Si dice, si dice, ma alla fin fine i Velvet Underground hanno goduto sempre di buona stampa. Anche i Beatles, salvo parentesi. O i Talking Heads. O Björk. Ci sono invece artisti, se non interi filoni, per cui le cose sono andate diversamente. Gente che è stata al centro dell'attenzione per un tot, e poi è stata dimenticata o addirittura rinnegata, eletta a emblema di un passato a cui non ritornare. O al contrario, artisti bistrattati dalla critica nella fase clou della loro attività, e rivalutati anni o decenni dopo ("sdoganati", si diceva qualche tempo fa da queste parti). Ci sono stati anche ambiti mai considerati prima di essere di punto in bianco "riscoperti" (fino al punto da essere associabili altrettanto all'epoca della loro riscoperta che alla loro originaria), carriere o scuole che sono state seguite con attenzione fino a un tot del loro sviluppo e poi abbandonate (nonostante il perseverare delle produzioni).
Chissà quante combinazioni mancano. Ma soprattutto, mancano i protagonisti. Dal lato degli artisti, e da quello degli scribacchini. E mancano le dinamiche generali, i perché, i tratti ricorrenti. Ci sono delle costanti nelle predilezioni della critica (o delle critiche)? Delle correnti che hanno preso piede e si sono consolidate nel tempo, anche al mutare delle penne, dei pubblici e delle mode? Magari delle inversioni di tendenza, o dei fattori che hanno distinto scuole critiche anche contemporanee fra loro?
Che cosa si fa, insomma, in questo thread? Il rischio è ovviamente che la questione sia troppo ampia e vaga, e quindi vorrei che ci si concentrasse su storie e casi concreti, esempi tipici o anomali, ovviamente anche generalizzazioni ma cercando - e questo è uno sforzo che davvero chiedo - di astrarre un poco dal giudizio. Non vuole essere una discussione su "sottovalutati VS sopravvalutati" (che sottointenderebbe una questione di merito) ma una semplice attestazione di cosa abbia ricevuto più attenzione e cosa invece meno (da parte di chi, perché, ecc).
Ci sono alcuni fenomeni che da tempo mi fanno riflettere, almeno in quell'ampio alveo critico che chiamerei "critica alternativa" e che mi pare rappresentare una continuità che si snoda fino ai giorni nostri almeno dall'era "post-punk" (ma con radici almeno nella precedente metà del decennio Settanta):
L'ossessione per alcuni artisti visti come mostri sacri e maître à penser manco fossero le uniche menti creative ad avere attraversato il Secondo Novecento musicale: Eno, Fripp, Reed e in maniera minore Cale, tutto sommato anche Byrne, Bowie... Tutti nomi con pochissimi gradi di separazione peraltro.
La reclusione di alcuni filoni a "generi per fan di settore" e al tempo stesso la promozione di contesti di ultranicchia a new sensation imperdibili per ogni appassionato che si rispetti.
Il post-post-punk che sembra non stancare mai i connoisseur del nuovo millennio.
Il post-rock che passa da non plus ultra della creatività a cliché privo di qualsivoglia interesse (questo per la critica alternativa) ma al tempo stesso diventa un fulcro di attenzione per la risorta community progressive.
Senza dubbio si possono poi riscontrare alcuni bias trasversali a più epoche e più scuole critiche: attenzione pressoché esclusiva per il mercato anglo-americano e i prodotti a esso destinati, predilezione per la musica "d'arte" rispetto a quella "di consumo" (con eccezioni, a volte anche un poco ridicole), disaffezione per i fenomeni visti come "code" di momenti creativi coi quali è andata nel tempo perdendosi la sintonia col canone critico.
E poi elementi specifici che hanno caratterizzato alcune prospettive, a volte dominanti nelle rispettive bolle fino al punto di apparire come presupposti obiettivi perché una visione possa risultare rispettabile. L'avversione verso il virtuosismo che ha accompagnato la critica indipendente e alternativa fin dalla sua nascita. Nello stesso ambito, la presa di distanze, mi sembra, da gran parte delle forme espressive che mettono al centro l'evocazione di immaginari e sensazioni, a meno che queste non rientrino in una ristretta gamma che privilegia il malessere se non la disperazione, e le tinte urbane se non il grigiore fatto e finito. Nel contesto della critica "woke" (che rappresenta direi un superamento "poptimist", e al tempo stesso una prosecuzione, dell'approccio alternativo), un malcelato gioco di Manuale Cencelli per autopromuovere la propria assenza di preclusioni verso questa o quell'altra categoria sociale. In modo più ampio, un gran parlare di "spirito rock", ma pochissimo interesse per il rock'n'roll precedente alla British Invasion.
Sono spunti disordinati, lo so. Hanno più a che fare con una mia insoddisfazione verso quello che la critica pop è ed è stata, che con la proposta di una visione coerente da opporre, anche solo in termini di "mondo che vorrei". Mi piacerebbe però che ci si confrontasse, e su questi temi e su altre osservazioni molto specifiche o molto generali, per provare ad abbozzare quello che in questo primo messaggio ho solo accennato, ovvero mettere nero su bianco i "glorificati" e i "rimossi" dagli sguardi critici che volenti o nolenti condizionano il nostro modo di informarci sulla musica.
p.s. Il titolo forse se la sente un po' troppo, ma l'alternativa era "Deliri, desideri e distorsioni" e tutto sommato Primo Levi > Lester Bangs.