Populista sì, ossia grandi proclami faciloni abbinati a una conoscenza superficiale dell'argomento. Se vuoi le motivazioni:
che i cure facciano un post punk più melodico e romantico per esempio dei joy division (non sono i primi con cui farei un paragone di sicuro) non mi pare un'opinione ma un dato di fatto, anche nelle prime fasi della carriera e figuriamoci dopo
Se Robert Smith fosse morto nel 1982, e da quanto si sa non era improbabile che succedesse, la sua discografia sarebbe stata: "Three Imaginary Boys", "Seventeen Seconds", "Faith" e "Pornography". Ora, dal 1983 la storia è andata diversamente, ma fino a lì come si fa a dire che sono softcore rispetto a chicchessia? Riascoltatevi "The Funeral Party", "Siamese Twins", "One Hundred Years" o "At Night".
Mi sa che ve li ricordate poco quei dischi per spacciarli come leggerli, anche solo rispetto ai Joy Division. Sono fra le robe più opprimenti mai tirate fuori dalle brume d'Albione. I Cure dal 1983 hanno diluito quel loro aspetto nella vostra memoria evidentemente o non si spiega come possiate avallare una simile assurdità, ed è forse la più piccola del tuo intervento. Veniamo al resto:
ricordo che il titolo del libro è "rip it up and start again. post punk 1978-1984", non "gothic rock 80s" o "synth-pop 80s"
Questa l'hai scritta per ribattere sul fatto che abbia liquidato OMD, Pet Shop Boys, Bauhaus, Sisters of Mercy, Cure e Cult.
Peccato che "Post-punk 1978-1984" non significhi "letteralmente solo ciò che viene rigorosamente indicato come post-punk ossia bassone spigoloso, chitarre effettate, ecc. 1978-1984", ma si riferisca all'intero movimento culturale nei dintorni di post-punk e new wave, tant'è che il libro stesso ti smentisce, più e più volte.
Basta prendere la cronologia. Il primo evento post-punk indicato da Reynolds è: 1974 aprile. "Meet the Residents", primo album dei Residents. Che sono tutto tranne che una band tipica delle sonorità post-punk. Basso e chitarre tipici del post-punk praticamente zero e anche il cantato direi che c'entra pochino. Bada, non sto dicendo non andassero indicati, ma che la loro presenza dimostra l'aver inteso il termine nel senso culturalmente più ampio e inclusivo del termine.
E questo lo conferma il sommario, nel quale troviamo capitoli dedicati sia a icone solitamente associate alle sonorità post-punk stricto sensu, sia a icone che invece viaggiavano su altre coordinate: Cabaret Voltaire (industrial), Human League (synth-pop), Throbbing Gristle (industrial), 2-Tone (ska), ben due capitoli sul new pop, ossia Scritti Politti, ABC (alla genesi di "Lexicon of Love" è dedicato uno spazio enorme, è forse il disco più sviscerato dal libro insieme a quelli di PIL e Joy Division), tutte le produzioni di Trevor Horn, i Simple Minds di "New Gold Dreams"...
insomma c'è una valanga di roba estranea al post-punk inteso come sonorità tipica del post-punk, e non potrebbe essere altrimenti, perché era tutto parte di un'unico movimento culturale (benché poi col tempo le ramificazioni si siano allontanate l'una dall'altra). Quanto finora sul perché hai scritto una cosa oggettivamente errata.
Dopodiché aggiungo una mia postilla personale, questa non ha pretese, è soltanto come la vedo io. Nessuno lo obbligava a parlare approfonditamente di artisti che non gli piacciono, anche perché già così è un libro enorme, ma avrebbe semplicemente potuto liquidarli in poche righe cercando di rimanere neutro, come da vigliacco ha fatto coi Cure: sapeva bene che stroncarli direttamente non avrebbe tirato acqua al suo mulino, così si è tenuto sul descrittivo distaccato, e si è scagliato invece contro quei gruppi che nessuno batte ciglio quando vengono maltrattati, ossia Bauhaus, Sisters of Mercy, Cult, OMD. Sempre fedele alla linea, non sia mai un guizzo di personalità. (Su quest'ultima cosa ci torno più avanti).
come dice wago non è di sicuro la bibbia definitiva del post punk mondiale ma non mi pare abbia mai voluto esserlo.
Questa parte non sono sicuro in difesa di cosa sia, ma se metti un'appendice sul resto del mondo e poi quest'appendice fa pena, dovresti almeno avere il buon gusto di specificare: ragà, il resto del mondo non lo conosco, ma qui in Inghilterra mi è giunta notizia di un tot di artisti che vorrei ugualmente segnalarvi, e nessuno gli avrebbe detto cotica. Invece l'appendice non è scritta proprio con questo tono, è scritta col tono: queste scene le conosco e ora vi dico come sono andate le cose.
Tant'è che sulla Francia scrive testualmente: "in Francia il post-punk non conobbe una particolare fioritura", dopodiché passa tutto il capitoletto dedicato alla Francia a parlare dei Metal Urbain. Ignorando totalmente che invece in Francia c'è stata una scuola importante che ha dato frutti sia a livello mainstream, sia a livello underground.
La Polonia per dire l'ha del tutto ignorata, meglio così, nessuno pretendeva la facesse, così come però nessuno pretendeva facesse la Francia per poi spacciarla come una carta straccia, palesemente solo per sua ignoranza...
(poi che reynolds abbia delle preferenze musicali vivaddio e direi per fortuna, non si deve essere necessariamente d'accordo con le opinioni musicali di chi scrive per apprezzare un libro)
Questo senz'altro, tuttavia non credere, e mi riallaccio sopra quando parlavo di personalità, che Reynolds abbia chissà quali opinioni originali. Risulta allineatissimo al canone della critica istituzionale: David Bowie bene, prog merda, Joy Division bene, gothic rock più teatrale merda, grunge bene, britpop merda, eccetera eccetera. Ogni singola cosa che scrive segue il canone, non ricordo di averlo mai visto avere un'opinione controcorrente.
Questo perdura a tutt'oggi: sostiene infatti che il meglio ora provenga dalle radio mainstream, esattamente nel trend poptimist che ha invaso la critica musicale a partire dagli anni 2010 e che è ben rappresentato dal Pitchfork post-Condé Nast.
Insomma che lui abbia delle opinioni sta bene, che queste opinioni le usi come clava, come ha fatto coi Bauhaus e con altri, con un livello di argomentazione pari allo zero assoluto, va già meno bene, ma che tu creda che i suoi gusti possano fornirti nuove prospettive di lettura, non temo accadrà perché sono esattamente i gusti che secondo la critica musicale "vanno avuti", nella perpetuazione di tutti gli stilemi che già conosciamo.
Dopodiché se mi chiedi: dunque è tutto da buttare? No. Le informazioni biografiche e sulla genesi dei dischi sono preziose, l'ho già scritto. L'analisi del contesto è salvabile ma solo quando la fa - perché quando non gli piaci del contesto non gliene può fregare di meno (e questa è una discriminante pure molto grave dal punto di vista divulgativo: stai decidendo a priori che informazioni far giungere a chi ti legge su base puramente ideologica). L'analisi musicale, infine, è piuttosto scadente, e in alcuni casi quasi del tutto assente.