IL GIUSTIZIERE DELLA NOTTE (1974) di m. winner

la storia è semplice: dopo lo stupro della figlia e l’omicidio della moglie durante un’aggressione domiciliare, l’architetto paul kersey si trasforma in un giustiziere in una new york piagata dal crimine. passato alla storia come il fasciofilm per eccellenza, in realtà nella sua ambiguità morale mostra una maggiore complessità ideologica rispetto ai sequel e agli imitatori succedutisi negli anni. il film è in bilico tra cinema “serio” ed exploitation, tra denuncia politica e sensazionalismo. winner riesce a tenere bene insieme le diverse componenti e soprattutto non fa mai venire meno una vena di dissacrante cinismo. paul kersey non è, come gli starnazzanti critici denunciavano nelle loro recensioni, un “eroe”. c’è qualcosa di malsano, di perverso ed ovviamente di provocatorio – che sono sicuro a winner piaceva molto – nel ritratto della “trasformazione” di kersey: l’omicidio come cura contro lo sconforto, il lutto, la depressione. kersey non vuole fare giustizia: vuole solo sentirsi meglio, vuole provare quella scarica di adrenalina che parte quando impugni un’arma e stai per fare fuoco, come una dipendenza. invece di uscire di notte per andare a bere o a puttane come fanno tutti, kersey si trova l’hobby dell’omicidio. il “death wish”, il desiderio di morte del titolo originale, è proprio quello di kersey, che non si mette neanche sulle tracce degli aggressori della sua famiglia che infatti resteranno impuniti. il film però centra anche il punto “politico” alla base: denuncia l’isolamento e la solitudine delle vittime dei crimini, l’impotenza delle forze dell’ordine, l’insicurezza generale derivante dal proliferare del crimine, i limiti e le imperfezioni delle leggi che sembrano penalizzare solo chi quelle leggi le rispetta. e poi parla dell’america: kersey in fondo applica con zelo eccessivo il secondo emendamento e non è un caso che riscopri il proprio spirito pionieristico di cacciatore in un viaggio di lavoro in arizona dove torna ad impugnare un’arma dopo anni, gesto benedetto dalla frase “questo è un paese in cui si spara!” detta da un costruttore del luogo con la fascinazione per le armi e il disprezzo per i liberal di new york. come anche il finale testimonia, con quel mezzo sorriso di bronson verso la camera, pur essendo un film crudo e violento, ha un’anima irriverente e dissacrante da non sottovalutare
IL GIUSTIZIERE DELLA NOTTE 2 (1982) di m. winner

il sequel è pura exploitation. la produzione passa da de laurentiis alla cannon di golan/globus. l’ambientazione si sposta da new york a los angeles. winner, che non aveva più messo a segno una hit al box office proprio dai tempi del primo death wish, ritorna alla regia su insistenza di bronson, ma mostrando ancora un certo interesse nelle tematiche trattate. il “motore” violento della storia è uno stupro se possibile ancora più raccapricciante ad opera di una gang di criminali dipinti come dei perversi e sadici mostri da ghetto. come se non bastasse, dopo un ulteriore stupro, la figlia di kersey – che ricordiamolo è stata ridotta al mutismo dopo lo shock dell’aggressione nel primo film – nel tentativo di fuggire dai suoi aguzzini, salta da una finestra e finisce impalata nella ringhiera di un cancello. credo sia difficile trovare qualcosa di più cinico in circolazione. winner conferma la propria fama di maestro dello shock-cinema, mentre bronson trasforma il proprio personaggio in una sorta di vendicativo antieroe rispetto al vigilante del primo film: kersey infatti abbatte uno ad uno i membri della gang per vendicarsi, ma sembra non mostrare alcun interesse verso tutte le altre varie specie di criminali che incontra sulla propria strada. rispetto al primo film, death wish 2 è un action strutturalmente più convenzionale, ma resta comunque il migliore della serie dopo il prototipo
IL GIUSTIZIERE DELLA NOTTE 3 (1985) di m. winner

il 3° film è un puro prodotto alimentare per chi vi ha partecipato: winner gira con la mano sinistra e bendato; bronson non finge neppure di essere totalmente disinteressato e apatico; la produzione raschia il fondo del barile tentando di ricostruire un quartiere di new york in inghilterra, per contenere i costi, con risultati demenziali e surreali (tralasciando il fatto che si tratta di un quartiere dove ogni 3 secondi c’è uno scippo, ogni 2 un’aggressione e i criminali sembrano usciti da una puntata di ken il guerriero); la sceneggiatura non è pervenuta; il montaggio è imbarazzante, a livelli amatoriali. eppure anche questo episodio ha avuto successo e c’è chi lo ha pure rivalutato nell’ottica di divertimento trash. no, mi dispiace: insalvabile
IL GIUSTIZIERE DELLA NOTTE 4 (1987) di j. lee thompson

death wish 4 torna ad essere perlomeno un prodotto dignitoso ed accettabile dal punto di vista tecnico, con la regia che passa nelle mani del veterano thompson. torna anche un minimo di realismo e di aggancio all’attualità, con kersey che si ritrova a los angeles in lotta con la mafia del narcotraffico. certo ormai kersey è un personaggio a metà strada tra rambo e james bond, ma una storia più elaborata del solito, un pizzico di ironia assente in precedenza, rendono la pellicola un divertente b-movie. bronson è l’unico attore che a 66 anni riesce ad essere ancora credibile in un ruolo del genere. tuttavia il film non riuscì a mantenere le aspettative al botteghino, in un periodo in cui la cannon non navigava in buone acque a causa di alcuni flop (avrebbe dichiarato bancarotta due anni dopo)
IL GIUSTIZIERE DELLA NOTTE 5 (1994) di a. goldstein

death wish 5 esiste essenzialmente come disperato tentativo di far incassare qualche soldo alla nuova casa di produzione di menahem golan dopo la bancarotta della cannon. per bronson il 4° film doveva essere l’ultimo della serie ed obiettivamente sarebbe stata una chiusura più che dignitosa, con un bellissimo finale. la saga di death wish però continuava a tirare parecchio nel mercato home-video, così golan riuscì a convincere bronson a rientrare in pista alla bellezza di 73 anni offrendogli uno stipendio che da solo si “mangiava” il 90% del budget del film che si aggirava sui 5 milioni di dollari. il film è girato in canada, perlopiù in interni e ha in tutto e per tutto lo stile di un tv movie. si capisce che ormai i tempi sono cambiati (anzi: finiti) anche dal fatto che è l’episodio meno violento della serie. un fallimento al botteghino e presso la critica (ma questo non stupisce più di tanto). dispiace pensare che è l’ultimo film al cinema di bronson