sì, ci sta... nel senso che anticipano alcune atmosfere di "Rock Bottom"...
Esattamente. Nelle ultime settimane ho riascoltato parecchi suoi dischi, diciamo che ho ripassato una parte della sua discografia, e continuo a ritenerlo, più di prima, un gigante.
Nuovo album di demo segnalato da Greed, con sei inediti di un Buckley 19enne. Già solo questo qua sopra è un gioiellino.
Quasi rispondendo tre anni dopo al post qui sopra, facciamo un po' la cronologia e il punto della situazione delle imperdibilimiglie di Buckley, che tra tante uscite qualcuno si confonde e rischia di perdersi qualcosa, magari i suoi live, che oltre alle molte canzoni poi mai finite su disco, presentano quasi sempre delle atmosfere e stili diversi rispetto agli album in studio a cui si riferiscono.
1966 Tim Buckley I brevi giorni selvaggi di un Buckley poco più che adolescente, apprendista stregone.
1966 Lady, Give Me Your Key Appunto la nuova uscita, demo per la casa discografica tra l'esordio e G&H, con sei inediti.
1967 Live at the Folklore Center, NYC - March 6, 1967 Ancora incantesimi folk, concerto solo voce-chitarra con sei inediti. Oro.
1967 Goodbye and Hello Saluta educatamente e baroccamente la Summer of Love e se ne va, per non tornare più.
1968 Dream Letter - Live in London 1968 Un'atmosfera ultraterrena già felice/triste, con altra infornata di canzoni inedite. Tipo il miglior disco live di sempre, o giù di lì.
1969 Happy Sad Addio alle armi del folk, di là dal fiume jazz e tra gli alberi blues.
1969 Live at the Troubadour 1969 Pochi giorni prima dell'uscita di Blue Afternoon, atmosfera opposta a quella di Dream Letter: eroinomane e "africana". Deliquio.
1969 Blue Afternoon La sua settimana astrale, il pomeriggio sospeso prima di seguire il Bianconiglio e le sirene.
1970 Lorca Giù nel buco, nella Tideland.
1970 Starsailor Giove e oltre l'infinito, ma dentro Solaris (non l'utente... e non in quel senso!)
1972 Greetings from L.A. L'uomo che ricadde sulla terra, tra bar bukowskiani, inquinamento e orgette soul.
1973 Sefronia Nelle catene della muzak, ma con stile.
1973 Honeyman: Live 1973 Il funky-folk macho di fine carriera suonava meglio dal vivo. Sembrano passati 30 anni, non 3, da Starsailor e Lorca.
1974 Look at the Fool Fuori un ritratto dove sembra andare per i 40 e ne aveva 27, dentro... un sound sguaiatamente "sexi" o un cinico auto-sfanculamento? Forse tragico, forse menefreghista.
Non indispensabili, ma adoro anche le Peel Session del '68, registrate durante i giorni del Live in London e quindi con un'atmosfera molto simile. Non mi piacciono invece le irritanti e pasticcionate raccolte di demo Works in Progress e The Dream Belongs to Me: Rare and Unreleased 1968-1973, che però va da sé contengono parecchie perle. Sconsigliatissime le raccolte.
Ancora oggi - colossale e dolorosa mancanza - non esiste un album ufficiale del tour di Starsailor, di cui pure girano parecchi bootleg che spalancano le orecchie, anche se sempre di infima qualità sonora (almeno quelli che ho sentito io), quindi delle registrazioni esistono.
I have spoken softly, gone my ways softly, all my days, as behoves one who has nothing to say, nowhere to go, and so nothing to gain by being seen or heard.
L'ultima uscita non mi ha entusiasmato molto, sembra molto più immatura rispetto all'ottimo Live at Folklore center del 1967, nonostante l'anno sia lo stesso (Tom, nei siti che ho visto parla del 67, non del 66). Sono effettivamente delle demo, canzoni non messe a punto per essere suonate da solo, e pronte per essere arrangiate e pubblicate per buona parte su Hello and Goodbye (1967). La voce sta ancora maturando, e qualche chicca c'è comunque.
Nel frattempo ho riascoltato Starsailor. Quando lo ascoltavo una decina di anni fa probabilmente non riuscivo a mettere insieme tutti i tasselli: mi piaceva, anche se era un po' ostico. Ora lo trovo anche molto coinvolgente e fisico: strutture imprevedibili, cominciano con atmosfere rarefatte, ritmi incerti, melodie atonali, e poi si trasformano in tirate free-funk in cui la ripetizione non stanca mai.
Greetings from L.A., sempre un po' bistrattato, riprende alcuni di questi elementi in una confezione decisamente più commerciale e senza la componente jam-free; la voce di Tim esplora toni più soul, ma in ogni caso con i suoi vocalizzi drogati non è propriamente radio friendly. Insomma, non è poi male.
Live at the trobadour non l'ho ancora sentito, rimedio!
La mia interpretazione è banalissima ma forse può spiegare il notevole divario qualitativo tra l'ultimo Lady e il live al Folklore Center.
Dato che l'anno è lo stesso è difficile credere che le qualità di cantante e strumentista potessero differire così notevolmente tra l'una e l'altra sessione. La mia idea è che dal vivo Tim, a contatto con la gente, magari vedendo una bella ragazza tra il pubblico, fosse molto più spronato a tirar fuori la voce, elaborare meglio gli arpeggi e grattare a tutta forza quando l'intensità del brano lo richiedeva - mentre la solitudine dello studio era forse più vicina a una prova privata, in alcuni casi non troppo degna di registrazione.
Confrontate le due versioni di "I can't leave you lovin' me", forse la più vistosa per esattezza dei falsetti e trasporto emotivo.
I have spoken softly, gone my ways softly, all my days, as behoves one who has nothing to say, nowhere to go, and so nothing to gain by being seen or heard.
L'ultima uscita non mi ha entusiasmato molto, sembra molto più immatura rispetto all'ottimo Live at Folklore center del 1967, nonostante l'anno sia lo stesso (Tom, nei siti che ho visto parla del 67, non del 66). Sono effettivamente delle demo, canzoni non messe a punto per essere suonate da solo, e pronte per essere arrangiate e pubblicate per buona parte su Hello and Goodbye (1967). La voce sta ancora maturando, e qualche chicca c'è comunque.
Nel frattempo ho riascoltato Starsailor. Quando lo ascoltavo una decina di anni fa probabilmente non riuscivo a mettere insieme tutti i tasselli: mi piaceva, anche se era un po' ostico. Ora lo trovo anche molto coinvolgente e fisico: strutture imprevedibili, cominciano con atmosfere rarefatte, ritmi incerti, melodie atonali, e poi si trasformano in tirate free-funk in cui la ripetizione non stanca mai.
Greetings from L.A., sempre un po' bistrattato, riprende alcuni di questi elementi in una confezione decisamente più commerciale e senza la componente jam-free; la voce di Tim esplora toni più soul, ma in ogni caso con i suoi vocalizzi drogati non è propriamente radio friendly. Insomma, non è poi male.
Live at the trobadour non l'ho ancora sentito, rimedio!
su Greetings comunque ci sono dei pezzoni, soprattutto Sweet Surrender. Anche se pure Get on top e Devil eyes, ma di quelle due le versioni definitive sono quelle potentissime di Honeyman
1
dai manichei che ti urlano o con noi o traditore libera nos domine
La mia interpretazione è banalissima ma forse può spiegare il notevole divario qualitativo tra l'ultimo Lady e il live al Folklore Center.
Dato che l'anno è lo stesso è difficile credere che le qualità di cantante e strumentista potessero differire così notevolmente tra l'una e l'altra sessione. La mia idea è che dal vivo Tim, a contatto con la gente, magari vedendo una bella ragazza tra il pubblico, fosse molto più spronato a tirar fuori la voce, elaborare meglio gli arpeggi e grattare a tutta forza quando l'intensità del brano lo richiedeva - mentre la solitudine dello studio era forse più vicina a una prova privata, in alcuni casi non troppo degna di registrazione.
Confrontate le due versioni di "I can't leave you lovin' me", forse la più vistosa per esattezza dei falsetti e trasporto emotivo.
Ho pensato lo stesso. Finalità molto diverse, se è vero che l'ultimo album è una "demo" preparatoria. Poi chi non è mai stato sotto un riflettore del teatro, anche solo per una battuta, con tutta la responsabilità su di sé (e in un concerto da soli è uguale) forse fa fatica ad intuire cosa possa venir fuori dalla tensione provocata dal pubblico. In tutte le registrazioni live di TB si sente quanto lui fosse capace di trasmutare questa tensione in pura e intensissima bellezza.