http://www.ondarock....everreturns.htm
Nessuno la apre, lo faccio io. Bella pietra del Palozzo nazionale su un album controverso e forse non così famoso. Scelta coraggiosa e insolita, se si considera che:
1 - non riesco a pensare a un genere più fuori moda del math-rock
2 - i dischi più celebrati dei Don Caballero sono alternativamente la raccolta dei primi singoli (per i duri e puri ancora però troppo legati all'hard-core) o il secondo, tipicamente il favorito.
Che poi "2" a ben guardare è pure il mio favorito ma sposo la linea Palozzo perchè in effetti "What Burns Never Returns", che comprai ancora imberbe e digiuno di altra discografia della band (della quale avevo solo letto qualcosa) fu un piccolo ma intrigantissimo trauma. Lo ascoltai molto, al netto del fatto che non capivo quella masochistica fusione di potenza di fuoco assurda ma abortita sul nascere, e repentini sgretolamenti di minuzie chitarristiche laddove una band più convenzionale avrebbe scatenato l'inferno (sempre con quella potenza a disposizione). Ancora non conoscevo gli Storm&Stress, che avrebbero fornito parecchi indizi sulla strampalata transizione in corso dei Don Caballero. Non era nemmeno scontato che pubblicassero una roba del genere, uno dei dischi più transitori di tutti i tempi, sputato fuori quando il math-rock era al culmine e i DonCab erano la bandiera (anche perchè gli Aburadako rimanevano confinati in Giappone e avevano sempre troppo punk nelle vene) e che però non si capiva se fosse talmente oltre nella follia algebrica da essere incomprensibile per i seguaci del filone oppure se, come pareva a me, tutta questa matematica poi non ci fosse, o comunque ne uscisse sbrindellata dalle strampalate idee chitarristiche e compositive di Ian Williams, che in quella fase si era imposto come mente-guida dell'ensemble.
In origine (questo Michele non lo dice) pare che il primo chitarrista Mike Banfield fosse il leader, e significativamente verrà estromesso dal gruppo dopo questo disco. Facile invece capire come mai il vero leader del gruppo fosse (prima e dopo questo album) il portentoso e fin troppo impattante batterista Damon Che, che in questa fase però subisce l'influenza del'ultimo arrivato Williams al punto di produrre un album inclassificabile e stilisticamente "drammatico" come questo, per poi proseguire sulla medesima strada nel disco successivo, arrivando a dichiararla apertamente con la sostituzione del bassista originario Pat Morris con Topolsky degli Storm&Stress. A quel punto l'inevitabile (?) rottura tra Damon e Williams, il sublime commiato degli Storm&Stress, la laboriosa nascita dei Battles e l'altrettanto lento riassemblamento dei Don Caballero con Damon, che però ormai è fuori tempo massimo.
I dischi di questa gente dal '98 al 2000 sono la chirurgica e impietosa cronaca di una rottura, umana, stilistica e musicale. Un trionfo di creatività che va in brandelli.