A me pare che non sia tanto "regime al potere", quindi quasi una richiesta di semplice cambiamento politico ma un vero attacco alla legittimità di Israele-regime, cioè di Israele di per sè regime occupante illegittimo in Palestina.
parliamo di un "regime" che non ha mai rispettato i confini che gli erano stati assegnati, quindi è abbastanza comprensibile che venga percepito come occupante illegittimo; allo stesso tempo però ci sono stati più volte segnali di una disponibiltà , da parte araba, a riconoscere lo stato di israele qualora questo si ritirasse dai territori occupati (e di conseguenza, particolare fondamentale, smettesse di tormentare gli arabi della palestina).
A me pare che se da parte di alcuni esponenti di Hamas (settimana scorsa ad esempio nelle dichiarazioni che avevo citato io nel thread sul M. O.) la disponibilità a un "riconoscimento", certo indiretto e "minimo", ci sarebbe secondo le modalità classiche del piano saudita (confini del '67 in cambio di riconoscimento di Israele da parte dei vicini) e se questa disponibilità in linea di massima è arrivata anche dalla Siria (ad esempio nell'intervista di Assad al Corriere di due giorni fa, ma qui subentrano le questioni del Golan e il discorso diventa più complesso) e persino da Israele seppur anticipata dal riconoscimento, tale disponibilità non ci sia mai stata da parte di Ahmadinejad o del leader di Hamas Haniyeh. Quando parlano di Israele-regime-occupante ne parlano per Israele in sè, non solo per i territori occupati. Questa almeno è la mia sensazione.
A proposito del "confine".
Leggendo l'intervista ad Olmert e quella sopra citata del numero 2 di Hamas. La sensazione è quella del tragico circolo vizioso. Olmert non si fida di Hamas e dice che la proposta del riconoscimento reciproco+"pace"+ristabilimento dei confini del '67 (quindi ritiro anche dai territori) non regge con di fronte qualcuno (Hamas) che nemmeno riconosce Israele. Hamas dice che le è impossibile riconoscere Israele fin tanto che sussiste l'occupazione. Da questo circolo vizioso di sospetti e richieste reciproche del "primo passo" è davvero dura uscire.
Per quanto riguarda la "strumentalizzazione". Forse mi sbaglierò ma non riesco a vedere un "uso" dell'Olocausto di questo genere. Continuo a vedere invece che la ferita storica e "mentale" dell'Olocausto (insieme a tutto quello che sono state le guerre arabo-israeliane) rimane oltre che come un ricordo indelebile come un "pericolo di ritorno". E certo questo fondo di timore porta all'ossessione del confine con tutte le tragedie possibili connesse come si diceva sopra.
questo approccio "emotivo", seppur comprensibilissimo da un punto di vista umano, mi pare però notevolmente strumentalizzabile, almeno indirettamente, dal momento che ci porta a sminuire (o ignorare quasi completamente) i crimini commessi da israele e le sofferenze patite dai palestinesi.
Il discorso è anche che fino a che durerà questo approccio "emotivo" (non so quanto superabile) difficilmente la situazione potrà trovare un minimo varco di soluzione.