c'è stato molto clamore dietro a birdman di alejandro g. iñárritu, sicuramente uno dei film più acclamati del 2014 da parte della critica. la mia opinione ovviamente conta meno di zero in confronto a quella di empire, del boston globe, del washington post, del new york times, di variety, dell'hollywood reporter, del telegraph, ma siamo nel 2015 e nel bene e nel male ogni stronzo qualunque può dire la sua su internet sentendosi dio, quindi iñárritu - che a vedere il suo film un po' dio della cinepresa si sente - un minimo mi comprenderà (e perdonerà) se mai finirà a leggere questa pagina
birdman, ovvero un vacuo e sterile esercizio di stile di 2 ore. mi sono subito tolto il dente perché la messinscena è sicuramente uno degli aspetti più apprezzati. iñárritu ha infatti deciso di girare il film come fosse un unico lungo pianosequenza. ovviamente il risultato è la somma di più pianosequenza uniti al montaggio con sapienza per dare l'idea di un continuum ininterrotto. il riferimento più diretto è nodo alla gola di hitchcock, anche perché come il film di hitch pure birdman è quasi tutto girato in interni, come fosse uno spettacolo nello spettacolo. ma per l'esuberanza della cinepresa - che segue gli attori, che si muove su e giù, fluttua nell'aria come un occhio sospeso - viene in mente in particolare brian de palma, e pure un altro regista messicano, tra l'altro amico di iñárritu, alfonso cuaron, che aveva tentato di fare una cosa analoga con i figli degli uomini. insomma tutti ad eccitarsi per il brio visivo, ma in fondo iñárritu non ha fatto assolutamente nulla di veramente innovativo
anzi, come spesso succede in questi casi, dopo mezz'ora di giravolte, di steadi-cam, di movimenti spericolati, il giochino diventa abbastanza stucchevole. tutto perché non adeguatamente supportato da una consistente materia filmica. e qui arrivo all'altro aspetto apprezzato, quello dei contenuti. si è detto e scritto che birdman parla della crisi di idee del cinema hollywoodiano di oggi, del mestiere dell'attore, della fama e del successo, della dicotomia arte vs prodotto. anche qui nulla di nuovo che viene giusto aggiornato al 21° secolo citando le implicazioni di internet e dei social (twitter, facebook, youtube), e portando come metafora dell'industria cinematografica la moda del momento ovvero i cine-comics. ecco sulla carta questo metafilm avrebbe potuto davvero essere l'instant-movie del nostro tempo, capace di fare la radiografia ad un momento cinematografico ben preciso, catturare lo spirito del tempo. invece disperde tutte le buone intenzioni in un calderone informe di temi e tematiche che fanno completamente girare a vuoto il film. da questo punto di vista 2 ore di dialoghi a raffica su tutto e niente (le migliori battute sono quasi tutte all'inizio), un gigionismo insopportabile degli attori, un grottesco spinto che porta all'esasperazione quasi tutte le sequenze per mantenere e supportare il ritmo indiavolato della messinscena
quel che è un vero peccato è che la traccia metacinematografica rimanga quasi sempre sullo sfondo, preferendo invece molto spesso abbozzare una caratterizzazione abbastanza stereotipata dei personaggi. e così seguiamo riggan thompson (michael keaton) muoversi avanti e indietro per il teatro di posa, tra palco e camerino, mentre deve gestire una relazione con una collega che gli dice di essere incinta (ma poi smentisce), occuparsi di una figlia (emma stone) appena uscita dal rehab, che ci fa poi così sapere che si è sempre comportato come un padre di merda ed è per questo che ha divorziato da una moglie che però gli è ancora affezionata e viene a trovarlo in camerino... mentre un attore dall'ego smisurato (edward norton) gli continua a sabotare lo spettacolo con le sue impertinenze, e si scopre poi essere un dio sul palco mentre è una frana nella vita reale (la fine metafora: sul palco riesce ad avere una enorme erezione mentre nella vita di tutti i giorni è impotente)
ora michael keaton molto probabilmente vincerà pure l'oscar: il suo infatti è il tipico "ruolo della vita" ma in tutti i sensi. questa prova mi ha ricordato quella di mickey rourke in the wrestler, uno di quei casi in cui non si capisce bene dove inizi il personaggio e dove finisca la persona, in un cortocircuito metacinematografico che sicuramente impressiona. riggan thompson che nei primi anni 90 ha intepretato il supereroe birdman e poi è abbastanza caduto nell'oblio dopo aver rifiutato un quarto capitolo del franchise, ricorda decisamente keaton e il suo batman. ed è interessante vedere come i critici che lo intervistano non riescano a capire come mai in un'epoca in cui tutti gli attori più blasonati interpretano un supereroe, lui che è stato il primo, l'apripista, si rifiuti e cerchi una affermazione da "vero attore" portando a teatro raymond carver - "un libro di 60 anni fa che non interessa a nessuno" gli dice la figlia. e i momenti migliori del film sono proprio quelli in cui c'è keaton da solo davanti alla cinepresa, tormentato dalla voce interiore di birdman (sempre keaton che sembra rifare la voce di batman) che come un diavolo tentatore cerca di convincerlo a rimettersi il costume, ad abbandonare ogni velleità. diamo al pubblico quello che vuole, azione brainless invece di questa merda di dialoghi filosofici. e iñárritu in questi frangenti si sbizzarrisce mettendo in scena in tempo reale lo spazio mentale del protagonista, e quindi lo vediamo utilizzare dei superpoteri, volare, oppure assistiamo all'attacco di un mostro alato in piena new york. c'è anche spazio quindi per squarci di fantastico anche se sempre in una ottica di riflessione sul cinema fantastico e spettacolare
a mio avviso il regista avrebbe dovuto spingere maggiormente in questo senso, ma il film è invece alla fine un grosso caos che dice molto e non dice nulla. troppa energia, troppo tutto, troppa voglia di fare e di stupire. però stando all'accoglienza che ha ricevuto, iñárritu è riuscito nel suo intento. io invece sono sempre più convinto che da quando abbia perso la penna di guillermo arriaga, iñárritu proceda come per tentativi nella speranza di trovare un nuovo corso da dare alla sua filmografia. ora ha tentato la carta della commedia "meta" sopra le righe. secondo me non è il suo genere e si vede