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Orenda Fink: "Invisible Ones"


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Inviato 16 settembre 2006 - 21:00

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(Saddle Creek, 2005)

orenda fink nasce nella metà degli anni 80 nell'alabama.
componente insieme a Maria Taylor (di cui segnalo 11-11) delle deliziose Azure Ray, fa parte, sempre insieme alla Taylor, anche della band indie-pop Now It's Overhead.
da ricordare, inoltre, il capriccio adolescenziale a nome Little Red Pocket, sempre in coppia con Maria, da cui sono nati due discreti album a cavallo degli anni 2000, Who Did You Pay (1997) e It's in the Sound (2000).
le due ragazze sono delle ottime compositrici, hanno delle trovate eccezionali e sanno cantare con gusto e intelligenza. insieme son capaci di grandi cose, come dimostrano tutti gli album cesellati nei vari progetti.
l'album in questione, per Orenda, è forse la più grande espressione delle qualità precedentemente solo appena sbocciate, come scrittrice e cantante.
in bilico fra un pop orchestrale e tentazioni folk, orenda ha un gusto melodico fuori dal comune. liberata da ogni (apparente) figura ingombrante, si impegna per realizzare un qualcosa di completamente suo, dall'inizio alla fine.
L'iniziale Leave It All si barcamena ciondolante su una linea di fisarmonica elettrica, un groove di batteria si strascica lento e sommesso, la voce si dipana con forza, i cori di sottofondo sono stupendi.
una canzone bella quanto il tramonto estivo più solare e colorato che c'è.
Invisible Ones Guard the Gate si basa sul piano, suonato divinamente da lei stessa, piccoli tocchi di violino impreziosiscono con gentilezza, un'atmosfera vagamente malinconica dona al pezzo un valore misterioso. La intepretazione si differenzia dalla precedente per un tono più oscuro e meno possente.
Bloodline ha un tiro più rock, incentrato sull'accoppiata basso/chitarra, reso incalzante da una batteria dritta e costante. Una nota di piano di troppo si lascia andare quando serve, la tastiera si dipana nell'aria con grande tatto.
Bling Asylium è un pop screziato da un contorno di archi appena pizzicati, cantanto flebile e delicato, un fiume d'emozione scorre fra i vicoli di questa canzone. un piccolo gioiello pop, raro, incantato, emozionante.
Tentazioni dream-pop, nella sognante Les Invisibiles, la canzone della felicità perduta la si può scovare in Miracle Worker, deliziosamente adagiata su un tappeto di tastiere appena percettibili.
Ancora quel dream-pop, amato fino alla follia, ricercato ed emulato in Evolution. La batteria innesta un ritmo ripetitivo di bellezza ossessionante, la chitarra si tuffa in una distorsione gentile, la voce, strinta in un abbraccio infinito con i cori, costruisce con i secondi un'atmosfera tutta personale ed emozionante. oscure notti ed una canzone da lasciar scorrere per non rimanere soli.
Ritorna il rock sporco e sdrucito in Dirty South, senza ovviamente andare sopra le righe con un episodio accessibile. Suono saturo di distorsione, battito rimbombante, voce dall'altro capo del mondo, un phatos che cresce piano piano, come il sole cade nella notte alla fine del giorno. il finale colmo di emozione si fa ricordare per il suo spessore, sempre in bilico fra rumore e melodia.
La bucolica Easter Island regala attimi di silenzio preziosi. fra un piano che suona stanco e spossato, le voci di sottofondo fungono da strumento, il cantato principale si perde e si ritrova in un'interpretazione toccante.
Tribale, con un'accento particolare, ancora, alle voci secondarie, conclude il disco il drumming sconosciuto di Animal, un titolo mai così azzeccato. L'alternarsi fra una nota veloce di violino e le parole, è un qualcosa che non ha prezzo, inestimabile per qualsiasi orecchio.
un disco sfuggente, scorbutico, di cui bisogna capire i capricci, per poi abbracciarlo completamente ed amarlo in ogni suo particolare.
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