Inviato 24 marzo 2009 - 21:40
ATTENZIONE: SVARIATI SPOILER
Sfortunatamente mi sono perso quasi tutto l'Eastwood regista, ma poiché avevo sentito che questo sarebbe stato l'ultimo con lui come attore, non me lo sono voluto far scappare.
Mi è piaciuto davvero molto, ci ho visto molta carne al fuoco, merito di una sceneggiatura che sembra tagliata su misura per il nostro eroe, vi sono svariati argomenti trattati più o meno in profondità ma sempre con attenzione, molto efficace come caratterizzazione dei personaggi e dei luoghi, fluido nel passare da un registro all??altro.
Mi ha fatto ripensare alla celebre frase di Godard secondo cui Eastwood era l??ultimo regista classico in circolazione. E a colpirmi è stata questa regia solida, lineare, che rimanda ad altri tempi, seguita dalla prova del buon Clint, ben affiancato dagli altri personaggi. Regia che mi ha permesso (a me che sono un??anima semplice) di trovarvi molti spunti, molte cose su cui pensare.
Nella storia c??è uno sguardo impietoso sull??America odierna, sull'integrazione razziale sempre cercata dai progressisti ma mai definitivamente raggiunta, dove sono tutti americani a parole e nella carta d??identità, ma di fatto non comunicano, non sono società, se non in termini di logica di branco. E tra loro, tra le etnie ??inserite? non si salva nessuno, né gli afroamericani, né i messicani, neanche gli oriundi europei: nel film ??americani bianchi? non ce ne sono, lo stesso Kowalski è polacco, e questo mette fuori gioco i di lui figli, che invece sono esteticamente il prototipo del wasp, dai connotati superficiali, vacui, arrivisti e gretti. Questo è un punto che mi ha colpito, così come mi ha colpito lo sguardo più tenero verso gli ultimi arrivati Hmong, prima guardati con disprezzo, ma giudicati solo per le loro azioni e per il loro codice morale. Eastwood in questo senso è agli antipodi del Nanni Moretti che ??le parole sono importanti?. No, per lui le parole non valgono un cazzo, giusto uno sputo, lui spala merda su tutti, compresi i suoi pochi amici (ancora: un oriundo irlandese, un italoamericano); per lui sono i fatti che contano e che definiscono la statura di un uomo, e in questo nessuno gli può dire nulla. Gli stessi Hmong, che nel film rientrano in un certo stereotipo dell??orientale apparentemente incomprensibile ma molto saggio inside, si accorgono immediatamente del reale Kowalski, e da subito non fanno più caso al suo velenoso parlar politicamente scorretto. La ragazzina è la prima, e lui a sua volta rimane colpito dalla sua gioiosa esuberanza, dal suo coraggio nel vivere a testa alta in un quartiere di merda come quello. E infatti è il rapporto con Sue che spicca rispetto a quello in effetti più banale con Thao. ? importante anche perché è lei che segna la svolta drammatica del film, con la scena brutale del suo ritorno a casa, che spalanca la porta all??orrore nel quotidiano.
Ancora, è da sottolineare il segnale che il film manda dal punto di vista morale. In questo senso Clint mostra una grande maturità e un??etica superiore alla pura vendetta. In effetti l??idea di immaginare Kowalksi roso dal pentimento per un crudele atto di guerra che è stato costretto a fare, e comunque condannato a una fine certa in breve tempo, è il viatico necessario che prepara all??idea del sacrificio personale per condannare i vigliacchi, e contemporaneamente sovvertire la logica dell??omertà dei tremebondi cittadini che hanno bisogno di una scossa per avere un sussulto di dignità. Un eccesso di buonismo morale? Forse, ma d??altronde è di un film che si parla, di una storia che deve la sua riuscita all??efficace concatenazione delle parti in cui si snoda. E questo è quel che accade in Gran Torino.
Dicevo dello sguardo cupo sull??America, ma in realtà Clint mostra una volta di più che sono coloro che amano davvero il proprio paese, come succede ad artisti statunitensi come lui (mi viene in mente ad esempio il miglior Springsteen), che non esitano a evidenziarne impietosamente i limiti, le storture, ma anche le possibilità di speranza e redenzione. In questo caso, sono le forze fresche, gli ultimi arrivati (sempre gli Hmong) che condividono con i vecchi gli stessi ideali di una vita dignitosa, serena, dove ognuno si costruisce il proprio futuro nel rispetto degli altri, in una società che ti considera per quello che vali.
Si potrebbe parlare del ruolo dell??auto, apparentemente solo un pretesto per il titolo: feticcio di un tempo che fu, tenuta in perfette condizioni e capace di suscitare ammirazione, amore, invidia e voglia di possesso anche nei tempi odierni. Una metafora notevole: sei un residuato bellico, ma spicchi comunque in un oggi mediocre, perché come te non ce ne sono più, non ne fanno più. Già, si sta parlando di Kowalski o della Gran Torino?
Clint Eastwood è il prototipo del post-eroe, la cui integrità non è scalfita dai suoi difetti e dai suoi errori, ma risalta da una profonda coerenza e dignità. Il suo corpo, invecchiato ma non piegato, dice molto del suo carattere, indurito ma non corrotto dal tempo spietato. Una figura che non si piega alla modernità liquida, ma aggiorna il mito senza scalfirne gli attributi.
Tutto questo scaturisce da un film che scorre liscio e appassiona per quasi due ore, che fa ridere e commuovere, con un protagonista che incanta per il senso di umanità dolente che traspare da ogni suo gesto, ogni smorfia. Per quel che mi riguarda, direi che le lodi sono ampiamente meritate.
I personaggi e i fatti narrati sono immaginari, è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce