Lo tiro giú "semplice" vah, che se ho una missione é proprio quella di stringerstringere il lessico dei personaggi di cui si sta parlando.
Nella dialettica di Hegel ho sempre visto una sorta di disincanto e fanculismo, figlio un po' delle bizzarrie di Eraclito e dell'ecumenismo meravigliao di Spinoza.
Il Discorso/Concetto/Spirito, per Hegel, equivale alla somma degli stessi, cioé non esiste un termine che sia privo di Anschluss ad un altro termine.
Il fatto é che i termini sono infiniti (il Reale é fatto di infiniti Finiti) e la dialettica vive quindi nel suo estendersi all'infinito. Cos'é la Veritá quindi? La veritá é il processo osmotico, il travaglio, lo scontro, la responsabilitá che ogni ente nel mondo detiene verso i termini opposti ai suoi e verso i nuovi termini che questa relazione creerá. In questo senso, la Veritá é un Divenire costante e perpetuo di nuove relazioni (la Storia), a cui noi granelli di sabbia é dato di assistere per un po' di tempo, finché non ci viene un cancro alla minchia e tutti ci gridano RIP!.
Per Hegel tutto quello che é reale, é razionale (da cui, graziarcazzo: ció che é razionale, é reale).
Che si parli di Jeffrey Dahmer e del suo cannibalismo, della grande Olanda di Crujiff, di Las Bandas, di Odoacre, di cucina molecolar-trasformista, di Marco Columbro che si farcisce Lorella Cuccarini...stiamo sempre prendendo in considerazione dei FINITI dell'INFINITO, stiamo sempre considerando declinazioni dello Spirito che partecipano all'equilibrio santissimo dello stesso. Non solo: Spinoza gratia, sia in Dahmer che in Marco Columbro dovremmo essere in grado di ritrovare tutta la tragica pantagruelica bellezza struggente dello Spirito, in tutti questi "termini" dovremmo ritrovare i tratti tipici dell'Essere.
Insomma, Hegel é il filosofo del MOMENTO: l'Assoluto, Dio, La Veritá, it's right here right now in ogni secondo di questo infinito Divenire/Cambiamento. Che del doman non v'é certezza. Vuoi la tua Veritá? Allora pensa, sistemizza, collega, afferma e sconferma e pena e soffri, finché un giorno morrai.
Hegel non lo sa, ma diceva che La Storia Siamo Noi (per lui era preferibile che si fosse Prussiani).
Arrivare a Nietzsche é, per la mia mente sempliciotta di campagnolo, un passaggio breve. Nietzsche era un altro "momentista", era un altro per cui la vita era prima di tutto una sofferenza immensa nel senso di "tensione" immensa: la vita per Nietzsche era una sfida continuo contro il "dato", un "superamento" del precostituito e della tradizione, un grande viaggio individuale in un regno di OPPOSTI e CELATI e NASCOSTI (cioé i termini infiniti a cui va incontro la dialettica hegeliana).
Anche la questione dell'Eterno Ritorno (che ognuno interpreta liberamente) mi profuma di somiglianze: Nietzsche dice che tutta la merda a fiorellini che vediamo ed esperiamo oggi, ci arriverá addosso all'INFINITO, per sempre. Ma perché? Intende dire che il Cucciolone che mangiai quindici anni fa a Jesolo, l'ho mangiato tutti i giorni a Jesolo e lo mangieró a Jesolo tutti i giorni fino alla mia morte? Ovvio che no, Nietzsche era eccentrico, mica sémo. Intende dire che ogni nostra esperienza racchiude l'Infinitezza e tutte le features dell'Essere. Intende dire che le sensazioni che ci regala un Cucciolone in spiaggia si ripeteranno, in veste diversa, per tutta la vita. D'altra parte, non é forse vero che é tutta la vita che stiamo bene e stiamo male? Questo perché ogni microputtanata che esiste in questo mondo, "contiene" il mondo (hashtag Hegel ++), ogni "finito" rappresenta l'"infinito" nel suo essere elemento del Divenire.
A Nietzsche stava sulle palle Hegel, perché avrebbe tentato di sistematizzare l'Essere quando invece l'Essere é DIVENIRE (quindi imprendibile).
Capisco che Nietzsche odiasse ed evitasse la retorica filosofica accademica (non a caso, passava piú per letterato-artista ed aveva la fama di total outsider anche nel reggere un paio di baguette), ma anche lui cerca di sistematizzare e giudicare (non é quello che cerchiamo di fare, quando parliamo e giudichiamo? Nicce era un supersentenzionista), e nel farlo non lo vedo molto lontano da Hegel.
Kirkegeidegger.
Heidegger é un altro arpista del Contraddittorio. Per lui siamo naturalmente fottuti, visto che nasciamo in un preformato sistema di linguaggio verbale che ci permette di esprimere l'essere: senza le parole cannibalismo/gelato/calciatore, non potremmo parlare decentemente l'essere di Jeffrey Dahmer, del Cucciolone, di Crujiff. Nel fare questo, ci dimentichiamo dell'Essere, non lo "apriamo", non lo "liberiamo", perché dobbiamo costantemente sistemarlo in un codice linguistico sistematizzato e "chiuso". Insomma, sembra quasi che per lui lo Spirito Assoluto sia l'Arte, o meglio tutte le rappresentazioni scodificate e "astratte" e "sacre" che creano CODICE, piú che vestirsene (e qui si apre il discorso ESTETICA, su cui ci si puó scannare piú avanti).
Io dico che Heidegger fa cose simili ai due sociopatici di cui sopra: ci dice che la "Cosa" non é intimamente conoscibile, perché siamo giá nati nella STORIA, nel DIVENIRE, nella TRADIZIONE-CHE-GIA-STA-CAMBIANDO, che sono solamente fenomeni dell'Essere ma non l'Essere Totale. Il nostro compito consiste nell'attuare un procedimento di velamento-disvelamento delle cose, ovvero relazionare-contestualizzare i termini della vita e della storia (tesi e antitesi hegeliane, apollo-dioniso di nicce), far riemergere il celato (che per Heidegger sguazza nel linguaggio), per tentare di capirci qualcosa in piú (ma mai tutto). Heidegger tra l'altro, come Nicce, esalta la morte, e ci ricorda ogni secondo che noi siamo materia organica "finita" e "compiuta" e "vera" solo nel momento della nostra morte e che fino a quel momento dovremmo tenere in testa che la morte é l'unica cosa che l'Esserci non puó scegliere (e il suicidio? "coughing") e che quindi sarebbe bene ci prendessimo ogni giorno il lusso di scegliere tutte le altre (la volontá di potenza nicciana?, la catarsi artistica come immanenza della morte?). Hegel di "morte" non parlava, ma l'Antitesi hegeliana rappresenta, in un certo senso, la "morte" che si contrappone alla "vita" della tesi: tutti i fenomeni sono "finiti" perché "disvelati" da altri (A negato da B), in un procedimento infinito che crea nuovi termini.
Sia Hegel che Heidegger erano due storici e fondamentalmente pensavano che l'unica Veritá fosse la descrizione delle cose successe fino a quel momento lí e che l'Essere fosse interpretabile solo tramite la constatazione meravigliosa delle coppie relazionali che si auto-annullano e che concimano nuovo vissuto. Heidegger parlava di "semplice e positiva auto-evidenza dell'esistere", che é un elogio spinoziano di Sharon Stone, degli scoiattoli, dei vietcong, di Charles Manson, di Man Erg.
Pensa Hegel:
L'uomo che si isola rinuncia al suo destino, si disinteressa del progresso morale. Parlando in termini morali, pensare solo a sé è la stessa cosa che non pensarci affatto, perché il fiore assoluto dell'individuo non è dentro di lui; è nell'umanità intera. Non si adempie il dovere, come spesso si è portati a credere e come ci si vanta di fare, confidandosi tra le vette dell'astrazione e della speculazione pura, vivendo una vita da anacoreta; non vi si adempie con i sogni ma con gli atti, atti compiuti nella società e per essa.
Se da una parte puó suonare come una uscita retrograda e reazionaria (what about i meditatori orientali che si ritirano sotto un albero a vegetare per anni? sono degli sfigati perché si isolano? Pensano loro di essere "isolati"? (mi sa di no, mi sa che pensano di essere "dentro tutto")), dall'altra dischiude un amore per il Molteplice e per la Responsabilitá versi i Rapporti. Nicce era un viaggiatore e un simpaticone, Heidegger un gran scopatore e un feticista delle letterine scritte a modino.
A me sembrano tutti e tre dei post-modernisti (quantomeno post-modernisti del loro tempo) che propongono sistemi anti-monistici e relativistici, das ist was ich sagen wollte.
Tut mir leid, es war lang.