Sentito e risentito, gran bell'album, in territorio pienamente prog direi il loro migliore fra quelli che ho ascoltato.
È buffo che il suo più evidente limite sia in fin dei conti anche il vero punto di forza che lo fa svettare sul resto della produzione: il sound praticamente lo-fi, coi bassi pressoché inesistenti e un'equalizzazione del tutto balenga, che dà una resa decisamente più ruvida rispetto alle cose in studio, che avevo sempre trovato un po' mollacchie. La chitarra e il Mellotron (sovrainciso) risultano altissimi nel mix, e così anche le sporadiche incursioni di uno strumento atipico, un pianoforte elettrificato Lawrence che non pensavo davvero figurasse nell'armamentario live di qualche band. Peraltro anche il Mellotron, giustamente segnalato nella pietra come protagonista del disco, compare in un modello particolare, perché i BJH erano tra i pochissimi a utilizzare l'M300, l'unico esistito a non presentare il suono d'archi "3 violins" preso a prestito dal Chamberlin, ma a proporne uno (anzi due) proprio. Solitamente poco apprezzato, ha una "voce" che è considerata più esile e squillante di quella classica. Sullo squillante mi ci ritrovo, "esile" non pare proprio esserlo ma suppongo sia perché è stato sovrapposto in studio con più registri diversi (dove il registro d'archi resta da solo, invece, un po' si nota).