non riesco a spiegarmi bene come sia stato possibile che le destre italiane siano rimaste "non antifasciste" (quando non proprio fasciste), illiberali, e impregnate di quella cultura sovranistoide che è cosí ben rappresentata dall'attuale quartetto di ministri Piantedosi, Lollo, Urso, e Sangiuliano (e che per alcuni aspetti, in versione più soft, affiora anche a sinistra).
Questo nonostante il ricambio generazionale e fenomeni epocali quali boom economico, consumismo, sessantotto, industrializzazione, spopolamento delle campagne e inurbamento, migrazione interna sud-nord, emigrati di ritorno, istruzione di massa, lotte civili, emancipazione femminile, globalizzazione, eccetera.
Le due risposte che mi sono dato a parziale motivazione culturale sono:
- gestione del dopoguerra.
È stato scelto di raccontare la Resistenza come un movimento di popolo. I comunisti anche per motivazioni ideologiche, gli altri soprattutto per ragioni pratiche: hai un paese da ricostruire e mandare avanti con una burocrazia e società civile che fino a ieri era compattamente fascista. Era molto più pratico fare finta di niente.
Il risultato paradossale è che regalare a tutti la patente dell'antifascismo ha finito per stemperarne il significato.
In un ipotetico scenario senza amnistie e con tante epurazioni, processi, inchieste storiche e giornalistiche, eccetera, in un ipotetico scenario in cui è chiaro che c'è una minoranza di vincitori, una parte consistente di sconfitti, e una parte ancora più consistente di 'non antifascisti', sarebbe stato maggiore il "costo" di rimanere fascisti (discreti) e di non abbracciare l'antifascismo. Per come invece è andata (volemose bene), le culture di destra non hanno dovuto rimettersi davvero in discussione.
- Il liceo. 