capitolo forum chiuso per sempre. ciao.
http://youtu.be/BR76nuVTv0k
Inviato 13 gennaio 2018 - 11:46
E un passo di quella danza era costituito dal tocco più leggero che si potesse immaginare sull'interruttore, quel tanto che bastava a cambiare...
... adesso
e la sua voce il grido di un uccello
sconosciuto,
3Jane che rispondeva con una canzone, tre
note, alte e pure.
Un vero nome.
Inviato 13 gennaio 2018 - 11:50
continui a mostrare di aver capito tutto...
sei davvero un uomo del 2018!
p.s.: come se la logica formale fosse semplicemente un giochino fine a se stesso... come se tu potessi, dimenticandoti della logica stessa, dare un senso e un valore alle tue stesse parole di ribrezzo nei confronti di Severino...
hai capito tutto...
quando mancano gli argomenti, si passa alle battutine o agli scazzi
un classico senza tempo
A proposito del Maurizio Costanzo show, a me l'ospitata del Joker al programma del personaggio di De Niro ha ricordato una di Aldo Busi, ma proprio uguale, compreso il balletto con cui si presenta al pubblico. Dubito che Phoenix si sia ispirato a quella, ma in certe parti, quando si mette a checcheggiare, la somiglianza era impressionante.
il primo maggiorenne che vedrò vestito da joker a carnevale, halloween o similia lo prendo per il culo di brutto
minimo un A STRONZOOOO, ANCORA STU JOKER? STRONZOOOO, vieni a casa mia che ho bisogno di una mano a sgomberare la mansarda, STRONZOOOO
There is a duality between thought and language reminiscent of that which I have described between dreaming and play
Man the sum of his climatic experiences Father said. Man the sum of what have you
Inviato 13 gennaio 2018 - 11:51
sì, ma ora spostati, che non vedo il 2018!
TYPE O NEGATIVE. SLOW, DEEP AND HARD. Parole, musica e gesta di PETER STEELE
C A P T A I N M A S K R E P L I C A. Vita e arte di Don Van Vliet, CAPTAIN BEEFHEART
MEET AROUND THE ROCK - BEST OF ROCK (con Claudio Dosa & Federico Frusciante)
三生石
Inviato 13 gennaio 2018 - 11:52
A proposito del Maurizio Costanzo show, a me l'ospitata del Joker al programma del personaggio di De Niro ha ricordato una di Aldo Busi, ma proprio uguale, compreso il balletto con cui si presenta al pubblico. Dubito che Phoenix si sia ispirato a quella, ma in certe parti, quando si mette a checcheggiare, la somiglianza era impressionante.
il primo maggiorenne che vedrò vestito da joker a carnevale, halloween o similia lo prendo per il culo di brutto
minimo un A STRONZOOOO, ANCORA STU JOKER? STRONZOOOO, vieni a casa mia che ho bisogno di una mano a sgomberare la mansarda, STRONZOOOO
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Inviato 13 gennaio 2018 - 11:54
non leggevo "essere sul pezzo" da tempo immemore...
TYPE O NEGATIVE. SLOW, DEEP AND HARD. Parole, musica e gesta di PETER STEELE
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三生石
Inviato 15 gennaio 2018 - 14:56
« Fra tutti i concetti di natura scientifica, quello del caso distrugge più degli altri ogni antropocentrismo ed è il più intuitivamente inaccettabile da parte di quegli esseri profondamente teleonomici che siamo noi. »
- Jacques Monod, biologo e filosofo, premio Nobel nel 1965, tratta da "Il caso e la necessità", cap. VI, 3
You're an island of tranquillity in a sea of chaos. :.:: Last.fm
Inviato 15 gennaio 2018 - 15:38
A proposito del Maurizio Costanzo show, a me l'ospitata del Joker al programma del personaggio di De Niro ha ricordato una di Aldo Busi, ma proprio uguale, compreso il balletto con cui si presenta al pubblico. Dubito che Phoenix si sia ispirato a quella, ma in certe parti, quando si mette a checcheggiare, la somiglianza era impressionante.
il primo maggiorenne che vedrò vestito da joker a carnevale, halloween o similia lo prendo per il culo di brutto
minimo un A STRONZOOOO, ANCORA STU JOKER? STRONZOOOO, vieni a casa mia che ho bisogno di una mano a sgomberare la mansarda, STRONZOOOO
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Inviato 16 gennaio 2018 - 22:00
Incidentalmente, visto che hai evocato Vailati, non ho potuto fare a meno di pensare a Peirce, e mi son chiesto che ne avrebbe pensato lui del non 'poter trattare matematicamente' quel che si potrebbe definire l'aspetto 'sensibile' dell'esperienza. Oh, lui sarebbe stato in disaccordo. E no, non nel senso di cercare leggi che prevedano lo svolgimento di una sinfonia.
Questo accenno buttato lì una marea di tempo fa era rimasto senza spiegazione; ormai la pista è fredda ma provo lo stesso a spiegarmi.
Due premesse: la prima è che leggere Peirce è una esperienza sconcertante. Passa da momenti in cui è chiaro come un Russell che facesse la guida turistica, o rigoroso come un Quine insegnante di matematica allo scientifico, a momenti in cui supercazzoleggia come un Hegel a un acid test (pensatore a cui deve fra l'altro tantissimo, senza averlo mai ammesso).
Seconda premessa: Peirce era un logico con una formazione matematica (il padre era un professore di matematica ad Harvard), e come tale pensa. Io invece sono scarso in matematica, ed infatti ho fatto una fatica boia a capire molti dei suoi ragionamenti.
Ora, che vuol dire che pensa da logico con formazione matematica? Vuol dire che, quando vuole applicare la matematica ad un certo campo, il suo primo istinto non è di quantificare un fenomeno per sottoporlo poi a indagini di laboratorio (fra l'altro lui era laureato in chimica e ha sempre lavorato come ricercatore per agenzie scientifiche governative, quindi non è che fosse propriamente a digiuno di scienza). Il suo primo istinto era quello di vedere nel fenomeno una struttura formale.
Parlando dell'esperienza sensibile, di quella massa (apparentemente) informe di sensazioni, percezioni, emozioni ecc. che esistono e che viviamo anche al di qua della loro espressione verbale (e quindi della possibilità di applicarci la logica formale, e a maggior ragione metodi rigorosi di indagine scientifica), ebbene anche in questa esperienza Peirce ha individuato una struttura formale, che sarebbe quella del continuo.
Peirce è vissuto in un'epoca di grandi mutamenti nel campo matematico (che Peirce, sempre aggiornatissimo, seguiva quasi in tempo reale: era uno che leggeva gli studi di Cantor nell'originale tedesco, per capirci) e pochi di questi lo hanno esaltato quanto gli studi sul continuo (forse solo nel campo della probabilità si è applicato di più, portando anche dei contributi originali). E su questo concetto si è gettato a pesce per spiegare la struttura formale di fenomeni anche al di fuori dell'ambito strettamente matematico, come appunto il campo dell'esperienza 'antepredicativa'.
Non come analogia, per come mi è dato di capire, ma proprio come applicazione in senso proprio di una definizione molto generale di insieme continuo. In altre parole, l'esperienza sensibile non sarebbe strutturata "più o meno come" la retta dei numeri reali, ma sarebbe strutturata davvero come un insieme continuo lineare i cui elementi non sono numeri ma sensazioni.
Da bravo ignorante in matematica, mi rifaccio a una fonte misticamente molto in auge, Wikipedia (metto le mani avanti: non è che le mie conoscenze in merito vengono da Wikipedia, è che al momento non ho altro sottomano) dove vedo questa definizione:
"Formally, a linear continuum is a linearly ordered set S of more than one element that is densely ordered, i.e., between any two distinct elements there is another (and hence infinitely many others), and which "lacks gaps" in the sense that every non-empty subset with an upper bound has a least upper bound."
(E questo coincide abbastanza con il modo in cui Peirce spiega nei suoi testi il suo concetto di continuo, anche se il bastardone non riesce mai a essere così preciso, morisse tra atroci tormenti ).
Ora, secondo Peirce, se sottoponiamo la nostra esperienza sensibile a una osservazione fenomenologica (ah si, ha pure cominciato a fare fenomenologia più o meno contemporaneamente a Husserl: ve l'ho detto che è sconcertante) notiamo le caratteristiche di un insieme 'densamente ordinato': tra due qualità diverse, ad esempio due colori, (1) è possibile immaginare infinite sfumature intermedie, e (2) nel passare dall'una all'altra attraverso tutte le sfumature intermedie non si incontrano interruzioni. Rappresentando le sfumature come elementi di un insieme, l'insieme che ne risulta dovrebbe essere densamente ordinato (correggetemi se sbaglio).
Faccio subito due obiezioni: la prima è che il discorso non è sufficientemente rigoroso se non si trova un modo oggettivamente valido di definire, di 'fissare' in qualche modo queste esperienze elementari in modo da poter costruire il loro insieme. Il che contrasta un po' col carattere labile, fluido, inguaribilmente soggettivo delle nostre sensazioni. Vero, ma qui si vede come Peirce ragioni da logico: quando un logico usa il quantificatore universale, ad esempio, non si preoccupa se ci sia effettivamente la possibilità di fare esperienza di tutti i casi di un certo tipo. Peirce non era interessato, con questo discorso (ne ha fatti altri), a descrivere l'esperienza, ma solo a sondarne le possibilità logiche (e spiegherò poi il perché).
La seconda obiezione è che, intuitivamente, questo sembra funzionare per qualità semplici, colori, suoni... Che fare però con percezioni complesse, che integrano più sensazioni, come quella di un oggetto? Ma Peirce ha considerato il totale dell'esperienza che abbiamo in un certo momento come dotata di una struttura, una forma (una Gestalt?); apri gli occhi: quel che vedi non è un caos di oggetti separati l'uno dall'altro, ma uno spazio unico e coerente occupato da oggetti secondo delle strutture percettive che permettono di esplorare e modificare immaginativamente gli oggetti in esso contenuti anche al di là di quel che è possibile effettivamente vedere. (Da qui estrapolo, perché sull'argomento Peirce è sbrigativo ai limiti dell'ermetismo) queste forme non solo sono orientabili con l'immaginazione (possiamo mentalmente 'muoverci' nello spazio) ma anche per così dire 'trasformabili', attraverso passi infinitesimi e continui, in altre forme.
Avete presente l'illusione ottica del triangolo di Kanisza (https://www.focusjun...ione2.600.jpg)?Il fatto che questa forma faccia apparire un triangolo che in realtà non è disegnato non dipende da precise misure delle linee e aree coinvolte, e neppure da precise proporzioni tra queste; possiamo avvicinare, allontanare o mutare di dimensioni tutti i tratti del disegno, all'interno di un certo range, e continuerà ad apparire un qualche triangolo finché la posizione reciproca tra i tratti non è alterata).
Quindi anche strutture complesse, come quelle di un oggetto, o per dire, di un quadro, di una melodia ecc. non sono separati da abissi insormontabili dalle forme di altri oggetti, altri quadri, altri melodie; è possibile passare dall'uno all'altro per mezzo di trasformazioni che, prese tutte insieme, dovrebbero (sempre che non mi stia sbagliando di grosso) costituire un insieme continuo lineare.
(Incidentalmente, una teoria recente, quella di Jackendoff, spiega proprio tramite questi spettri di oggetti simili e trasformabili linearmente l'uno nell'altro il riferimento mentale dei concetti).
Fin qui siamo però in un campo molto astratto, dove la supercazzola è sempre dietro l'angolo (un angolo che Peirce girava spesso e volentieri) e dove è difficile immaginare qualcuno a parte un logico entusiasmarsi (e pure un logico non sarebbe soddisfatto finché non vede delle espressioni formali). Il fatto è che però Peirce ha applicato tutte queste riflessioni (e qui spiego quel perché che avevo preannunciato prima) per fondare la semiotica.
E mi hai detto cazzi.
Ora, se entriamo nel fantastico mondo della semiotica peirceana a Pasqua sono ancora qui, perciò non mi ci metto neanche.
Faccio un esempio, uno solo, di applicazione che ho trovato (metto le mani avanti: qui sto mettendo del mio) a un campo concreto, le opere d'arte musicali. E mi piacerebbe si parlasse dell'esempio più che delle supercazzole lì sopra.
Si è fatto un gran parlare, soprattutto nel campo dell'estetica analitica, del problema se l'opera d'arte in musica sia la composizione o l'esecuzione (esiste l'estetica analitica, e come potete ben immaginare sentire un filosofo analitico parlare di arte è solo un filino meno peggio di quel che sarebbe sentirlo parlare di sesso; con eccezione di Goodman, che è arido e puntiglioso, ma toglie un bel po' di ragnatele dal cervello: ma divago). Ok, detta così la sto facendo più semplice, ma diciamo che molti si sono crucciati ontologicamente del fatto che una stessa musica, diciamo la Nona di Beethoven, possa esprimersi in esecuzioni molto diverse eppure essere sempre la Nona di Beethoven. La musica è Type o Token? (termini introdotti da Peirce, by the way).
Appena ho assunto il punto di vista lì sopra descritto l'intera discussione è svanita in un buffo di fumo. Il problema nasce infatti dal voler incastrare a forza l'esperienza musicale in una ontologia di enti, numericamente distinti e dalla forma definita. Basta invece pensare una musica come una 'qualità d'esperienza' (estremamente complessa, ma dotata di una sua Gestalt) variabile per trasformazioni continue all'interno di un certo range, considerare cioè la Nona di Beethoven come quell'insieme continuo di esecuzioni di cui nessuna è, platonicamente, la Nona in sé, per annullare il paradosso e tutti i tentativi di risolverlo.
Ma c'è di più. Se è vero che la musica ha un suo linguaggio notazionale, discreto, in cui suoni fisicamente diversi sono considerabili lo stesso morfema (la stessa nota), è anche vero che questo sistema notazionale non si riferisce a un insieme numerabile di entità numericamente distinte ma 'segmenta', o comunque fissa dei punti, all'interno di uno spettro sonoro in cui le infinite posizioni intermedie tra un punto 'fissato' e un altro continuano comunque ad esistere, e a determinare l'esperienza globale del brano anche se il modo in cui lo fa non può essere formalizzato nella notazione. La 'sporcizia' del suono di uno strumento, per esempio, costituisce una variazione all'interno dello spettro possibile di suoni di cui quel che c'è scritto sul pentagramma costituisce una sorta di stenografia.
Magari sarà errato, ma il mondo di continui descritto da Peirce è indubbiamente molto più ricco e interessante di quello costituito da entità distinte.
Inviato 17 gennaio 2018 - 09:43
A proposito del Maurizio Costanzo show, a me l'ospitata del Joker al programma del personaggio di De Niro ha ricordato una di Aldo Busi, ma proprio uguale, compreso il balletto con cui si presenta al pubblico. Dubito che Phoenix si sia ispirato a quella, ma in certe parti, quando si mette a checcheggiare, la somiglianza era impressionante.
il primo maggiorenne che vedrò vestito da joker a carnevale, halloween o similia lo prendo per il culo di brutto
minimo un A STRONZOOOO, ANCORA STU JOKER? STRONZOOOO, vieni a casa mia che ho bisogno di una mano a sgomberare la mansarda, STRONZOOOO
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Inviato 17 gennaio 2018 - 11:26
associare un numero al punto di una retta è un'operazione che non richiede altri presupposti. ma associare all'esperieza sensibile una successione infinita di "senzazioni" (ad es "modo di starnutire" s1, s2, s3, ecc) resta una convenzione, una scatola vuota, se non si è precedentemente quantificata la "sensibilità" (uso il termine nel tuo significato.. ciò che pascal , il più grande di sempre , chiamava finesse ). quantificarla significa spiegare le differenze fra sensazioni in termini neurofisiologici , e non già in senso generale ma individuale (ad es. le specifiche morfologia e fisiologia del sistema neuroendocrino di beethoven o un compositore vivente, se ce ne fosse uno), impresa possibile ma improbabile. ma soprattutto esprimere la neurofisiologia, a sua volta, in termini matematci. ovvero stabilire le leggi che descrivono la totalità del "sistema fisico beethoven". e questo è il vero ostacolo, l'operazione impossibile perfino a livello teorico, per la discrepanza, di cui ora parlo , fra misurazioni aritmetiche o geometriche (discontinue) e "sensibilità" (continua).Non come analogia, per come mi è dato di capire, ma proprio come applicazione in senso proprio di una definizione molto generale di insieme continuo. In altre parole, l'esperienza sensibile non sarebbe strutturata "più o meno come" la retta dei numeri reali, ma sarebbe strutturata davvero come un insieme continuo lineare i cui elementi non sono numeri ma sensazioni.
[...]
Ora, secondo Peirce, se sottoponiamo la nostra esperienza sensibile a una osservazione fenomenologica (ah si, ha pure cominciato a fare fenomenologia più o meno contemporaneamente a Husserl: ve l'ho detto che è sconcertante) notiamo le caratteristiche di un insieme 'densamente ordinato': tra due qualità diverse, ad esempio due colori, (1) è possibile immaginare infinite sfumature intermedie, e (2) nel passare dall'una all'altra attraverso tutte le sfumature intermedie non si incontrano interruzioni. Rappresentando le sfumature come elementi di un insieme, l'insieme che ne risulta dovrebbe essere densamente ordinato (correggetemi se sbaglio).
questo è il punto. le grandezze matematiche sono sempre discrete. puoi interpretare lo spazio, ad es., come insieme di infiniti punti a cui è associabile l'insieme dei numeri reali (oppure triplette), ma resta una velleità concettuale. perché quando passi alla misurazione del continuo, cioè dell'infinitesimale (ad esempio il comportamento di una funzione intorno a un dato valore) , è necessrio impiegare i concetti di limite, o di probabilità, perché questi sono i modi (ce ne sono altri, tutti approssimativi) con cui il linguaggio matematico tratta l'intuizione di infinito o infinitesimo , nonché di continuo reale. è questo l'errore degli scientisti (ovviemente non mi riferisco né a te né a peirce), che di solito con la scienza hanno poco a che fare: non saper distinguere il pensiero da uno dei suoi linguaggi.Faccio subito due obiezioni: la prima è che il discorso non è sufficientemente rigoroso se non si trova un modo oggettivamente valido di definire, di 'fissare' in qualche modo queste esperienze elementari in modo da poter costruire il loro insieme. Il che contrasta un po' col carattere labile, fluido, inguaribilmente soggettivo delle nostre sensazioni.
l'errore in questo caso sarebbe : se fosse possibile quantificare tutte le sfumature dell'esperienza, è evidente che le possibilità logiche di farlo siano fondate. il problema è che non è possibile quantificarle, o per lo meno va dimostrato.Vero, ma qui si vede come Peirce ragioni da logico: quando un logico usa il quantificatore universale, ad esempio, non si preoccupa se ci sia effettivamente la possibilità di fare esperienza di tutti i casi di un certo tipo. Peirce non era interessato, con questo discorso (ne ha fatti altri), a descrivere l'esperienza, ma solo a sondarne le possibilità logiche (e spiegherò poi il perché).
La seconda obiezione è che, intuitivamente, questo sembra funzionare per qualità semplici, colori, suoni... Che fare però con percezioni complesse, che integrano più sensazioni, come quella di un oggetto? Ma Peirce ha considerato il totale dell'esperienza che abbiamo in un certo momento come dotata di una struttura, una forma (una Gestalt?); apri gli occhi: quel che vedi non è un caos di oggetti separati l'uno dall'altro, ma uno spazio unico e coerente occupato da oggetti secondo delle strutture percettive che permettono di esplorare e modificare immaginativamente gli oggetti in esso contenuti anche al di là di quel che è possibile effettivamente vedere. (Da qui estrapolo, perché sull'argomento Peirce è sbrigativo ai limiti dell'ermetismo) queste forme non solo sono orientabili con l'immaginazione (possiamo mentalmente 'muoverci' nello spazio) ma anche per così dire 'trasformabili', attraverso passi infinitesimi e continui, in altre forme.
Avete presente l'illusione ottica del triangolo di Kanisza (https://www.focusjun...ione2.600.jpg)?Il fatto che questa forma faccia apparire un triangolo che in realtà non è disegnato non dipende da precise misure delle linee e aree coinvolte, e neppure da precise proporzioni tra queste; possiamo avvicinare, allontanare o mutare di dimensioni tutti i tratti del disegno, all'interno di un certo range, e continuerà ad apparire un qualche triangolo finché la posizione reciproca tra i tratti non è alterata).
Quindi anche strutture complesse, come quelle di un oggetto, o per dire, di un quadro, di una melodia ecc. non sono separati da abissi insormontabili dalle forme di altri oggetti, altri quadri, altri melodie; è possibile passare dall'uno all'altro per mezzo di trasformazioni che, prese tutte insieme, dovrebbero (sempre che non mi stia sbagliando di grosso) costituire un insieme continuo lineare.
(Incidentalmente, una teoria recente, quella di Jackendoff, spiega proprio tramite questi spettri di oggetti simili e trasformabili linearmente l'uno nell'altro il riferimento mentale dei concetti)
Inviato 17 gennaio 2018 - 13:43
Vi ringrazio per le risposte, sono molto interessanti.
Ora sono al lavoro, stasera provo a rispondere almeno ad alcuni punti.
Inviato 17 gennaio 2018 - 15:34
Il problema nasce infatti dal voler incastrare a forza l'esperienza musicale in una ontologia di enti, numericamente distinti e dalla forma definita.
Veramente il problema a me pare nascere dal volere incastrare a forza l'esperienza musicale in qualcosa che non ha nulla a che fare con l'esperienza (in generale) e con l'esperienza musicale (in particolare) e soprattutto in qualcosa che non ha nulla a che fare con il modo di darsi dell'esperienza stessa.
Dopo avere operato questa specie di "violenza" (tipica dell'atteggiamento reattivo che si difende dalla vita) e avere instaurato il mondo della rappresentazione (per dirla con Nietzsche) nasce - in effetti - tutta una serie di problemi che ci si sforza di risolvere con sottigliezze sempre più causidiche e che danno l'impressione di estrema profondità.
Mah...
«Ciò che l'uomo può essere per l'uomo non si esaurisce in forme comprensibili».
(k. jaspers)
Moriremotuttista
Inviato 17 gennaio 2018 - 15:38
A proposito del Maurizio Costanzo show, a me l'ospitata del Joker al programma del personaggio di De Niro ha ricordato una di Aldo Busi, ma proprio uguale, compreso il balletto con cui si presenta al pubblico. Dubito che Phoenix si sia ispirato a quella, ma in certe parti, quando si mette a checcheggiare, la somiglianza era impressionante.
il primo maggiorenne che vedrò vestito da joker a carnevale, halloween o similia lo prendo per il culo di brutto
minimo un A STRONZOOOO, ANCORA STU JOKER? STRONZOOOO, vieni a casa mia che ho bisogno di una mano a sgomberare la mansarda, STRONZOOOO
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Inviato 17 gennaio 2018 - 16:15
per ovviare a questi problemi , ammesso che siano problemi, la matematica non ha purtroppo nessuno "strumento cognitivo che me lo sogno". e i matematici (molto più degli ingegneri, dei medici, e così via) sono i primi a dirtelo.Il matematico ha una quantita' di strumenti cognitivi per ovviare a questi problemi che te la sognia parte la difficoltà pratica di eseguire due volte lo stesso brano - e questo già suggerisce l'inadeguatezza del linguaggio matematico
Inviato 17 gennaio 2018 - 16:58
Inviato 17 gennaio 2018 - 21:44
Ok, proviamo a rispondere, un po' selettivamente ché il tempo è tiranno (oltre che continuo).
Parto da bachi.
BACHI: la fisica 1. raccoglie misurazioni dall'esperienza , 2. individua una costante , cioè una legge, 3. verifica le previsioni della legge mediante misurazioni successive.
questa cosa con una sinfonia di beethoven non è applicabile. se tu da 1 h di Nona misuri ogni singola onda sonora per 30 min, ma anche 50 min, anche acquisendo porzioni sparse dell'opera , non troverai mai nessuna legge che ti faccia dedurre i restanti 10 o 30. ma nemmeno un singolo minuto. mi spiego man mano ti quoto.
Beh si, ma non è questo il punto e l'avevo messo in chiaro da subito.
Il problema sta un po' nel cosa aspettarsi/che scopo darsi. Se ti aspettavi una chiave allo studio fisico della musica, mi spiace d'averti portato fuori strada ma il mio non è lo stesso campo da gioco, lo stesso campionato e neppure lo stesso sport.
Il punto, forse, è anche a che discorso si sta reagendo. Ed io sto reagendo, tramite Peirce che a sua volta sta reagendo (anche) a qualcosa di simile, a un tipo di discorso 'metalinguistico', per così dire, dove nel passaggio "esperienza"->"discorso (quotidiano) sull'esperienza"->"ipostatizzazione dei termini che il discorso introduce"->"definizioni in termini di metalinguaggio di ciò di cui il linguaggio parla", ecco in questo passaggio l'introduzione di un metalinguaggio alternativo mi ha permesso di eliminare il passo tre e, magari, di approssimare un po' più da vicino (non raggiungere) la versatilità del passo due, che a sua volta approssima (non raggiunge) la ricchezza del passo uno.
(Poi non sta scritto da nessuna parte che la via debba passare per la formalizzazione; questo è un percorso, quello che ho seguito io).
Un po' astratto, vediamo se mi riesce di rimanere con i piedi per terra.
Dico una cosa in termini di battuta. Di fronte a un fenomeno il primo istinto di un fisico può essere: come lo quantifico? Il primo istinto di un logico è: come lo formalizzo? La domanda che mi pungola è la seconda, quindi è per questo che alla problematica che mi agiti sopra (la Nona di Beethoven dedotta nomologicamente) non so come venire incontro ma a dirla tutta manco mi pongo il problema.
Vediamo un po' la faccenda della formalizzazione. Di fronte alla identificazione di qualcosa come quella tale cosa, la risposta tradizionale è quella di fornire condizioni necessarie e sufficienti che qualcosa deve soddisfare perché sia quella tale cosa. Quindi ci sarebbe un criterio generale di identità sortale (o identificazione sotto un concetto) per cui ogni dato oggetto rientra sotto il concetto se e solo se soddisfa una serie di condizioni elencate nella definizione del concetto.
Per alcuni concetti sono date queste condizioni necessarie e sufficienti, altri sono molto più vaghi, e risulta difficile dire esattamente cosa deve essere soddisfatto da un oggetto per essere la tal cosa. Il punto di vista metalinguistico, di questa difficoltà pratica, se ne impippa regalmente. La regola così definita non elenca le condizioni che un oggetto deve soddisfare per essere una istanza del concetto tal-dei-tali, ma prescrive che, per ogni concetto deve esistere un insieme di condizioni definite tali che, per ogni oggetto, se l'oggetto soddisfa congiuntamente tutte le condizioni allora l'oggetto è identificabile come istanza del concetto. (Una meta-regola?)
Si, dice la persona pratica, ma che me ne faccio della meta-regola se, per questo particolare concetto, non ho idea di quali siano le sue condizioni di identificazione, e forse non ce le avrò mai?
Problemi tuoi, risponde il logico, io lo schema te l'ho dato, sta a te farne uso; sappi che, se trovi una definizione, e non rispetta lo schema che ti ho dato, stai sbagliando qualcosa. Per il resto vai con Dio.
La tua obiezione potrebbe essere quella della persona pratica, ed è giustificata.
La mia è che lo schema è sbagliato.
O meglio, che vale per certi casi ma non può essere generalizzato.
In che modo quanto suggerito da Peirce costituisce una alternativa? L'identificazione di un qualcosa come tale può essere il riconoscimento di una somiglianza del qualcosa da identificare con un prototipo accettato come non problematico. O il riconoscimento di una maggiore prossimità tra due esperienze rispetto ad altre esperienze prese a paragone. O qualcosa del genere (i dettagli formali si possono discutere, Roma non è stata fatta in un giorno ecc.)
Ma...
BACHI: ma associare all'esperieza sensibile una successione infinita di "senzazioni" (ad es "modo di starnutire" s1, s2, s3, ecc) resta una convenzione, una scatola vuota, se non si è precedentemente quantificata la "sensibilità" (uso il termine nel tuo significato.. ciò che pascal , il più grande di sempre , chiamava finesse ).
Mmh... si e no. In parte sono in disaccordo sulla questione della quantificazione (ma questo tra un attimo), in parte è sempre questione di che si sta cercando. Una 'legge' della sensibilità? No, non è quello che voglio venderti (non ce l'ho, diciamolo chiaramente). Uno schema, una meta-regola sotto cui sussumere tutte le svariate 'regole' d'uso dei concetti? Eccoci.
Ma non vale la stessa obiezione pratica fatta alla meta-regola precedente? Cioè che senza criteri effettivi, rimanga solo 'una scatola vuota'?
Si. Decisamente si.
Ma con una importante differenza.
Lo schema per "condizioni necessarie e sufficienti" rimane effettivamente inerte, inutilizzabile, finché le condizioni non siano state specificate tutte, e in modo chiaro. Lo schema per "trasformazioni continue" (chiamiamolo così anche se è impreciso) è già utilizzabile anche con la più minimale delle distinzioni e degli ordinamenti tra fenomeni.
Prendiamo l'esempio del modo di starnutire. Non puoi, quantomeno, chiedere se il tuo interlocutore è in grado di distinguere tra tre modi di starnutire che gli sottoponi? E, magari, di ordinarli per maggiore o minore prossimità o somiglianza? Non si ottiene così, a tutti gli effetti, per approssimazioni successive, uno spettro di modi di starnutire?
Obiezione: ma non è un vero continuo, comunque hai a che fare con elementi discreti. Risposta: vero, ma il ruolo del continuo qui è metalinguistico; è riconoscere la possibilità di introdurre sempre nuovi elementi nello schema in formazione e di poterne giudicare la posizione reciproca rispetto agli elementi già introdotti.
Obiezione: ma questo modo di 'definire' un concetto non è preciso, bisognerebbe poi definire la prossimità o somiglianza ecc. Risposta: (a parte il fatto che gran parte del problema nasce dalla scelta dell'esempio, ci sono casi in cui puoi dare dei criteri ben precisi di somiglianza: vedi il triangolo di Kanisza) Si, non è preciso. Come molti concetti d'uso quotidiano non sono precisi. Lo schema tradizionale di definizione considera la vaghezza aberrante, questo l'accetta e cerca di spiegarla.
(Obiezione: ma qual uso ci può essere nella scienza di concetti del genere? Risposta: ma ho mai detto che bisogna farne uso nella scienza? Quel che mi preme è trovare una chiave per comprendere le pratiche discorsive più disparate; se una pratica vive di concetti vaghi non vuol dire che l'uso di quei concetti non risponda a nessuna 'grammatica').
Obiezione (e qui torniamo alla quantificazione)
BACHI: se fosse possibile quantificare tutte le sfumature dell'esperienza, è evidente che le possibilità logiche di farlo siano fondate. il problema è che non è possibile quantificarle, o per lo meno va dimostrato.
No, o meglio dipende innanzitutto dallo scopo che si ha: (1) trovare le leggi 'scientifiche' sottese all'esperienza (e allora si) o (2) individuare la logica sottesa a una pratica discorsiva (quale che sia) interessata alle sfumature dell'esperienza?
In questo secondo caso la richiesta di 'quantificare' mi sembra troppo restrittiva, in quanto tra la quantificazione in senso stretto e la totale anomia rimane sempre la possibilità (come detto sopra) di ordinare i fenomeni (senza dare una dimensione quantificata alle differenze tra essi): per gradi di somiglianza, per maggiore o minore fiducia nell'identificazione ecc. (Le possibilità sono numerose)
Ed è possibile usare strumenti rigorosi, formali, per studiare gli ordinamenti creati dai parlanti con la loro pratica discorsiva.
Gli ordinamenti così ottenuti, poi, potrebbero porsi in corrispondenza con grandezze effettivamente quantificabili oppure no.
Riesci a farlo? Bene, fai entrare la scienza nel quadro.
Non riesci a farlo? Peccato, ma quantomeno possiamo vedere come funziona la grammatica interna di molti (forse la maggior parte) dei modi usati dagli uomini per significare la loro esperienza.
Altre obiezioni che mi vengono in mente:
Ma questi ordinamenti non sono soggettivi?
Non si modificano nel tempo, man mano che aggiungiamo identificazioni nuove, inaspettate, allo spettro definito in precedenza?
Non sono specifiche di una cultura, di un contesto?
Si a tutto, e a dire il vero vedo solo vantaggi qui. Un approccio molto più versatile e vicino alle pratiche discorsive effettive.
L'obiezione più grossa che mi viene in mente, forse: ma non eravamo partiti dalle infinite sfumature della esperienza sensibile? Il discorso adesso verte sul linguaggio, è diventato questione di definizione di parole e abbiamo cambiato campo da gioco (e impoverito il tutto).
Beh, è purtroppo un rischio con la mia formazione e con il tipo di ricerche che sono abituato a fare. E' anche una distorsione dovuta al fatto che, adesso, ho fatto un esempio concreto di approccio formale (quello delle definizioni di concetti). Lo scrivo qui e spero che lo leggiate anche se è in fondo al papiro: NON E' TUTTA QUI LA QUESTIONE, E' SOLO UN ASPETTO E HO SCELTO L'ASPETTO CHE MI VENIVA PIU' FACILE GESTIRE.
Il fatto è che l'ambito di interesse di Peirce non è la semantica ma la semiotica, che è più ampia, e studiare il segno coinvolge molto di ciò che è fuori dell'ambito del linguaggio verbale. E mentre l'approccio metalinguistico analitico solo del linguaggio verbale può trattare, l'approccio peirceano si mostra adatto sia a quello che ad altri ambiti.
(Iniizialmente volevo fare un secondo ragionamento proprio sulla semiotica, ma ho scritto troppo, è tardi e sto esagerando).
Ma giusto per concludere: se pensate di nuovo alle forme, alle Gestalt visive, all'arte figurativa anche, abbiamo tutto un ambito in cui è applicabile (con i dovuti accorgimenti) l'idea peirceana del continuo bypassando il medium linguistico.
Inviato 17 gennaio 2018 - 22:14
E ora Elle:
Prendiamo ad esempio il colore. Le lunghezze d'onda si possono mettere su uno spettro continuo, poi che nella realtà abbiamo davvero a che fare con tutte le lunghezze non lo so, eh, neppure limitandoci allo spettro del visibile per ovvie ragioni.
Ecco, ci sono già due cose che mi sembrano increspare quel che sosterrebbe P.: da un lato lo spazio dei colori percepibili non è monodimensionale, dall'altro non è vero che, date due sfumature, possiamo immaginare o percepire tutta la continuità di mezzo.
Hai perfettamente ragione, secondo me.
Il colore, semioticamente parlando, è una brutta bestia. Si presta tanto bene come esempio per spiegare quel che intende Peirce (e infatti lui lo usa sistematicamente), perché appare quasi come la qualità semplice per eccellenza; e ci si sbriciola tra le mani quando si tenti di analizzarlo in questi termini.
Allora, sul fatto del poter percepire la continuità, è sicuramente impossibile, e una volta avevo pure letto in giro quante sfumature diverse l'apparato visivo umano sia in grado di distinguere (si trattava di alcuni milioni, una enormità ma sicuramente un numero finito).
Quindi l'idea (teorica, anzi neppure teorica ma proprio puramente ipotetica) di un continuo di colori è sovradeterminata, troppo ricca, rispetto al fenomeno che dovrebbe mappare. Ma vedila nell'altro senso: le distinzioni di colori esistenti nel linguaggio sono al contrario troppo povere. Eppure ancora adesso, persino il filosofo non resiste alla tentazione di trattare il predicato che definisce il colore ('rosso') come un predicato semplice. E' sbagliato, ma forse più approssimato al vero, trattarlo invece come un segmento di spettro dai confini 'fuzzy' (e a questo proposito, è chiaro che finché si tratta di sfumature poste a grande distanza la loro distinzione non è problematica e pare 'naturale' il raggruppamento in rossi, verdi, ecc. Il punto nevralgico è cosa succede al confine, ed è qui che risalta l'errore di trattare i predicati per colori come mutualmente esclusivi; nei fatti, l'indicazione pratica da trarre da questo discorso sui colori è adottare un certo tipo di logica per i termini che li definiscono).
Questo, però, sempre ammesso che la qualità 'colore' sia semplice, semioticamente monadica, come sembra presupporre Peirce. Hai spiegato molto bene i motivi per cui questo può essere messo in dubbio.
Un ultima cosa: una volta entrato nell'ambito semiotico, ci si trova di fronte alla fantastica opportunità di trattare ogni oggetto a sua volta come segno. Che sia effettivamente formato da elementi continui o 'solo' da tantissimi elementi discreti, resta il fatto che il sistema colore ha potenzialità espressive semplicemente enormi. A questo punto possiamo ribaltare completamente la prospettiva e non chiederci più se i nostri concetti siano adeguati a descriverlo, ma che cosa invece possiamo significare con esso.
Inviato 17 gennaio 2018 - 22:50
A proposito del Maurizio Costanzo show, a me l'ospitata del Joker al programma del personaggio di De Niro ha ricordato una di Aldo Busi, ma proprio uguale, compreso il balletto con cui si presenta al pubblico. Dubito che Phoenix si sia ispirato a quella, ma in certe parti, quando si mette a checcheggiare, la somiglianza era impressionante.
il primo maggiorenne che vedrò vestito da joker a carnevale, halloween o similia lo prendo per il culo di brutto
minimo un A STRONZOOOO, ANCORA STU JOKER? STRONZOOOO, vieni a casa mia che ho bisogno di una mano a sgomberare la mansarda, STRONZOOOO
There is a duality between thought and language reminiscent of that which I have described between dreaming and play
Man the sum of his climatic experiences Father said. Man the sum of what have you
Inviato 18 gennaio 2018 - 09:50
esatto. avevamo cominciato il discorso parlando della conoscenza matematica e di quella simbolica, non di semiotica, o di quali segni potrebbero usare gli uomini per mettersi d'accordo quando parlano fra loro. questo ha già molto più a che fare con la sociologia.L'obiezione più grossa che mi viene in mente, forse: ma non eravamo partiti dalle infinite sfumature della esperienza sensibile? Il discorso adesso verte sul linguaggio, è diventato questione di definizione di parole e abbiamo cambiato campo da gioco (e impoverito il tutto).
il fatto è che la tua obiezione peirceana sembrava una risposta alla mia affermazione che la fisica (nella sua forma matematica) non possa misurare tutto, e citavo la sinfonia o "i modi di camminare, ecc ecc" come esempi. forse qui nasce il mio fraintendimento.Il problema sta un po' nel cosa aspettarsi/che scopo darsi. Se ti aspettavi una chiave allo studio fisico della musica, mi spiace d'averti portato fuori strada ma il mio non è lo stesso campo da gioco, lo stesso campionato e neppure lo stesso sport.
su questo non concordo, credo. tutti, fisici, logici, poeti rispondono a quell'unica domanda: "come lo formalizzo?". il fisico adotta i linguaggi della misura e della logica , il logico adopera soltanto il secondo. il musicista si serve di un altro linguaggio ancora, e così via. ogni linguaggio ha i propri vantaggi , ad esempio solo quello matematico è strutturato in modo da prevedere i suoi predicati ,cioè le misurazioni. ma penso sia una (doverosa) sottigliezza, dato che non mi sembri uno di quegli esagitati tipo severino ,o il mio comunque sempre amato calasso, che confondono tecnica e matematica, o peggio credono che la matematica sia una roba da automi.Dico una cosa in termini di battuta. Di fronte a un fenomeno il primo istinto di un fisico può essere: come lo quantifico? Il primo istinto di un logico è: come lo formalizzo? La domanda che mi pungola è la seconda, quindi è per questo che alla problematica che mi agiti sopra (la Nona di Beethoven dedotta nomologicamente) non so come venire incontro ma a dirla tutta manco mi pongo il problema.
la mia personale obiezione , in ogni caso molto pratica : è applicabile (a qualcosa di importante) questa meta-regola? e che vantaggi mi porta?Il punto di vista metalinguistico, di questa difficoltà pratica, se ne impippa regalmente. La regola così definita non elenca le condizioni che un oggetto deve soddisfare per essere una istanza del concetto tal-dei-tali, ma prescrive che, per ogni concetto deve esistere un insieme di condizioni definite tali che, per ogni oggetto, se l'oggetto soddisfa congiuntamente tutte le condizioni allora l'oggetto è identificabile come istanza del concetto. (Una meta-regola?)
Si, dice la persona pratica, ma che me ne faccio della meta-regola se, per questo particolare concetto, non ho idea di quali siano le sue condizioni di identificazione, e forse non ce le avrò mai?
Problemi tuoi, risponde il logico, io lo schema te l'ho dato, sta a te farne uso; sappi che, se trovi una definizione, e non rispetta lo schema che ti ho dato, stai sbagliando qualcosa. Per il resto vai con Dio.
La tua obiezione potrebbe essere quella della persona pratica, ed è giustificata.
secondo me regge l'obiezione precedente. che senso ha tutto questo? perché dovrei applicare una stuttura logica ai modi di starnutire? se il meta-linguaggio fosse preciso , allora potrei adoperarlo per una trattazione scientifica anche di quei fenomeni di cui la scienza non si occupa. ma dato che restano sempre segni rapportati fra loro secondo regole logiche, si torna all'obiezione primaria che muovevo a certa filosofia : tentare di applicare procedimenti logico-deduttivi a partire da concetti indefiniti, di modo che più si avanza più aumenta l'errore, fino ad arrivare a paradossi , o a far dire al sistema formalw quello che si vuole.Prendiamo l'esempio del modo di starnutire. Non puoi, quantomeno, chiedere se il tuo interlocutore è in grado di distinguere tra tre modi di starnutire che gli sottoponi? E, magari, di ordinarli per maggiore o minore prossimità o somiglianza? Non si ottiene così, a tutti gli effetti, per approssimazioni successive, uno spettro di modi di starnutire?
Obiezione: ma non è un vero continuo, comunque hai a che fare con elementi discreti. Risposta: vero, ma il ruolo del continuo qui è metalinguistico; è riconoscere la possibilità di introdurre sempre nuovi elementi nello schema in formazione e di poterne giudicare la posizione reciproca rispetto agli elementi già introdotti.
Obiezione: ma questo modo di 'definire' un concetto non è preciso, bisognerebbe poi definire la prossimità o somiglianza ecc. Risposta: (a parte il fatto che gran parte del problema nasce dalla scelta dell'esempio, ci sono casi in cui puoi dare dei criteri ben precisi di somiglianza: vedi il triangolo di Kanisza) Si, non è preciso. Come molti concetti d'uso quotidiano non sono precisi. Lo schema tradizionale di definizione considera la vaghezza aberrante, questo l'accetta e cerca di spiegarla.
(Obiezione: ma qual uso ci può essere nella scienza di concetti del genere? Risposta: ma ho mai detto che bisogna farne uso nella scienza? Quel che mi preme è trovare una chiave per comprendere le pratiche discorsive più disparate; se una pratica vive di concetti vaghi non vuol dire che l'uso di quei concetti non risponda a nessuna 'grammatica').
anche qui, vale "l'obiezione primaria", se vogliamo chiamarla così.Obiezione (e qui torniamo alla quantificazione)
BACHI: se fosse possibile quantificare tutte le sfumature dell'esperienza, è evidente che le possibilità logiche di farlo siano fondate. il problema è che non è possibile quantificarle, o per lo meno va dimostrato.
No, o meglio dipende innanzitutto dallo scopo che si ha: (1) trovare le leggi 'scientifiche' sottese all'esperienza (e allora si) o (2) individuare la logica sottesa a una pratica discorsiva (quale che sia) interessata alle sfumature dell'esperienza?
In questo secondo caso la richiesta di 'quantificare' mi sembra troppo restrittiva, in quanto tra la quantificazione in senso stretto e la totale anomia rimane sempre la possibilità (come detto sopra) di ordinare i fenomeni (senza dare una dimensione quantificata alle differenze tra essi): per gradi di somiglianza, per maggiore o minore fiducia nell'identificazione ecc. (Le possibilità sono numerose)
Ed è possibile usare strumenti rigorosi, formali, per studiare gli ordinamenti creati dai parlanti con la loro pratica discorsiva.
Gli ordinamenti così ottenuti, poi, potrebbero porsi in corrispondenza con grandezze effettivamente quantificabili oppure no.
Riesci a farlo? Bene, fai entrare la scienza nel quadro.
Non riesci a farlo? Peccato, ma quantomeno possiamo vedere come funziona la grammatica interna di molti (forse la maggior parte) dei modi usati dagli uomini per significare la loro esperienza.
ma quelle Gestalten funzionano perché rispondono a forme geometriche, che sono precise proprietà della mente. cioè, non esiste un solo uomo sano che non veda nella bandiera UE una circonferenza di stelle e che non associ quella forma alla forma della pupilla o del sole. nessuno ce lo insegna , lo sappiamo e basta. il triangolo del tuo esempio non è un segno, e nemmeno un simbolo, ma un modo proprio con cui organizziamo l'esperienza. anche la logica lo è, però le nozioni non matematiche non sostengono un numero elevato di deduzioni.Ma giusto per concludere: se pensate di nuovo alle forme, alle Gestalt visive, all'arte figurativa anche, abbiamo tutto un ambito in cui è applicabile (con i dovuti accorgimenti) l'idea peirceana del continuo bypassando il medium linguistico.
Inviato 18 gennaio 2018 - 18:33
secondo me regge l'obiezione precedente. che senso ha tutto questo? perché dovrei applicare una stuttura logica ai modi di starnutire? se il meta-linguaggio fosse preciso , allora potrei adoperarlo per una trattazione scientifica anche di quei fenomeni di cui la scienza non si occupa. ma dato che restano sempre segni rapportati fra loro secondo regole logiche, si torna all'obiezione primaria che muovevo a certa filosofia : tentare di applicare procedimenti logico-deduttivi a partire da concetti indefiniti, di modo che più si avanza più aumenta l'errore, fino ad arrivare a paradossi , o a far dire al sistema formalw quello che si vuole.
Una cosa è applicare regole di derivazione deduttive a concetti indefiniti, un'altra cosa e ben diversa è avere quei concetti indefiniti stessi come oggetti d'indagine e usare metodi formali adatti allo studio di ciò che è vago (e ce ne sono) come sistema di coordinate per orientarsi tra questi, analizzarne i rapporti reciproci ecc. Che è ciò che spero di fare.
In questo si annida un possibile errore e un possibile pericolo. Il possibile errore è tentare di trarre conclusioni deduttive da ciò che non è abbastanza definito per permetterlo: ma tanto per cominciare non sono le lunghe catene deduttive more geometrico quel che mi interessa, quanto l'analisi del caso singolo di cui lo strumento formale è appunto, solo uno strumento; e per evitare l'errore bisogna conoscere lo strumento e capire quel che consente. Chiaramente se uso uno strumento adatto per studiare un concetto vago, questo rende (forse) la mia comprensione della complessità del concetto più chiara, le sue complicazioni più evidenti, ma non mi rende il concetto meno vago (e quindi più usabile in contesti deduttivi).
Il pericolo (che è ben più serio) è di dare priorità al formalismo rispetto all'importanza di ciò che si analizza. Di analizzare per il gusto di analizzare. Qui bisogna ricordarsi che lo strumento non è l'oggetto, che ogni tanto è opportuno lasciarlo nella cassetta degli attrezzi e che abbiamo più strade a disposizione.
Spero di aver sempre abbastanza buon senso da non cadere in questo pericolo.
Il che ci porta all'obiezione primaria: che vantaggi ha un simile approccio? T'assicuro che la prendo sul serio, è indispensabile chiederlo e l'onere della prova spetta a me. D'altra parte direi che posso tentare di mostrare che guadagni porti solo percorrendola; poi posso proporre quel che se ne ricava e voi potete dirmi se vi illumina un po' di più sul fenomeno analizzato, se vi mostra un aspetto che non vi era riuscito di cogliere altrimenti (un aspetto, non ho mai aspirato alla completezza) oppure no.
Per me a volte questo approccio è stato illuminante. Ma magari quel che io ho visto per questa via, ad altri risultava già palese da un'altra strada. Non mi stupirei.
La semiotica peirceana che vantaggi ha? Beh, mi viene da chiedermi, rispetto a cosa?
Ci sono dei grandi intuitivi che riescono a muoversi tra i fenomeni più sottili e impalpabili con una acutezza, una profondità, una scioltezza che nessun metodo potrà mai insegnare. Questi potrebbero prendersi i miei suggerimenti e usarli per nettarsi le parti basse, ed io muto. Li invidio tantissimo.
Ma c'è anche un modo di vedere l'arte che, sotto magari la guisa di un rispetto a parole per l'alterità e la 'purezza' dell'opera, in realtà è rigidissimo e quasi tautologico. Mi viene in mente Croce. Ogni opera sarebbe una individualità incommensurabile nella sua totalità organica: tutto bellissimo, ma in pratica si limita a vedere ogni opera come identica a se stessa e distinta da ogni altra cosa. Intanto le opere d'arte vivono in uno scambio comunicativo continuo, sensi multipli si annidano in essi e si esplicano in interpretazioni storicamente determinate, si parlano tra loro e si cannibalizzano a vicenda, e nell'epoca della riproducibilità tecnica (Beniamin è uno di quelli che mi fa schiattare d'invidia) proprio la sua non individualità diventa un tratto caratterizzante dell'esperienza artistica. Non pretendo che Peirce fornisca la chiave di tutto, ma permette (mi ha permesso, quanto meno) di seguire queste reti di sensi in modo più aderente al fenomeno e (ti sembrerà incredibile) assai meno rigido di una idea ancora romantica d'arte (al fondo ontologica, anche se con un linguaggio pseudo-evocativo).
[Barthes aveva notato come, nel parlare d'arte più diffuso e comune, si amassero tanto le tautologie ("Racine è Racine", l'esempio che fa lui, "Leonardo è Leonardo", "La Nona è la Nona", "Io so' io e voi non siete un cazzo" ). Barthes ad esempio era uno che usava la semiotica nel suo approccio alle opere d'arte, e ne riesce a trarre considerazioni illuminanti. Se lui si muove con grande delicatezza tra le opere più complesse e intrattabili mentre io sembro il monumento al pedante ignoto non è questione di strumenti utilizzati, è che lui è dieci milioni di volte più in gamba di me].
Inviato 18 gennaio 2018 - 19:56
secondo me regge l'obiezione precedente. che senso ha tutto questo? perché dovrei applicare una stuttura logica ai modi di starnutire? se il meta-linguaggio fosse preciso , allora potrei adoperarlo per una trattazione scientifica anche di quei fenomeni di cui la scienza non si occupa. ma dato che restano sempre segni rapportati fra loro secondo regole logiche, si torna all'obiezione primaria che muovevo a certa filosofia : tentare di applicare procedimenti logico-deduttivi a partire da concetti indefiniti, di modo che più si avanza più aumenta l'errore, fino ad arrivare a paradossi , o a far dire al sistema formalw quello che si vuole.
Ci sono dei grandi intuitivi che riescono a muoversi tra i fenomeni più sottili e impalpabili con una acutezza, una profondità, una scioltezza che nessun metodo potrà mai insegnare. Questi potrebbero prendersi i miei suggerimenti e usarli per nettarsi le parti basse, ed io muto. Li invidio tantissimo.
[Barthes aveva notato come, nel parlare d'arte più diffuso e comune, si amassero tanto le tautologie ("Racine è Racine", l'esempio che fa lui, "Leonardo è Leonardo", "La Nona è la Nona", "Io so' io e voi non siete un cazzo" ). Barthes ad esempio era uno che usava la semiotica nel suo approccio alle opere d'arte, e ne riesce a trarre considerazioni illuminanti. Se lui si muove con grande delicatezza tra le opere più complesse e intrattabili mentre io sembro il monumento al pedante ignoto non è questione di strumenti utilizzati, è che lui è dieci milioni di volte più in gamba di me].
Stai parlando di me vero?
Vabbeh dai a Barthes che gli devi dire? E' bravo ovunque e dovunque. Poi ha scritto La camera chiara che vale da sola intere biblioteche. Uno dei miei testi preferiti. Credo di averlo letto quasi una decina di volte
Inviato 18 gennaio 2018 - 20:35
Inviato 31 gennaio 2018 - 18:31
Thread estremamente interessante.
Comunque, gran parte della filosofia scompare dinanzi ad un buon cartone d'acido lisergico
" Chi lo sa veramente? Chi può qui dichiarare
da dove è stata prodotta, da dove viene la creazione?
Dalla creazione di questo universo gli Dei vennero successivamente:
chi allora sa da dove ciò è sorto? "
Inviato 08 febbraio 2018 - 22:27
E un passo di quella danza era costituito dal tocco più leggero che si potesse immaginare sull'interruttore, quel tanto che bastava a cambiare...
... adesso
e la sua voce il grido di un uccello
sconosciuto,
3Jane che rispondeva con una canzone, tre
note, alte e pure.
Un vero nome.
Inviato 08 febbraio 2018 - 22:55
Non so dove fare questa domanda, e non ho trovato un topic adatto alle domande/consigli.
Sento parlare dall'anno scorso di un saggio/libro che comincia ad incuriosirmi parecchio.
Il testo è "Dark Ecology" di Timothy Morton, qualcuno lo ha letto per caso? Quanto è
abbordabile come testo per dei profani di filosofia?
Il tema del saggio è l'ecologia, ma apparentemente in un contesto abbastanza "deviato"
dal concetto comune/di massa di ecologia stessa. Si parla inoltre di hyperobjects e di object-oriented
ontology (ontologia abbastanza spinta (?), o almeno per i profani). Qualcuno?
Inviato 08 febbraio 2018 - 23:00
almeno per i profani
E un passo di quella danza era costituito dal tocco più leggero che si potesse immaginare sull'interruttore, quel tanto che bastava a cambiare...
... adesso
e la sua voce il grido di un uccello
sconosciuto,
3Jane che rispondeva con una canzone, tre
note, alte e pure.
Un vero nome.
Inviato 08 febbraio 2018 - 23:05
Io ne avevo letto su qualche rivista sul pezzo [una carezza a frankie], forse Prismo, e mi era stato piuttosto in culo il modo di approcciare all'ecologia. Mi era forse sembrato romanticizzare ed estetizzare a fini letterari cose molto serie, non so se sia questo l'obiettivo della filosofia ma insomma... Un articolo successivo di non so chi mi aveva fatto capire che anche gente non-profana la pensava in modo simile.
Poi le pagine di wikipedia sull'OOO me le leggo con mistico piacere e certe cose sono veramente interessanti, stimolanti anche per noi non-iniziati, però su altre non si scherza e non parlo di morale
A proposito del Maurizio Costanzo show, a me l'ospitata del Joker al programma del personaggio di De Niro ha ricordato una di Aldo Busi, ma proprio uguale, compreso il balletto con cui si presenta al pubblico. Dubito che Phoenix si sia ispirato a quella, ma in certe parti, quando si mette a checcheggiare, la somiglianza era impressionante.
il primo maggiorenne che vedrò vestito da joker a carnevale, halloween o similia lo prendo per il culo di brutto
minimo un A STRONZOOOO, ANCORA STU JOKER? STRONZOOOO, vieni a casa mia che ho bisogno di una mano a sgomberare la mansarda, STRONZOOOO
There is a duality between thought and language reminiscent of that which I have described between dreaming and play
Man the sum of his climatic experiences Father said. Man the sum of what have you
Inviato 08 febbraio 2018 - 23:35
...quindi in caso spostiamoci nella sezione a luci rosse ...almeno per i profani
C'è una sezione luci rosse?!
Comunque io sono proprio ignorante in filosofia, diciamo che sono ancora al livello delle superiori, per questo mi chiedo quanto
sia abbordabile un testo del genere per degli esterni.
In realtà avevo letto una recensione su Prismo, solo che risulta abbastanza negativa. In contemporanea sempre su Prismo c'è un'altra
recensione fatta qualche mese prima sull'ecologia/antropocene/Morton, e quella è molto più positiva. Sí insomma, non capisco se sia
solo hype o se ne valga la pena e sia comprensibile.
Inviato 09 febbraio 2018 - 11:11
Potremmo iniziare la polemichetta, che ne dici?romanticizzare ed estetizzare a fini letterari cose molto serie, non so se sia questo l'obiettivo della filosofia
E un passo di quella danza era costituito dal tocco più leggero che si potesse immaginare sull'interruttore, quel tanto che bastava a cambiare...
... adesso
e la sua voce il grido di un uccello
sconosciuto,
3Jane che rispondeva con una canzone, tre
note, alte e pure.
Un vero nome.
Inviato 12 febbraio 2018 - 21:12
L'idea che più mi opprime e attanaglia, nella mia vita, è il concetto di non absconditus, del corpus ontologico di Aristotele, ripreso da Heidegger in Cos e' la Metafisica? per spiegare l'idea del non essere.
Inviato 12 febbraio 2018 - 21:22
La mia invece è questa
Vocatus atque non vocatus deus aderit
Frase incisa sullo stipite della porta d'ingresso della casa di Jung
Inviato 18 febbraio 2018 - 08:23
Anche i fisici sono filosofi: il ruolo della filosofia nella fisica moderna: http://www.lescienze...a_viva-2611425/
You're an island of tranquillity in a sea of chaos. :.:: Last.fm
Inviato 21 febbraio 2018 - 14:44
Hölderlin sul quaderno di Hegel: il segno della nostra amicizia è hen to pan.La mia invece è questa
Vocatus atque non vocatus deus aderit
Frase incisa sullo stipite della porta d'ingresso della casa di Jung
E un passo di quella danza era costituito dal tocco più leggero che si potesse immaginare sull'interruttore, quel tanto che bastava a cambiare...
... adesso
e la sua voce il grido di un uccello
sconosciuto,
3Jane che rispondeva con una canzone, tre
note, alte e pure.
Un vero nome.
Inviato 21 febbraio 2018 - 17:00
Inviato 21 febbraio 2018 - 17:11
E un passo di quella danza era costituito dal tocco più leggero che si potesse immaginare sull'interruttore, quel tanto che bastava a cambiare...
... adesso
e la sua voce il grido di un uccello
sconosciuto,
3Jane che rispondeva con una canzone, tre
note, alte e pure.
Un vero nome.
Inviato 21 febbraio 2018 - 17:42
Ma perché è uno spirituale (la dedica). Nel libro cita Sergio Quinzio, per dire. Va be', guardalo e capirai l'intento - secondo me.
Comunque, Mick, tu che sei un religioso: sei mai riuscito a leggere le Lezioni di Stoccarda di Schelling? Mi blocco sempre alla quinta pagina, tipo (domanda rivolta a tutti ovviamente.)
No. Ho tenuto per vera molto della sua Filosofia della Religione. Per lunghi anni. Poi ho scoperto che era eretica(benché Bruno Forte dica il contrario)
Inviato 21 febbraio 2018 - 18:01
E un passo di quella danza era costituito dal tocco più leggero che si potesse immaginare sull'interruttore, quel tanto che bastava a cambiare...
... adesso
e la sua voce il grido di un uccello
sconosciuto,
3Jane che rispondeva con una canzone, tre
note, alte e pure.
Un vero nome.
Inviato 21 febbraio 2018 - 18:05
Inviato 21 febbraio 2018 - 18:06
E che per di mio sarei molto più gnostico che cristiano
Ma sono cose malate. Fichte che inoltre era anche fortemente antisemita, e anzi i suoi Discorsi alla nazione tedesca ebbero un certo influsso su Hitler che invece, trentenna scriveva ancora Schoppenhauer e aveva una conoscenza di Nietzsche pari allo zero cosmico[Informazione tratte da La biblioteca di Hitler. Cosa leggeva il Fuhrer].
@Script: Mi dispiace ma ho provato a leggere qualcosa di suo ma non mi è piaciuto. O meglio non è vero che non mi sia piaciuto, semplicemente non mi ha convinto ad andare avanti con la lettura. Comunque in futuro ci voglio riprovare
Inviato 22 febbraio 2018 - 11:09
Scarafaggi, parassitoidi e libero arbitrio: prosopopea.com/2012/07/20/scarafaggi-parassitoidi-e-libero-arbitrio/
"Questo quasi-libero arbitrio degli insetti è filogeneticamente un precursore di quello che noi consideriamo libero arbitrio ? Quanti strati di controllo dobbiamo aggiungere alla torta per distinguere tra una scelta veramente libera e una che ha solo l’apparenza di essere tale ? Aveva ragione Schopenhauer ? Può la biologia informare il dibattito filosofico ? (Sì.)"
You're an island of tranquillity in a sea of chaos. :.:: Last.fm
Inviato 22 febbraio 2018 - 11:15
Stephen il 7 marzo viene Tronti a parlare in cattolica!
Inviato 26 febbraio 2018 - 19:28
Forse se ne è parlato ma ho finito da poco di leggere Oltre La Linea di Jünger - Heidegger (Adelphi, 1989) e mi è sembrato uno scritto importante per inquadrare alcune questioni ampiamente dibattute nell'epoca in cui ci troviamo. Le prospettive di Jünger sull'argomento del superamento del nichilismo mi sono sembrate fin troppo fiduciose: più profonde le riflessioni contenute nella risposta di Heidegger, La Questione dell'Essere. (Se avete pareri leggo volentieri)
Inviato 16 marzo 2018 - 16:12
Avete gia' parlato di Badiou, qui?
...non mi sembra!
Mi sono dedicato alla lettura due libretti di raccolte epistolari di Cioran editi da Mimesis: Il nulla (con Marin Mincu, romanziere, poeta e saggista) e Cioran, Balan Tra inquietudine e fede corrispondenza (1967-1992) con George Balan, filosofo, musicologo e teologo di origine rumena.
Il secondo in particolare ricostruisce la bella amicizia tra i due intellettuali e svela molti aspetti, anche sorprendenti, della quotidianità del filosofo di Rasinari, tra cui la profonda inquietudine religiosa e l'amore per la musica.
Inviato 13 aprile 2018 - 13:46
Filosofi del forum, sapete cosa significa l'espressione "Scheinbeweiskunst" ?
Vi sono tre parole di cui separatamente conosco il significato, ma messe insieme non ne capisco il senso. Si parla di Labriola e della retorica.
Keine Gegenstaende aus dem Fenster werfen
Inviato 13 aprile 2018 - 14:05
Lett. "Arte della argomentazione (o: della conclusione) apparente".
Bisognerebbe vedere dal contesto (non conosco quel che pensa Labriola della retorica) se il prefisso Schein- indica la non necessità, la semplice verosimiglianza della argomentazione (secondo la definizione aristotelica della retorica come concernente il possibile) oppure la sua falsità. A senso propenderei per la seconda, ma ripeto andrebbe visto il contesto.
Inviato 14 maggio 2018 - 22:02
„Non si può che confermarsi 'stranieri nella propria lingua'. Il plurilinguismo (crogiuolo di idioletti, arcaismi, neologismi di che trabocca il poema) è il contrario d'una accademia di scuola interpreti. È 'Nomadismo': divagazione, digressione, chiosa, plurivalenza, ecc. Il testo intentato è (deve essere) smentito, travolto dall'atto, cioè de-pensato.“
CARMELO BENE
Inviato 16 maggio 2018 - 22:04
Per avvertire che siamo abbiamo un solo intervento divino: il dolore. Attraverso il male più di ogni altra condizione umana sentiamo il tempo, sentiamo lo spazio e sembriamo come il prodotto di queste due forze, fino alla morte non di noi stessi, ma dallo spostamento progressivo del tempo e dello spazio da un'altra parte.
Inviato 04 giugno 2018 - 11:19
L'altro ieri è morto Irenäus Eibl-Eibesfeldt, padre dell’etologia umana che rese un campo di ricerca definito e a sé stante. Se vi interrogate spesso sulla natura del comportamento umano, se siete sempre stati presi tra i due fuochi del "bellum omnium contra omnes" e "homo homini lupus" di Hobbes da un parte, "buon selvaggio" di Rosseau dall'altra, questo autore ha risposto a entrambi. L'uomo è predisposto per sua natura all'assassinio, all'istinto di autoconservazione e alla brama di potenza, venendo domato solamente dalla ragione e dallo sviluppo culturale che reprimono tali impulsi? Oppure in realtà la natura dell'uomo è quella di un essere di indole pacifica e buona, o tutt'al più "né buono né cattivo, senza vizi né virtù", ma poi reso aggressivo solo dallo sviluppo della civiltà e dalla nascita di confini, idee, paletti?
Il libro "Amore e odio – per una storia naturale dei comportamenti elementari" tratta lo studio dei comportamenti umani per discernere quali sono appresi, per mezzo culturale, e quali sono invece degli innatismi (ovvero quelli che impropriamente chiamiamo “istinto”) e in quest’ultimo caso si procede poi alla loro comparazione con quelli presenti negli altri animali. L’autore mette a frutto i suoi anni di viaggi e ricerca, soprattutto tra popolazioni indigene delle quali vengono analizzate espressioni facciali e gestuali, mimica, sentimenti. I risultati sorprendenti non sono solo il fatto che le emozioni umane sono universali, senza distinzioni di etnia, ma che conserviamo (filogeneticamente) molte affinità anche con gli altri animali, soprattutto gli altri primati, tanto più quanto minore è la distanza evolutiva che ci separa. Come avrebbe poi detto il neuroscienziato Antonio Damasio, non siamo macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano.
Il confine che ci separa dagli altri animali, forse, non è così netto come ci piace credere, e come molta filosofia ha erroneamente dato per scontato per secoli.
« Se smetteremo di erigere barriere alla comunicazione fra uomini e di degradare a mostri coloro che sono uomini come noi, anche se aderiscono ad altri sistemi di valori – ma, al contrario, accentueremo ciò che a loro ci lega, noi prepareremo per i nostri nipoti un futuro felice. Le potenzialità del bene sono biologicamente presenti in noi quanto quelle dell’autodistruzione. La vita è scaturita da questo petrigno pianeta in sempre nuove forme: dalle alghe più semplici su su fino all’uomo, il quale medita su questa creazione e cerca di plasmarla egli stesso e, ciò facendo, forse finisce per distruggerla. Sarebbe veramente grottesco risolvere in quest’ultimo modo il problema del significato della vita. »
« Noi uomini siamo in generale convinti di agire per libero arbitrio; crediamo di poter liberamente decidere di fare una cosa e non farne un’altra. Ma, a volte, l'insorgenza dell'ira non turba forse la limpidezza delle nostre decisioni? Non diciamo forse, come se fossimo costretti, cose che in un altra situazione psicologica non avremmo detto? E ancora, non reagiamo forse, a certe situazioni, addirittura automaticamente, in modi sostanzialmente uguali, senza aver prima riflettuto? […]
Da vari punti di vista ci comportiamo come un calcolatore programmato. Il confronto non è affatto longe quaesitus perché, in realtà, noi reagiamo in modo prevedibile, e se così non fosse non esisterebbe una scienza del comportamento. Ma ciò equivale a dire che, in qualche momento del nostro sviluppo, noi siamo stati 'programmati': di fronte a questo problema - come, cioè, si sia verificato che noi siamo dotati di programmazioni comportamentali - le opinioni divergono. »
You're an island of tranquillity in a sea of chaos. :.:: Last.fm
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