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A me complessivamente piacque, nel suo porsi come una sorta di Yannoupoulos colto ho rilevato però che cade spesso in certi toni un pò paternalistici.
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Concordo, diventando anche molto pedante a tratti.
La prima metà del libro l'ho letta con curiosità e piacere, trovo che nella seconda metà cominci a fare il paraculo giustificandosi di avere un compagno millenial etc. Soprattutto trovo che esprima giudizi tranchants nei confronti di una generazione senza rendersi conto di non avere esperienze umane al di fuori della bolla alto-borghese artistica di NY e LA.
Il discorso politically correct l'ho trovato interessante: vivo in zona LA dall'anno scorso e ho avuto esperienza diretta di alcuni personaggi esasperanti e di persone che vivono nelle bolle dei campus universitari americani. La parte in cui descrive persone dell'ambiente che piangono e hanno crisi di nervi a causa dell'elezione di Donald Trump è purtroppo vera, il che mi fa spezzare una lancia in suo favore per quanto riguarda una "certa immaturità" di quella fascia di popolazione che descrive. Il suo errore (GRAVE secondo me) è che generalizza questi personaggi ad un'intera generazione.
Io l'ho interpretato come una caratterizzazione di quella generazione visto che è in essa dove è forse più comune, e se lo è, lo è perchè sono proprio quelle persone che hanno avuto una crescita tale da favorire quei tratti.
Ma d'altro canto, quel tipo di isteria secondo me è anche abbastanza trasversale in tutte le demografiche possibili statuinitensi, e in questo la definirei anche bipartisan: retoriche simili, arroganza simile, forme di discorso simili, caccia alle streghe e agli spaventapasseri simile. A volte mi viene da pensare se sia una conseguenza connaturata proprio alla lingua, tanto facile da imparare nelle sue costruzioni spesso semplici, quanto magari inadatta a cogliere e concepire sfumature di pensiero meno nette e dogmatiche.