, interviste etc) mi viene da dire che pesi molto l'apporto del percussionista Eli Keszler.
Nel topic calderone (sign of the times) dei dischi 2017 Giubbo infilava un accostamento con la crucco-venezuelana Niobe che per me ci sta molto, con i dovuti distinguo, ma il gusto nel far collidere comunque in maniera armoniosa motivi caraibici, bossa, chanteuserie ed elettronica a più bassa temperatura e al passo con l'oggi alla fine è molto affine. Penso anche a Color di Katie Gately dello scorso anno, da me così amato e goduto, ma più in generale pare che questo confondere acque e stili, questo sovrapporre e mischiare felicemente le carte scompaginandole salvando però un'ossatura di struttura sia appannaggio soprattutto femminile, e ci saranno sicuramente altri esempi. Fermo restando che ad un disco siffatto, se piace, ci si può arrivare da accessi opposti ma comunicanti: partendo dal pop e facendosi irretire dal trattamento che Laurel gli riserva, oppure salpando da lidi più sperimentali e accidentati e lasciandosi placare dalle tentazioni melodiche e potenzialmente commercia(bi)li di cui Dust è costellato.
Sembra quasi che Laurel abbia guardato alla caleidoscopica levità di Quarantine (esplicitamente per il recupero delle parti vocali anche se qui sono molto meno nitide rispetto a quello) però filtrando il suo sguardo sonoro attraverso le increspature di Chance of Rain. Ne esce un disco che è non solo sintesi ma che si spinge più in là, verso territori che mi rendono già curioso per i futuri sviluppi, benché la mia senzazione fino ad ora, dopo numerosi ascolti, è quella di un disco che continui a nascondermi e celare qualcosa, ed è parte del suo fascino, della suggestione che crea. Non è una costruzione che si lasci abbracciare nella sua interezza e che - di nuovo - porge il suo abbraccio ma tenendosi come a una certa distanza.
Non sto a linkare questo o quello tanto il disco si trova tutto anche su YT, qui sotto forma di playlist: https://www.youtube....LnQCKdLSNU5tXTu
Copertina b/w depistante in linea col (non) personaggio; a me però ha più che altro rapito il retro, con la biondachioma e gli occhi di Laurel a spiovere addosso.