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Cinema coreano


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136 replies to this topic

#51 corey

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Inviato 20 giugno 2008 - 11:37

Duelist (Hyng-sa, 2005) di Lee Myung-se con Ha Ji-won, Kang Dong-won, Ahn Sung-ki, Song Yeong-chang

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Corea, XVII secolo, epoca Chosun: due investigatori governativi in incognito ?? Namsoon (Ha Ji-won) e Ahn (Ahn Sung-ki) ?? sono in cerca di un falsario che sta mettendo in circolazione grandi quantità di denaro contraffatto. Durante la loro ricerca si imbattono in un misterioso spadaccino suggestivamente chiamato ??Sad Eyes? (Kang Dong-won), di cui Namsoon si infatua immediatamente?

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Wuxia destrutturato di una pallosità lancinante. Punitivo.
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i periti hanno dimostrato che non vi è alcuna certezza.

#52 Flight

    cosa rimane dentro noi

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Inviato 21 giugno 2008 - 00:04

Epitaph (...) uno dei migliori film coreani dell'anno.


quoto questo e tutto il resto impareggiabilmente descritto; la più grande recriminazione, averne persa la proiezione in sale più consone.. Questo Epitaph un'opera finemente toccante e densamente inquietante (il secondo episodio è davvero un piccolo perturbante capolavoro), rigorosa sul piano formale e solida per soggetto, scenografie, attori, musiche.

Abilmente si districa tra difformi piani temporali e piani di realtà, memorie e sembianze, malattie e vendette, ma i tasselli gradualmente riacquisiscono il proprio posto e il quadro recupera compiutezza sotto gli occhi sbigottiti (e commossi) dello spettatore. Sino all'ineluttabile conclusione, suggello tragico e raggelante oppure ultimo, residuo anelito auspicato...

Un dramma-horror pervicacemente ammaliante, compiuto, come Dio comanda. Non è offensivo citare non solo (e giustamente) Two Sisters..ma persino un'opera definitiva come il sublime, inarrivabile Kwaidan di Kobayashi.

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fabio

#53 corey

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Inviato 21 giugno 2008 - 11:59

Grazie Flight!
Mi fa davvero molto piacere che il film dei Jeong ti sia garbato, anche perché quest'anno gli horror coreani sono in netto calo. Mi sa che dovremo aspettare un bel po' perché ne esca un altro all'altezza di Epitaph (il tanto strombazzato The Guard Post ad esempio è un mezzo pastrocchio, anche se non privo dei suoi momenti).
Attendiamo invece in gloria l'ultimo Kim Jee-woon, The Good, the Bad and the Weird, presentato Fuori Concorso a Cannes dove ha ricevuto elogi a 360 gradi (e ci credo, Kim è il cineasta più talentuoso che la Corea abbia prodotto negli ultimi dieci anni).
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#54 corey

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Inviato 23 giugno 2008 - 10:29

Waikiki Brothers (2001) di Lim Soon-rye, con Lee Eol, Park Won-sang, Hwang Jung-min, Oh Kwang-rok, Oh Jee-hye, Ryu Seung-beom

Residuati musicali di una band scolastica formatasi negli anni ’80, i quattro “Waikiki Brothers” vengono ingaggiati da un grande albergo  che si chiama beffardamente come loro (“Waikiki Suanbo Tourist Hotel”). Qui a Suanbo, nella cittadina natale del leader del gruppo, la band continuerà a perdere pezzi e credibilità.

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Secondo lungometraggio di Lim Soon-rye (classe 1960), Waikiki Brothers è una commedia drammatica di eccellente tenuta narrativa e pregevole fattura tecnica. La cineasta coreana sa come gestire il ritmo e catturare l'attenzione dello spettatore, alternando momenti leggeri a passaggi malinconici con grande fluidità e caratterizzando i personaggi con tratti decisi e incisivi (il chitarrista malinconico, il batterista impulsivo, il tastierista dongiovanni).

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Pur prediligendo un impianto di grande sicurezza spettacolare, Lim non disdegna però soluzioni più sofisticate quali lunghi e preziosi movimenti di macchina per le esibizioni musicali clou e inquadrature larghe nei momenti di maggiore intensità drammatica (ad abbassare bruscamente la temperatura emotiva). Dal punto di vista visivo il film è reso un tantino monotono dalla tendenza a impostare la scena in modo rigidamente frontale (a suggerire la dimensione di spettacolo permanente della band).

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Ciononostante Waikiki Brothers testimonia il polso registico di Lim Soon-rye, la più celebre regista coreana autrice di uno dei maggiori successi commerciali della stagione in corso (quel Forever the Moment che, raccontando l'impresa della squadra di pallamano alle Olimpiadi di Atene, ha totalizzato quattro milioni di spettatori). Soundtrack di tamarra efficacia (“Europa” di Santana, “La Bamba” dei Los Lobos, “I Love Rock’n Roll” dei The Arrows e altro ancora) e cast di assoluta credibilità (con Hwan Jung-min nei panni del batterista su tutti).
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#55 corey

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Inviato 26 giugno 2008 - 10:35

Signori: Kim Jee-woon.

http://www.youtube.c...h?v=imgdpz_0m-8
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#56 nicholas_angel

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Inviato 26 giugno 2008 - 11:12

Devo ancora vedere Django di Miike. Dalle immagini questo mi sembra abbastanza simile. Ma c'è l'attore di Bittersweet Life o sbaglio?
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#57 corey

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Inviato 26 giugno 2008 - 12:08

1- no
2- sì
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#58 corey

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Inviato 27 giugno 2008 - 07:46

Bus, l'abri (Bus, jeong ryu-jang, 2001) di Lee Mi-yeon con Kim Tae-woo, Kim Min-jeong, Kim Min-jeong, Kim Yea-ryeong, Choi Banyah

Insegnante di letteratura in una scuola serale, Jae-sup è sostanzialmente ignorato dai suoi allievi, che egli snobba altrettanto spassionatamente. In questo stagno di indifferenza piomba Soo-hee, adolescente sprezzante e diretta che non nasconde un certo interesse per il giovane e impassibile professore. Tra i due scocca la scintilla, ma entrambi hanno un passato pesante da cui non riescono a liberarsi e che continua a tormentarli penosamente.

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Primo e unico lungometraggio di Lee Mi-yeon (classe 1963), Bus, l??abri è un mélo smorzato e fermamente antierotico. La regista Lee Mi-yeon, già produttrice dei primi due film di Kim Jee-woon (The Quiet Family e The Foul King), adotta un??impronta rigorosamente autoriale, evitando ogni piaggeria spettacolare. Scandito da inquadrature lunghe (siamo sulla media di un minuto a piano), da composizioni geometrizzanti dell'immagine e da un soundtrack rigorosamente vellutato, Bus, l'abri è la brutta copia di un film qualsiasi di Hong Sang-soo, di cui non possiede la grazia acida né la destabilizzante leggerezza.

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#59 corey

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Inviato 05 luglio 2008 - 09:46

Kim Jee-woon non sbaglia un colpo: dopo il "Kimchi Western" The Good, the Bad, the Weird salutato con entusiasmo a Cannes e di imminente uscita in Corea (il 17 luglio per l'esattezza), il talentuoso cineasta coreano ha già in cantiere un progetto che definire interessantissimo è decisamente poco. Si tratta del rifacimento del polar di Claude Sautet Il commissario Pelissier (Max et les ferrailleurs).

Spotlight auteur, Kim Ji-woon, director of this summer's most anticipated Korean film, "The Good, the Bad, the Weird", is already signed to his next project, a remake of a 1970's thriller called Max et les Ferrailleurs (Max and the Junkman). It is to be produced by power-duo John Woo and Terence Chang of the upcoming Red Cliff.

L'originale è questa roba qua (l'avevo già postato nel topic noir, ma ribadir non nuoce):

Il commissario Pelissier (Max et les ferrailleurs, 1971) di Claude Sautet, con Michel Piccoli, Romy Schneider, Bernard Fresson

Immagine inserita

Il commissario Max (Michel Piccoli), ex giudice istruttore declassatosi a poliziotto per eccesso di zelo, è ossessionato dall'idea di cogliere i criminali in flagrante per comminare loro il massimo della pena. In questa guerra personale contro la criminalità si spinge addirittura ad assumere il ruolo di agente provocatore, istigando Abel (Bernard Fresson), vecchio conoscente divenuto piccolo delinquente di periferia, a fare il salto di qualità e tentare una rapina in banca. Per perfezionare il mefistofelico piano, Max non si fa scrupolo a circuire Lily (Romy Schneider), prostituta e fidanzata di Abel, spacciandosi per banchiere di una piccola ma ben fornita agenzia della Villette (quartiere reso opulento dal mercato della carne).

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I criminali da strapazzo ci cascano in pieno e progettano il colpo all'oscuro dell'agguato che il commissario sta tendendo loro. I malviventi sono troppo ingenui e Max troppo scaltro perché la partita non vada a finire nel modo previsto. Ma anche il più scafato e disilluso dei flic ha i suoi punti deboli: recitando il ruolo di Felix il banchiere che manipola la prostituta Lily, Max finisce per restare intrappolato nella propria trappola. Il commissario freddo e cinico, ironia della sorte, si infatua di Lily e inizia a preoccuparsi per lei, donna sfacciatamente candida nel suo prevedibile e vistoso opportunismo.

Immagine inserita

Anche qui, come in Série noire, le tensioni dostoevskiane innervano i rapporti psicologici, ma sottoposte ad un'agghiacciante radicalizzazione: il commissario Pelissier non solo condivide la forma mentis dei delinquenti che combatte, ma diventa a tutti gli effetti il loro mandante occulto, diventando la causa di quell'effetto che la polizia dovrebbe sconfiggere. Splendida perversità: un poliziotto che spinge i criminali a delinquere per poterli cogliere in flagrante. Mai figura di flic è stata tanto esatta nel rappresentare il senso d'impotenza della Legge che, incapace di vedersi debole, si incattivisce in delirio d'onnipotenza, fregandosene apertamente della deontologia. Un vero e proprio saggio sulla degenerazione dell'autorità in autoritarismo.

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Ma alla tensione dostoevskiana si aggiunge una componente scardinante che mi ha ricordato gli inceppamenti narrativi di Dürrenmatt: la macchina logica perfetta che viene bloccata dal granello d'irrazionale che si insinua nei suoi ingranaggi, qui rappresentata non dal caso ma da una donna. Sautet gira con uno stile apparentemente anonimo, ma incredibilmente attento ai valori cinematografici delle situazioni: primi piani in grande quantità, montaggio che predilige le aperture di sequenza con inquadrature ravvicinate e una grande precisione nell'iscrivere i corpi negli spazi, con frequenti effetti di quadro nel quadro e riprese attraverso vetri appannati. Senz'altro non un prodigio dal punto di vista stilistico, ma l'innegabile sensibilità nel tratteggio dei personaggi e l'impressionante intensità della psicologia del protagonista (Piccoli è di una bravura imbarazzante) rendono Il commissario Pelissier un polar assolutamente imprescindibile.
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#60 Guest_andara_*

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Inviato 05 luglio 2008 - 10:29

una componente scardinante che mi ha ricordato gli inceppamenti narrativi di Dürrenmatt: la macchina logica perfetta che viene bloccata dal granello d'irrazionale che si insinua nei suoi ingranaggi, qui rappresentata non dal caso ma da una donna.

:-*

Fine dell'intrusione.  ;)
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#61 corey

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Inviato 09 luglio 2008 - 13:19

May 18 (Hwaryeohan hyuga, 2007) di Kim Ji-hoon, con Kim Sang-kyung, Ahn Sung-ki, Lee Yo-won, Lee Jun-ki, Park Cheol-min, Park Won-sang, Song Jae-ho, Na Moon-hee, Son Byeong-ho. 

La rivolta studentesca del 18 maggio (costata la vita a un numero oscillante da 200 a 2000 persone a seconda delle fonti) vissuta dal punto di vista di due ignari fratelli di Gwangju travolti dagli eventi e colpiti a tal punto dalla brutalità dei militari da prendere parte alla sollevazione (come molti altri loro concittadini).

Immagine inserita

Basato sulla vera sollevazione di Gwangju (18-27 maggio 1980), di cui riproduce piuttosto dettagliatamente le fasi, May 18 è un drammone lacrimogeno di 138' che fracassa le palle dal primo all'ultimo fotogramma. A Petal in confronto è Hollywood Party.

PS- Dopo D-War (che non ho ancora visto ma da cui mi aspetto tutto il male possibile), May 18 è stato il maggior incasso coreano del 2007, con oltre sette milioni di spettatori.
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#62 RandolphCarter

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Inviato 09 luglio 2008 - 13:46

This Charming Girl (Yeo-ja, Jeong-hae, 2004) di Lee Yoon-ki, con Kim Ji-soo, Hwang Jeong-min


:-* Wow Corey, l'ho finalmente visto e ti ringrazio di cuore. Film di una enorme semplicità in apparenza, racchiude ed esprime senza servirle su un piatto emozioni e sofferenze di un personaggio complicato quanto affascinante (appunto).
Insomma i silenzi dicono più delle parole, e in questo senso un plauso alla bravissima protagonista (qui esordiente se non ho capito male!).

PS- Dopo D-War (che non ho ancora visto ma da cui mi aspetto tutto il male possibile)


E hai ragione asd
E' davvero una cosa oltre i limiti dell'imbarazzante. Guardalo comunque, in un certo senso è doveroso, per ricordarsi cosa non dovrebbe essere il cinema.
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#63 corey

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Inviato 09 luglio 2008 - 13:54

Eh eh eh, l'avevo avatarmente notato che non ti aveva lasciato indifferente.
Sono felicissimo che ti sia piaciuto e condivido le tue osservazioni. In effetti si tratta di un film di una semplicità cristallina ma percorsa da una gamma di vibrazioni emotive letteralmente sconvolgenti (basti pensare alla magnifica sequenza in cui Jeong-hae cerca di comprare delle scarpe nuove).
Sì, Kim Ji-soo (classe 1965) è al suo esordio. Impressionante, vero?
Il finale ti è piaciuto?

D-War lo guardo, cascasse il mondo lo guardo. Non prima di averlo recuperato però (sul mulo si trova?).
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#64 RandolphCarter

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Inviato 09 luglio 2008 - 14:03

(basti pensare alla magnifica sequenza in cui Jeong-hae cerca di comprare delle scarpe nuove).


Scena davvero spettacolare. Qui davvero si capisce come la nostra protagonista sia completamente diversa dai suoi simili e fuori da ogni logica comune; eppure  ciò non ha fa che aumentarne il fascino.

Il finale ti è piaciuto?


Moltissimo. Ho riguardato due-tre volte gli ultimissimi secondi per essere sicuro di aver percepito tutto...

D-War lo guardo, cascasse il mondo lo guardo. Non prima di averlo recuperato però (sul mulo si trova?).


Pure troppo, si trova.  asd
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#65 corey

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Inviato 09 luglio 2008 - 14:05


D-War lo guardo, cascasse il mondo lo guardo. Non prima di averlo recuperato però (sul mulo si trova?).

Pure troppo, si trova.  asd


:D
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#66 RandolphCarter

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Inviato 10 luglio 2008 - 14:14

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Muoi, the Legend of a Portrait
di Tae-kyeong Kim, Corea del Sud/Vietnam 2007
Genere: horror

Yoon-hee è una giovane scrittrice coreana in difficoltà creativa. Il suo ultimo libro risale ormai a tre anni prima: una sorta di resoconto scandalistico sul suo gruppo di amici, ed in particolare sulla sua ex migliore amica Seo-yeon, bersaglio di calunnie e dicerie. Per il suo prossimo libro, basato sulla leggenda folkloristica vietnamita riguardante la "maledizione di Muoi", Yoon-hee ha bisogno proprio dell'aiuto di Seo-yeon, emigrata per l'appunto in Vietnam dove dipinge e assiste un professore universitario nelle sue ricerche sul folklore locale. Yoon-hee e Seo-yeon, sotto l'ombra di una malcelata tensione relativa al loro perduto rapporto, iniziano ad indagare sulla leggenda. 100 anni prima Muoi, amante rifiutata e sfigurata dalla rivale, si uccise per cercare vendetta sotto forma di spirito. Venne imprigionata in un ritratto, ma il sigillo durante la guerra fu infranto; si narra così che il 15 di ogni mese Muoi compia la sua vendetta...

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Nella media degli horror made in Corea visti ultimamente Muoi fa tirare un discreto sospiro di sollievo. La regia infatti punta, più che sui facili spaventi, sulla costruzione di personaggi solidi e complessi e sull'imbastire una storia ricca di mistero. Sembra però addirittura eccedere nell'analizzare i tormentati rapporti tra le due protagoniste, tanto che a volte sembra di assistere ad un film drammatico più che ad un horror. Tutto sommato il risultato è buono, le protagoniste sono ben delineate (da sottolineare la presenza della splendida Cha Ye-ryeon, già in A Bloody Aria), il mistero avvince anche se non spaventa a morte, dal punto di vista formale siamo sui soliti standard sudcoreani, ovvero prossimi all'eccellenza. Ecco, sul finale si poteva davvero osare un po' di più, soprattutto avendo un girato tanto solido alle spalle. Comunque, in un panorama dove A Tale of Two Sisters e il recentissimo Epitaph sembrano destinati a rimanere per il momento casi isolati di genio orrorifico, ben vengano film come Muoi.

[trailer]
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#67 corey

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Inviato 13 luglio 2008 - 11:17

D-War (2007) di Shim Hyung-rae, con Jason Behr, Amanda Brooks, Robert Forster, Craig Robinson, Aimee Garcia, Chris Mulkey, John Ales

Buraki, malvagio imoogi (serpentone che desidera la promozione a drago), cerca piuttosto incivilmente l'energia Yeo-Yi-Joo per diventare drago celestiale e devastare la terra. Si dà il caso che questo potere tanto ambito risieda nel corpo di una certa Sarah (Amanda Brooks), ignara diciannovenne residente a Los Angeles. Buraki la insegue con fare invadente, ma Ethan (Jason Behr), che si crede un giovane giornalista ma che in realtà è la reincarnazione del paladino Haram, la difende come può, aiutato peraltro dal camaleontico Jack (Robert Forster), antiquario di mezza età che in realtà è la reincarnazione... Vabbè sì ho capito basta.

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1. Film campione d'incassi del 2007 in Corea con più di 8 milioni di spettatori (ha stracciato anche Transformers).
2. Film più costoso nella storia del cinema coreano con un budget di 75 milioni di dollari per creare le varie bestiole (non solo serpenti e draghi ma anche mostri bipedi, quadrupedi e similpterodattili).
3. Film coreano di maggiore successo in assoluto negli USA (11 milioni di dollari incassati), grazie a un cast prevalentemente americano e ad effetti di CG indubbiamente efficaci.

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4. Film cagone. Cioè la sua ragion d'essere spettacolare ce l'avrebbe anche (le scene di combattimento aereo tra elicotteri e pterocosi sono portentose), il guaio è che mette tantissima carne al fuoco (vedasi trama) e non la riscalda neanche. Tutto è tirato via con una rozzezza francamente imbarazzante, i personaggi non sono pervenuti e la progressione drammatica sfonda il muro dell'implausibiità ogni dieci secondi circa. Vabbè ma chi se ne frega, direte voi, ci sono i serpentoni che devastano L.A., Robert Forster che si trasforma in qualsiasi cosa che nemmeno Barbapapà e i globi di luce (cioè i globi di luce): che ti stai a impippare sulla pochezza dello script? E allora io dico imoogi e chiudo.
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#68 corey

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Inviato 13 luglio 2008 - 11:17

D-War (2007) di Shim Hyung-rae, con Jason Behr, Amanda Brooks, Robert Forster, Craig Robinson, Aimee Garcia, Chris Mulkey, John Ales

Buraki, malvagio imoogi (serpentone che desidera la promozione a drago), cerca piuttosto incivilmente l'energia Yeo-Yi-Joo per diventare drago celestiale e devastare la terra. Si dà il caso che questo potere tanto ambito risieda nel corpo di una certa Sarah (Amanda Brooks), ignara diciannovenne residente a Los Angeles. Buraki la insegue con fare invadente, ma Ethan (Jason Behr), che si crede un giovane giornalista ma che in realtà è la reincarnazione del paladino Haram, la difende come può, aiutato peraltro dal camaleontico Jack (Robert Forster), antiquario di mezza età che in realtà è la reincarnazione... Vabbè sì ho capito basta.

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1. Film campione d'incassi del 2007 in Corea con più di 8 milioni di spettatori (ha stracciato anche Transformers).
2. Film più costoso nella storia del cinema coreano con un budget di 75 milioni di dollari per creare le varie bestiole (non solo serpenti e draghi ma anche mostri bipedi, quadrupedi e similpterodattili).
3. Film coreano di maggiore successo in assoluto negli USA (11 milioni di dollari incassati), grazie a un cast prevalentemente americano e ad effetti di CG indubbiamente efficaci.

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4. Film cagone. Cioè la sua ragion d'essere spettacolare ce l'avrebbe anche (le scene di combattimento aereo tra elicotteri e pterocosi sono portentose), il guaio è che mette tantissima carne al fuoco (vedasi trama) e non la riscalda neanche. Tutto è tirato via con una rozzezza francamente imbarazzante, i personaggi non sono pervenuti e la progressione drammatica sfonda il muro dell'implausibiità ogni dieci secondi circa. Vabbè ma chi se ne frega, direte voi, ci sono i serpentoni che devastano L.A., Robert Forster che si trasforma in qualsiasi cosa che nemmeno Barbapapà e i globi di luce (cioè i globi di luce): che ti stai a impippare sulla pochezza dello script? E allora io dico imoogi e chiudo.
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#69 Guest_Oyuki_*

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Inviato 21 luglio 2008 - 21:14

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The Railroad (Gyeongui-seon, 2006) di Heung-Sik Park con Tae-yeong Son, Kang-woo Kim, Jong-hak Baek, Jeong-se Oh



Man Soo conduce i treni della metropolitana a Seoul mentre Hanna è una ricercatrice universitaria, che ha una storia con il suo professore.
I due giovani non si conoscono ma si incontrano al capolinea di una stazione, di notte, sotto la neve, senza possibilità di tornare indietro.


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Ancora prima di cominciare a parlarsi, i due cominciano a raccontarsi bugie. Il primo inventa una fidanzata immaginaria mentre la seconda un marito altrettanto immaginario.
Con l'intenzione di dirigersi verso la stazione più vicina, incominciano a dialogare e a raccontarsi episodi di vita non vissuta.


Film delicatissimo, sulla difficoltà delle persone di comunicare, di aprirsi. Nonostante la situazione in cui si trovano e nonostante la loro necessità di essere capiti, compresi, amati...non riescono comunque ad aprirsi totalmente e preferiscono tenersi tutto dentro. Con un pudore e una naturalezza tutti orientali.
Mi ha commossa, sarà che certe tematiche mi toccano più di altre, ma ve lo consiglio caldamente. Bellissimo.

Ah, dimenticavo: il film ha vinto il primo premio al Samsung Korea Film Fest 2008 a Firenze e Kim Kang-Woo ha vinto il premio come miglior attore al Torino Film Festival 2007.


http://www.ondacinem...e_railroad.html



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#70 corey

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Inviato 21 luglio 2008 - 23:06

The Railroad (Gyeongui-seon, 2006) di Heung-Sik Park con Tae-yeong Son, Kang-woo Kim, Jong-hak Baek, Jeong-se Oh

Mi ha commossa, sarà che certe tematiche mi toccano più di altre, ma ve lo consiglio caldamente. Bellissimo.

Ah, dimenticavo: il film ha vinto il primo premio al Samsung Korea Film Fest 2008 a Firenze e Kim Kang-Woo ha vinto il premio come miglior attore al Torino Film Festival 2007.

http://www.ondacinem...e_railroad.html


The Railroad è stata un'autentica rivelazione, un film di una bellezza trattenuta e smorzata davvero toccante. Sono molto contento che a Firenze abbia vinto il premio del pubblico (riconoscimento a cui spero di aver contribuito in qualche modo, presentandolo emozionato come il più bel film della sezione in concorso).

Quanto al festival fiorentino segnalo la prima parte dello speciale che ho curato per Gli Spietati:

http://www.spietati....l/2008/kff1.htm

La seconda parte (con i film di Lee Myung-se, Lee Yoon-ki e la sezione Korean Women Directors) è di imminente uscita.

PS- Al Torino Film Festival The Railroad si è aggiudicato anche il Premio Fipresci (vale a dire il premio della federazione internazionale della stampa cinematografica).
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#71 Guest_Oyuki_*

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Inviato 21 luglio 2008 - 23:17

PS- Al Torino Film Festival The Railroad si è aggiudicato anche il Premio Fipresci (vale a dire il premio della federazione internazionale della stampa cinematografica).


Giusto. Sapevo che mi stavo dimenticando qualcosa.

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#72 corey

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Inviato 21 luglio 2008 - 23:19


PS- Al Torino Film Festival The Railroad si è aggiudicato anche il Premio Fipresci (vale a dire il premio della federazione internazionale della stampa cinematografica).


Giusto. Sapevo che mi stavo dimenticando qualcosa.


A dire il vero me n'ero dimenticato anch'io ;)
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#73 Guest_Oyuki_*

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Inviato 22 luglio 2008 - 09:34



PS- Al Torino Film Festival The Railroad si è aggiudicato anche il Premio Fipresci (vale a dire il premio della federazione internazionale della stampa cinematografica).


Giusto. Sapevo che mi stavo dimenticando qualcosa.


A dire il vero me n'ero dimenticato anch'io ;)


L'importante è che quante più persone lo vedano e ne godano. Io lo sto consigliando a tutti quelli che conosco appassionati di cinema! Mi sa che presto avverrà una ulteriore visione.


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#74 corey

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Inviato 05 agosto 2008 - 10:19

Silmido (2003) di Kang Woo-seok con Seol Kyung-gu, Ahn Sung-ki, Huh Joon-ho, Jung Jae-young

Gennaio 1968: un manipolo di 31 soldati della Corea del Nord (l'Unità Speciale 124) penetra segretamente in territorio sudcoreano con la missione di accoppare il presidente Park Chung-hee. Intercettata e sgominata la missione omicida, il governo sudcoreano decide non molto fantasiosamente di organizzare una squadra esattamente speculare: l'Unità 684, composta anch'essa di 31 elementi raccattati tra criminali senza scrupoli, la maggior parte dei quali condannati a morte (pare tuttavia che nella realtà i 31 soldati della squadra non fossero pendagli da forca, ma soggetti reclutati in parte tra le forze speciali e in parte tra le persone comuni). L'Unità 684 ha ovviamente il compito di sgozzare Kim Il-sung: per fornire loro adeguata preparazione, i prescelti vengono trasferiti a Silmido (un'isoletta a 50 chilometri dal confine con la Corea del Nord e a 5 chilometri dall'aeroporto di Incheon). Ultimato il massacrante addestramento, il manipolo viene inviato via mare verso la Corea del Nord, ma subito dopo la partenza arriva il contrordine: la missione deve rientrare e tutti i suoi componenti devono essere eliminati perché nessuno venga a conoscenza dell'esistenza di questa unità. Riusciranno il capitano (Ahn Sung-ki) e i suoi stretti collaboratori a uccidere cinicamente i soldati che hanno addestrato a lungo? I soldati dell'Unità 684 intuiranno che le loro vite sono messe in pericolo proprio dall'autorità di cui dovrebbero fidarsi?

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Diretto dal potentissimo Kang Woo-seok (una tra le figure più influenti dell'industria cinematografica coreana del decennio), Silmido è un film che intende gettare luce sull'"incidente di Silmido", evento realmente accaduto che è stato fumosamente descritto dal governo come un'infiltrazione di guerrieri nordcoreani prima e un'azione militare sudcoreana di disturbo poi. Non intendo raccontare lo svolgimento degli eventi per non rovinare la sorpresa a chi non ha ancora visto il film, mi limito a dire che la versione ufficiale dei fatti è letteralmente irricevibile.

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Ma torniamo al film. Uscito il 24 dicembre nelle sale coreane, Silmido è riuscito a sfondare il muro degli 11 milioni di spettatori, abbattendo il precedente record di 8 milioni detenuto da Friend (2001) di Kwak Kyung-taek. Se i meriti "civili" del film sono indubbiamente alti, lo stesso non si può dire per quelli etici: il film di Kang Woo-seok è una tronfia agiografia patriottarda grondante retorica militarista (non si contano gli inni marziali e gli atti di maschio cameratismo) e spavaldo manicheismo (la milizia è dura e pura mentre la classe politica è subdola e opportunista).

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Dal punto di vista estetico (ovviamente solidale a quello etico) il discorso non cambia: cablata su un'emotività elementare, la messa in scena non offre sorpresa alcuna, limitandosi a seguire in pilota automatico le esigenze di un intreccio che alterna momenti tragici e cruenti a pause blandamente introspettivo-psicologiche (i soldati che svelano particolari del loro passato, gli ufficiali che reagiscono diversamente alla notizia di dover sterminare la squadra). Un diagramma narrativo che si impenna improvvisamente negli ultimi trenta minuti (indubbiamente i meno pesanti di un film che ne dura 135) in cui la potenza di fuoco si alza e l'Unità 684 abbandona finalmente l'isola di Silmido per tentare un'incursione suicida a Seoul. Epilogo di taciturna, eloquente bellezza: di gran lunga il frammento migliore di un film in cui persino Ahn Seong-ki (nel ruolo del fiero comandante) fa una meschina figura. Al blockbuster coreano di fine 2003 diciamo no.

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#75 corey

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Inviato 06 agosto 2008 - 10:53

Riporto la condivisibile recensione di D-War scritta da Adam Hartzell (pubblicata sullo splendido blog di Darcy Paquet) in cui si parla di una tesi molto interessante formulata da Martin Kevorkian in Color Monitors: The Black Face of Technology in America.

I could talk about the long delay of D-War's eventual release, increasing its ledger to the point of becoming the most expensive South Korean film. I could focus on director Shim Hyung-rae's intent to conquer the U.S. market with a primarily English-language film with primarily U.S. actors and how he obtained the over 2,000 screens he desired to practically guarantee a significant box office take. But ever counter-narrative, I'll focus on how D-War supports Martin Kevorkian's thesis put forth in Color Monitors: The Black Face of Technology in America.

But first, the plot. "Imoogi" is not the Korean word for 'dragon' as the title might suggest, but refers to a mythical large snake. There are good and bad Imoogi. Apparently every 500 hundred years there's a woman, the most recent incarnation being LA resident Sarah (Amanda Brooks - Flightplan), who has a spirit (called Yuh Ui Joo) that helps an Imoogi become ??celestial'. The bad Imoogi spends way more time hunting this woman than the good Imoogi and the woman has a companion, recent manifestation being Ethan (Jason Behr - TV show "Roswell"), who's supposed to protect her long enough to die instead for the good of the good Imoogi. If you don't get it, don't worry, early on it's explained to you twice and believability doesn't really matter because the film is really just a vehicle for computer animation prowess.

Some of the computer imagery is decent, such as the King Kong moment or the speedy, street-slithering. And such is partly responsible for the first weekend gross that put D-War at #5 in the U.S., staying in the top ten for one more week. But as for lasting impact, intriguing dialogue and well-orchestrated acting and editing would have helped, but like Sarah, such was sacrificed in order for the dragons to slide on screen. Those with whom I shared witness to the spectacle vocally cringed at much of the forced dialogue and plot propulsion. Poor pacing is the main problem. Many scenes are so quick they end up dampening the impact of the images. What should generate awe, say, when the Imoogi or the massive Atrox Army is introduced, end up uneventful. In a past life, Director Shim was a comedian, and although there are bits that could work, this same poor pacing, following a storyboard like it was a power point presentation, hinders the impact of much of the humor as well.

I'm left to look around for something in which to engage. What I found was further evidence for Kevorkian's argument about how black characters are being placed behind the computer screens of our movie screens and what this says about technology and race.

This cinematic practice has reached cliched proportions in Hollywood. It's one of those things you don't notice, but once someone like Kevorkian points it out to you, you no longer can not notice it, like the negative space generating an arrow in the FedEx logo. Die Hard, Terminator 2, Jurassic Park, Mission Impossible 2, Transformers etc., and now D-War, all cast black actors as computer operators. Although this partly represents a well-meaning effort to replace past stereotypical portrayals of blacks as ignorant with portrayals of them as highly intelligent, Kevorkian finds evidence that the black body is being placed in front of these machines to protect the white body from the contamination of technology, from the fears and anxieties spawned by technophobia.

In D-War we call him Bruce (Craig Robinson - Knocked Up). He searches for the information (touching the data), while the processing of the information (exploiting the data) is Ethan's domain. Heightening Kevorkian's argument further, Bruce's other job is driving Ms. Yuh Yi Joo and Ethan around the streets of LA. And the only time that Bruce actually freely acts on technology outside of Ethan's instruction is when he gives Ethan a gun. This is contextualized within the film as a bad choice, implying that Bruce doesn't have the capacity to exploit technology like our hero Ethan. (This questioned gift is then dropped from the plot like it's hot.)

Let me state explicitly that I am not implying here that Shim's Bruce is a consciously racist portrayal. (At least Shim doesn't have Bruce die first like Michael Bay smashes the black voice in Transformers.) The placement of the black body as a technological interface seems to me more evidence of structurally racist industry practices, audience genre demands, and a problematic genre trope than conscious politics. However, now that Kevorkian has pointed out the invisible arrow resonating in the negative space, we can't ignore it. It's up to us to change direction.

In the end, D-War is more valuable as pedagogy for globalization than as entertainment, demonstrating how the new Hollywood stereotype of the black body in the black box has returned to LA in the form of a monster movie from South Korea. Globalization is a thing of the past that is here to stay. The considerable success of D-War in South Korea, where it reached the all-time top ten of ticket sales, and its reasonable success in the U.S should have us looking at what we want, and don't want, to keep traveling to and fro our respective lands.
      (Adam Hartzell)
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#76 corey

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Inviato 08 agosto 2008 - 00:23

Arricchisco il mancato dibattito sulle tremendamente suggestive (almeno a mio avviso) tesi di Martin Kevorkian, riportando un frammento della scheda del libro approntata dalla Cornell University Press. Col cinema coreano che c'entra, direte voi? Apparentemente niente, rispondo io, ma se aveste letto la recensione di Hartzell precedentemente postata forse non fareste questa domanda. Ma non importa, l'ipotesi di Kevorkian è tremendamente affascinante: mi piacerebbe moltissimo trovare qualche sciroccato con cui condividere le spese d'acquisto del libro e il perverso masochismo della lettura di 224 pagine su pipponi criptorazzisti et similia, sarebbe troppo nerd.

Ecco la pappardella:

"Following up on Ralph Ellison’s intimation that blacks serve as “the machines inside the machine,” Color Monitors examines the designation of black bodies as natural machines for the information age. Martin Kevorkian shows how African Americans are consistently depicted as highly skilled, intelligent, and technologically savvy as they work to solve complex computer problems in popular movies, corporate advertising, and contemporary fiction. But is this progress? Or do such seemingly positive depictions have more disturbing implications? Kevorkian provocatively asserts that whites’ historical “fear of a black planet” has in the age of microprocessing converged with a new fear of computers and the possibility that digital imperatives will engulf human creativity.

Analyzing escapist fantasies from Mission: Impossible to Minority Report, Kevorkian argues that the placement of a black man in front of a computer screen doubly reassures audiences: he is nonthreatening, safely occupied—even imprisoned—by the very machine he attempts to control, an occupation that simultaneously frees the action heroes from any electronic headaches".

Da http://www.cornellpr....taf?ti_id=4442
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#77 corey

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Inviato 13 agosto 2008 - 17:36

Crying Fist (2005) di Ryoo Seung-wan, con Ryoo con Ryoo Seung-beom, Choi Min-sik, Jeon Ho-jin, Lim Won-hie

Ex medaglia d'argento ai giochi asiatici di Pechino, Tae-shik (Choi Min-sik) ha enormi problemi economici e per sbarcare il lunario si inventa una professione assai bizzarra: il punching bag umano sul quale sfogare le frustrazioni quotidiane. Giovane delinquente che vive rubacchiando e taglieggiando studenti, Sang-hwan (Ryoo Seung-beom) tenta un colpo più grosso ma viene immediatamente colto in flagrante e spedito in carcere. Le vite dei due uomini sembrano non avere nulla in comune tranne una generica inclinazione al fallimento, ma le loro strade sono destinate a incontrarsi sul ring: entrambi partecipano al campionato nazionale dei pesi superleggeri e riescono ad arrivare in finale.

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Quarto lungometraggio di Ryoo Seung-wan (divenuto celebre col suo film d'esordio, quel Die Bad che nel 2000 ha improvvisamente fatto scoprire le potenzialità commerciali del cinema indipendente), Crying Fist è un boxe-movie che intende coniugare dinamismo sportivo e introspezione psicologica. Se all'irruenza ci pensa lo stile ipercinetico del regista (camera a spalla, otturatore aperto e tanta confusione), la caratterizzazione dei personaggi spetta invece a due attori appartenenti a generazioni diverse ma di talento non dissimile: Choi Min-sik (Old Boy) e Ryoo Seung-beom (Conduct Zero), quest'ultimo fratello minore del regista.

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I due attori offrono interpretazioni opposte: caciarona e estroversa quella di Choi, trattenuta e introversa quella di Ryoo. Per quanto entrambi convincenti e perfettamente in parte, i ruoli loro assegnati soffrono di un'eccessiva specularità: le sfortune dell'uno si riflettono nelle disgrazie dell'altro, così come le paure e i desideri di riscatto. Del resto l'intero film, tutto proteso a schivare il cliché del pugile sfigato che sfida il campione, è incardinato sul parallelismo tra i due personaggi, figure emblematicamente antieroiche e analogamente inguaiate.

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Se lo script, testardamente piantato sul dualismo, non brilla per libertà di tratto, la regia è altrettanto rigida: il montaggio alternato (talvolta degenerante in split-screen) monopolizza il dettato visivo, rendendo assai artificiosa e schematica la progressione drammatica. Il risultato è che non ci si appassiona mai a ciò che sta succedendo e quando, nel finale, il pathos dovrebbe toccare e addirittura commuovere, la situazione assume toni grotteschi e caricaturali. Trascurabile anche il sottotesto di critica sociale (leggi "competizione feroce", "rispettabilità", "umiliazione" e via dicendo). Ha già detto tutto, e infinitamente meglio, Kim Jee-woon nello strepitoso The Foul King.

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#78 corey

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Inviato 20 agosto 2008 - 20:09

Segnalo la pubblicazione della seconda e ultima parte dello speciale sul Samsung Korea Film Fest tenutosi a Firenze dal 7 al 15 marzo 2008. Si tratta delle sezioni dedicate all'intimista Lee Yoon-ki, al "decostruzionista" Lee Myung-se e alle Korean Women Directors.

Ecco il link

http://www.spietati....l/2008/kff2.htm

Buona lettura
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#79 Theredroom

    Groupie

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Inviato 21 agosto 2008 - 15:05

scusate,the railroad si trova in dvd? :-*
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#80 RandolphCarter

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Inviato 21 agosto 2008 - 15:53

http://www.yesasia.c...-0-en/info.html

"Temporarily out of stock"
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#81 ergen

    Roadie

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Inviato 21 agosto 2008 - 17:44

Corey, e chi abbia voglia di parlarne, come va il cinema coreano? cos'è oggi?
Scorrendo foto di cui sopra mi sembra fratturato in blogbasteroni d'azione/thriller/ramenhorror e d'altra parte Intimismo Stiloso Sterile.
Insomma si sta ripiegando su se stesso, o sono io che mi son stufato?
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#82 Guest_Oyuki_*

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Inviato 21 agosto 2008 - 17:44

http://www.yesasia.c...-0-en/info.html

"Temporarily out of stock"


Ed è anche un Region Code 3. Lo stesso che avevo trovato io in rete. Su yesasia non riuscivo a trovarlo.  ???
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#83 RandolphCarter

    life is cool

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Inviato 21 agosto 2008 - 18:13


http://www.yesasia.c...-0-en/info.html

"Temporarily out of stock"


Ed è anche un Region Code 3. Lo stesso che avevo trovato io in rete. Su yesasia non riuscivo a trovarlo.  ???


Ci ho messo un attimo anch'io, finchè non ho provato a spuntare una casella per mostrare anche i prodotti out of stock

Per il region code non basta un programma come anyDVD?
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#84 corey

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Inviato 21 agosto 2008 - 20:17

Corey, e chi abbia voglia di parlarne, come va il cinema coreano? cos'è oggi?
Scorrendo foto di cui sopra mi sembra fratturato in blogbasteroni d'azione/thriller/ramenhorror e d'altra parte Intimismo Stiloso Sterile.
Insomma si sta ripiegando su se stesso, o sono io che mi son stufato?


Il discorso è un filo più complesso. Non solo ci sono film spettacolarmente ipertrofici che tuttavia non disdegnano il confronto con le ferite ancora aperte del passato (vedi May 18), ma anche prodotti low profile che sfruttano i generi come territori da esplorare (vedi The Chaser o Our Town). Se a questo aggiungi produzioni che valorizzano talenti esplosivi (vedi The Good, the Bad and the Weird) o ritratti femminili di sicura incisività (vedi Forever the Moment e The Wonder Years), il quadro che emerge è un po' più articolato e teoricamente soddisfacente. Nessun ripiegamento insomma, solo una fase di ripensamento che verosimilmente trarrà nuova linfa dalla scena indie, più vivace che mai in questo momento. La prossima edizione del Samsung Korea Film Fest dovrebbe proprio rendere conto del fermento indipendente che sta attraversando il cinema coreano contemporaneo, ormai uscito ufficialmente dalla gloriosa fase del New Korean Cinema.
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#85 ergen

    Roadie

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Inviato 21 agosto 2008 - 23:17

Grazie della risposta, in questo momento ho poca voglia di ributtarmi nel mucchio selvaggio, ma prendo nota dei tuoi suggerimenti e attendo che il festival metta ordinata luce sul fenomeno andevgvaund.

ni hao.
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#86 corey

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Inviato 22 agosto 2008 - 01:11

prego. nel frattempo c'è tutto ma proprio tutto lo spessiale sensassionale dell'edissione passata da sciroppassi  asd

Annyonghi kasayo.
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#87 corey

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Inviato 26 agosto 2008 - 18:08

segnalo l'uscita del video-resoconto della sesta edizione del korea film fest di firenze.

dura una ventina di minuti ma la visione è assai scorrevole (soprattutto grazie allo strepitoso commento verbale ;))

ecco il link:

http://www.koreafilmfest.com/

buona visione  :)
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#88 corey

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Inviato 03 settembre 2008 - 08:39

The Chaser (Chugyeogja, 2008) di Na Hong-jin  con Kim Yun-seok, Ha Jung-woo, Seo Yeong-hie, Jung In-gi, Park Hyo-ju

Un serial killer contatta ragazze squillo per sfondare loro il cranio con uno scalpello, ma si dà il caso che il protettore, un ex sbirro radiato dal corpo per corruzione, non sia completamente d'accordo, sicché si mette sulle sue tracce...

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Il thriller come meccanismo rivelatore, l'action come operazione di sabotaggio, il noir come ipotesi critica nei confronti dell'esistente: The Chaser ("L'inseguitore"), lungometraggio d'esordio di Na Hong-jin (classe 1974), scoperchia le aberrazioni della società coreana utilizzando il genere come piede di porco per scardinare l'ipocrisia della normalità. Istituzioni pigre e opportuniste, sessismo dilagante, discriminazioni e prepotenze a non finire: l'immagine della società coreana dipinta dall'esordiente Na (anche sceneggiatore) è di una ferocia da mettere i brividi. Seul osserva impassibile, testimone muta illuminata debolmente da luci smorte e lontane.

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Pazzesca la messa in scena: lontana sia dal rozzo realismo di Kwak Kyung-taek (Friend) che dalla trasfigurazione estetizzante di Kim Jee-woon (A Bittersweet Life), la regia di Na Hong-jin è frontale e devastante nella rappresentazione della violenza (era dai tempi di Tell Me Something che un thriller non osava tanto), tambureggiante e  inesorabile nel crescendo drammatico (il montaggio alternato raggiunge picchi di assoluta tragicità) e di un'essenzialità esaltante nel togliere tutto il superfluo (nonostante la durata del film, 123', faccia pensare il contrario). Definito dalla critica uno "sleeper" (vale a dire un film uscito in sordina ma amplificato dal passaparola del pubblico), The Chaser, grazie alla sua incandescente commistione di genere e critica sociale, è diventato il secondo maggiore successo coreano dell'anno con più di 5 milioni di spettatori. Morale della favola: a Hollywood si sono già accaparrati i diritti per il remake (William Monahan alla sceneggiatura e Leonardo DiCaprio come protagonista).
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#89 Guest_eustache_*

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Inviato 03 settembre 2008 - 08:58

The Chaser (Chugyeogja, 2008) di Na Hong-jin  con Kim Yun-seok, Ha Jung-woo, Seo Yeong-hie, Jung In-gi, Park Hyo-ju

Un serial killer contatta ragazze squillo per sfondare loro il cranio con uno scalpello, ma si dà il caso che il protettore, un ex sbirro radiato dal corpo per corruzione, non sia completamente d'accordo, sicché si mette sulle sue tracce...

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Il thriller come meccanismo rivelatore, l'action come operazione di sabotaggio, il noir come ipotesi critica nei confronti dell'esistente: The Chaser ("L'inseguitore"), lungometraggio d'esordio di Na Hong-jin (classe 1974), scoperchia le aberrazioni della società coreana utilizzando il genere come piede di porco per scardinare l'ipocrisia della normalità. Istituzioni pigre e opportuniste, sessismo dilagante, discriminazioni e prepotenze a non finire: l'immagine della società coreana dipinta dall'esordiente Na (anche sceneggiatore) è di una ferocia da mettere i brividi. Seul osserva impassibile, testimone muta illuminata debolmente da luci smorte e lontane.

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Pazzesca la messa in scena: lontana sia dal rozzo realismo di Kwak Kyung-taek (Friend) che dalla trasfigurazione estetizzante di Kim Jee-woon (A Bittersweet Life), la regia di Na Hong-jin è frontale e devastante nella rappresentazione della violenza (era dai tempi di Tell Me Something che un thriller non osava tanto), tambureggiante e  inesorabile nel crescendo drammatico (il montaggio alternato raggiunge picchi di assoluta tragicità) e di un'essenzialità esaltante nel togliere tutto il superfluo (nonostante la durata del film, 123', faccia pensare il contrario). Definito dalla critica uno "sleeper" (vale a dire un film uscito in sordina ma amplificato dal passaparola del pubblico), The Chaser, grazie alla sua incandescente commistione di genere e critica sociale, è diventato il secondo maggiore successo coreano dell'anno con più di 5 milioni di spettatori. Morale della favola: a Hollywood si sono già accaparrati i diritti per il remake (William Monahan alla sceneggiatura e Leonardo DiCaprio come protagonista).


buon film sulla strada de Memories of murder, ma non ai livelli del capolavoro di Bong Joon-ho
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#90 corey

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Inviato 03 settembre 2008 - 09:08

buon film sulla strada de Memories of murder, ma non ai livelli del capolavoro di Bong Joon-ho


Memories of Murder, citato (a proposito, vero) da chiunque, l'ho volutamente lasciato fuori dalle mie considerazioni perché un tantino fuorviante: se il film di Bong predilige la complessità dell'intrigo, quello di Na prende progressivamente le distanze dall'enigma per gettarsi con irruenza nell'azione (la seconda parte del film è praticamente una gigantesca scorribanda). Poi è come al solito una questione di gusti: tra il bel film di Bong Joon-ho e lo strepitoso thriller di Na Hong-jin indovina un po' quale scelgo senza pensarci due volte?
Bong Joon-ho te lo lascio più che volentieri, io mi tengo stretto Na, così siamo entrambi contenti asd
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#91 Guest_eustache_*

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Inviato 03 settembre 2008 - 09:20


buon film sulla strada de Memories of murder, ma non ai livelli del capolavoro di Bong Joon-ho


Memories of Murder, citato (a proposito, vero) da chiunque, l'ho volutamente lasciato fuori dalle mie considerazioni perché un tantino fuorviante: se il film di Bong predilige la complessità dell'intrigo, quello di Na prende progressivamente le distanze dall'enigma per gettarsi con irruenza nell'azione (la seconda parte del film è praticamente una gigantesca scorribanda). Poi è come al solito una questione di gusti: tra il bel film di Bong Joon-ho e lo strepitoso thriller di Na Hong-jin indovina un po' quale scelgo senza pensarci due volte?
Bong Joon-ho te lo lascio più che volentieri, io mi tengo stretto Na, così siamo entrambi contenti asd


hai ragione, l'allusione al film di Bong è inflazionato, però non fuorviante.... gli elementi in comune sono:
1) il protagonista, un antieroe amorale un po' piacione con tanto di buddy malmenato, che si redime attraverso l'ossessione... ma vuoi mettere Song Kang-ho(uno dei più grandi attori viventi) con Yun-seok Kim (bravissimo anche lui comunque)?
2) Il serial killer (va beh)
3) Il soggetto tratto da una vicenda vera
4) La metafora politica

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#92 corey

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Inviato 03 settembre 2008 - 09:28



buon film sulla strada de Memories of murder, ma non ai livelli del capolavoro di Bong Joon-ho


Memories of Murder, citato (a proposito, vero) da chiunque, l'ho volutamente lasciato fuori dalle mie considerazioni perché un tantino fuorviante: se il film di Bong predilige la complessità dell'intrigo, quello di Na prende progressivamente le distanze dall'enigma per gettarsi con irruenza nell'azione (la seconda parte del film è praticamente una gigantesca scorribanda). Poi è come al solito una questione di gusti: tra il bel film di Bong Joon-ho e lo strepitoso thriller di Na Hong-jin indovina un po' quale scelgo senza pensarci due volte?
Bong Joon-ho te lo lascio più che volentieri, io mi tengo stretto Na, così siamo entrambi contenti asd


hai ragione, l'allusione al film di Bong è inflazionato, però non fuorviante.... gli elementi in comune sono:
1) il protagonista, un antieroe amorale un po' piacione con tanto di buddy malmenato, che si redime attraverso l'ossessione... ma vuoi mettere Song Kang-ho(uno dei più grandi attori viventi) con Yun-seok Kim (bravissimo anche lui comunque)?
2) Il serial killer (va beh)
3) Il soggetto tratto da una vicenda vera
4) La metafora politica


Se rileggi quello che ho scritto, ti accorgi che tra parentesi ho detto "a proposito" e non "a sproposito". Cionondimeno, dal mio punto di vista e stanti gli elementi da te evidenziati, mi sembra più urgente e interessante evidenziare i tratti distintivi e differenzianti dell'esaltante thriller di Na (esaltante anche nel romantico nichilismo di fondo) anziché sentenziare "è una brutta copia del film di Bong" o "è un Memories of Murder in sedicesimo". A mio avviso è solo valorizzando la singolarità del film che se ne può apprezzare la potenza e la capcità di incidere il tessuto sociale coreano. Tutto ciò secondo me, ovviamente, non ho intenzione di convincere chicchessia come d'altra parte non ho intenzione di essere convinto da chicchessia.
Che poi, pur nella passione comune per il cinema coreano, abbiamo gusti cinematografici diversi è una verità oggettiva, con intima e reciproca soddisfazione suppongo.
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#93 corey

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Inviato 03 settembre 2008 - 09:33

Inoltre in The Chaser non vi è alcuna metafora politica: l'opportunismo e la scorrettezza della classe dirigente (rappresentata esplicitamente dal sindaco di Seul, mica da un pappataci qualsiasi), che fa pressione sulla polizia per manipolare l'opinione pubblica non è un'allusione, è un dato oggettivo del film.
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#94 Guest_eustache_*

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Inviato 03 settembre 2008 - 09:35

non volevo assolutamente mettere al di sopra il mio giudizio sul tuo. riconosco assolutamente le differenze tra i due, ma trovo che sia egualmente interessante riconoscere le differenze quanto le analogie, per identificare una tendenza del cinema coreano se non altro, e non per esaltare il modello rispetto alla copia (non esistono modelli)

per esempio io ho apprezzato per lo stesso morivo Gone baby gone, di ben affleck. non una semplice copia di Mystic river, ma la consolidazione di un genere, neo noir, neo classico (o come si preferisce)
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#95 corey

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Inviato 03 settembre 2008 - 09:48

non volevo assolutamente mettere al di sopra il mio giudizio sul tuo. riconosco assolutamente le differenze tra i due, ma trovo che sia egualmente interessante riconoscere le differenze quanto le analogie, per identificare una tendenza del cinema coreano se non altro


Questo è un discorso già più interessante. La riflessione che mi è venuta da fare, considerando che col 2006 si è ufficialmente chiusa la fase del New Korean Cinema, è che un film come The Chaser apre un nuovo capitolo nel cinema noir/action coreano. Non più imperniato sulla formula del blockbuster (ed è qui fondamentale ricordare che in Corea il termine blockbuster è usato a priori e non a posteriori: si definiscono tali i film ad alto budget e non ad alto incasso) e non più incardinato sull'eccellenza riconosciuta degli interpreti (emblematico in questo senso quello che dicevi a proposito di Kim paragonandolo a Song), ma basato sull'essenzialità della scrittura (a differenza della contorsione narrativa del New Korean Cinema), sull'utilizzo anticonvenzionale degli attori (Kim è al suo primo ruolo da protagonista e Ha, se non erro, recita per la prima volta la parte di un sociopatico disturbato e disturbante) e su una regia basica e di rigore cartesiano.
Volendo si possono fare due associazioni ulteriori: con il cinema di Johnnie To da una parte per l'assegnazione di ruoli inconsueti agli interpreti e al cinema indipendente per la natura low budget dell'operazione. Ma queste sono congetture da verificare col tempo.
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i periti hanno dimostrato che non vi è alcuna certezza.

#96 RandolphCarter

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Inviato 03 settembre 2008 - 14:04

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Hansel and Gretel
di Yim Pil-Sung, Corea del Sud 2007
Genere: fantasy/horror/drammatico

Eun-soo ha un incidente lungo una strada di campagna, e la sua auto esce di strada. Si risveglia di notte nel mezzo di una foresta; una strana bambina lo conduce fino ad una casa che sembra uscita da un libro sulle fate, dove vive coi genitori ed altri due bambini. Ben presto Eun-soo si renderà conto che, per quanti sforzi faccia, qualcosa gli impedisce di uscire dalla foresta e di abbandonare i bambini che vivono nella casa...
Una commistione fra toni fiabeschi, orrorifici e drammatici: questi i tratti distintivi della pellicola. Inevitabile il rimando alle cupe favole di Guillermo del Toro: mi riferisco in particolare a "Il Labirinto del Fauno", con cui Hansel and Gretel ha più di un punto in comune, dalla prospettiva infantile che vede l'immaginazione come unica possibile via di fuga da una realtà insostenibile, alla presentazione di due mondi, quello adulto e quello dei bambini, talmente distanti da risiedere su due differenti piani dell'esistenza.
Per quanto la storia evolva fino al finale senza troppe sorprese, Hansel and Gretel è un film che turba e, anche se con un filo di ruffianaggine di troppo, commuove. Formalmente ogni aspetto è molto curato, e del resto siamo davanti ad una produzione ad alto budget; molto bello fra l'altro il commento sonoro, che ben descrive l'aura fatata e sospesa di cui il film è pervaso.

6,5
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The sound of something important disappearing.

#97 Guest_Oyuki_*

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Inviato 04 settembre 2008 - 06:26

Hansel and Gretel
di Yim Pil-Sung, Corea del Sud 2007
Genere: fantasy/horror/drammatico


Sai che proprio qualche giorno fa mi hanno mandato la recensione?  ;D

Edit: eccola qui: http://ondacinema.it...sel_gretel.html
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#98 RandolphCarter

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Inviato 04 settembre 2008 - 10:38

Immaginavo ... :D
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The sound of something important disappearing.

#99 corey

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Inviato 05 settembre 2008 - 10:14

Welcome To Dongmakgol (2005) di Park Kwang-hyun, con Jung Jae-young, Shin Ha-kyun, Kang Hye-jung, Im Ha-ryong, Seo Jae-kyung, Ryu Deok-hwan, Steve Taschler

1950, Guerra di Corea: in un isolato villaggio di montagna, il cui nome Dongmakgol ("vita senza preoccupazioni") è tutto un programma, giungono un pilota statunitense il cui aereo è precipitato nei dintorni, tre soldati nordcoreani rimasti tagliati fuori dal resto delle truppe in ritirata e due soldati sudcoreani altrettanto smarriti. Qui, dopo l'iniziale e inevitabile diffidenza (che porta alla distruzione delle riserve di grano), i militari si lasciano influenzare dall'atmosfera paciosa e bucolica del villaggio. Finché il comando americano, convinto che nella zona si annidi un focolaio di resistenza nordcoreana, decide di radere al suolo l'intera area...

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Che dire? Un film di impeccabile cerchiobottismo: gli abitanti del villaggio sono la stucchevole quintessenza della naïveté (non solo ignorano la guerra, ma sembrano totalmente privi di impulsi aggressivi), la distruzione accidentale degli approvvigionamenti anziché scatenare il giustificato risentimento dei "buoni selvaggi" fa da volano di pacificazione tra i due schieramenti nemici e l'ostilità reciproca dei militari si scioglie come neve al sole. Il ritratto idilliaco e tanto tanto colorato di Dongmakgol rischia di far venire l'orticaria insomma, infarcito com'è di premure, carinerie e ruffianerie varie.

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Ma, come prevedibile, c'è un ma, o meglio più di uno. In questo tripudio di ingenuità e candore, le psicologie dei personaggi principali sono cesellate con precisione (benché non esenti da una certa fissità), la resa dei cromatismi saturi e schioccanti dell'idillio è effettivamente preziosa e, soprattutto, le melodie avvolgenti di Joe Hisaishi fanno breccia anche nel cuore più corazzato. In altri termini, i pregi tecnici (caratterizzazione dei personaggi + brillantezza figurativa + musiche celestiali) fanno chiudere un occhio sull'estremismo filantropico del film, che con 8 milioni di spettatori è stato il secondo maggiore successo coreano del 2005 (a quattro lunghezze da The King and the Clown, che però è uscito il 29 dicembre).

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Vale la pena riflettere ulteriormente sui motivi del successo di questa pellicola: oltre all'eccellenza tecnica ci sono infatti almeno altre due ragioni che ne hanno determinato la fortuna. Innanzitutto il fatto che la questione della divisione della Corea è trattata per la prima volta in chiave di commedia (a differenza dei drammatici JSA del 2000 e Taegukgi del 2004), in secondo e decisivo luogo perché offre agli spettatori la possibilità di superare agevolmente la rivalità ideologica risolvendola nel nucleo tematico della famiglia (valore supremo che proviene direttamente dalla tradizione confuciana e che attraversa verticalmente la penisola coreana). Tramite la descrizione della comunità incorrotta come un'ideale famiglia pronta ad accogliere i figli che errano (che sbagliano e che hanno smarrito il senso delle cose importanti), gli spettatori si sentono legittimati a condannare l'assurdità della scissione nazionale senza che questo metta in crisi il sistema tradizionale di valori. La grande famiglia come risoluzione del conflitto.

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i periti hanno dimostrato che non vi è alcuna certezza.

#100 corey

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Inviato 18 settembre 2008 - 09:28

Real Fiction (Shilje sanghwang, 2000) di Kim Ki-duk con Jin-mo Ju, Jin-ah Kim, Min-seok Son, Je-rak Lee, Ki-yeon Kim

Un ritrattista di strada viene maltrattato e umiliato un po' da chiunque. Una tizia armata di videocamera gli commissiona un ritratto ma, non avendo soldi per pagarlo, lo invita a seguirla, assicurandogli che il suo modo per ricompensarlo "sicuramente gli piacerà". Lo conduce in un teatro dove si svolge uno spettacolo a sala deserta. Qui un tizio lo esorta a recitare il suo alter ego, mettendogli in mano una pistola e chiedendogli di uccidere metaforicamente i suoi nemici. L'ultimo colpo della pistola non è in bianco e l'attore si accascia al suolo sotto lo sguardo incredulo del ritrattista involontario omicida. Uscito dal teatro, l'artista di strada è animato da una furia vendicativa che lo spinge ad accoppare con meticolosa freddezza tutti quelli con cui ha un conto in sospeso...

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Film-esperimento girato da Kim Ki-duk praticamente in tempo reale con uno sciame di cineprese e videocamere piazzate sul tragitto del protagonista, Real Fiction è semplicistico nelle dinamiche mentali (goffissima la manfrina nel teatro e terribilmente pedestre il meccanismo psicologico che scatena la rabbia omicida del remissivo ritrattista), banale nel progetto estetico (il digitale come certificato di realtà) e zoppicante nella messa in scena (anziché favorire il coinvolgimento, la presa diretta sa soltanto di artificio velleitario). Kim lo considera il film a cui tiene maggiormente e noi glielo lasciamo tenere molto volentieri.


The Coast Guard (Hae anseon, 2002) di Kim Ki-duk con Dong-Kun Jang, Jeong-hak Kim, Ji-a Park, Hye-jin Yu, Jin Jeong

Un fanatico guardacoste che ha come unico scopo nella vita l'arresto di fantomatiche spie nordcoreane abbatte per errore(?) un tizio del luogo che sta copulando sulla spiaggia con la sua donna. Nonostante le proteste degli abitanti del luogo, il caporale Kang riceve addirittura una licenza premio per aver fatto il suo dovere (i due amoreggiavano infatti in zona vietata), ma la sua mente è irrecuperabilmente scossa e i suoi comportamenti diventano sempre più incontrollabili...

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Ultimo film della "fase cazzuta" di Kim Ki-duk, The Coast Guard non possiede né la rarefazione estetica de L'isola né la compattezza drammatica di Bad Guy né la complessità grottesca di Address Unknown, inanellando soltanto sequenze di addestramento e ordinario fanatismo militare girate con scarsa persuasività. Il discorso sulla divisione nazionale e sulla paranoia permanente (oggettivata dalla barriera di filo spinato che orla le coste sudcoreane per evitare l'invasione nordcoreana) è sviluppato in modo didascalico ed altrettanto grossolana è la descrizione delle dinamiche psicologiche che portano il caporale Kang (e la fidanzata del ragazzo ucciso per sbaglio) alla follia. La sola cosa realmente affascinante del film è la smaterializzazione del protagonista: pur realizzata con espedienti visivi elementari (la sfocatura su tutti), la progressiva "fantasmizzazione" del caporale appare indubbiamente suggestiva.
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i periti hanno dimostrato che non vi è alcuna certezza.




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