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Antiviral (Cronenberg Brandon, 2012)


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2 replies to this topic

#1 100000

    Enciclopedista

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Posted 27 November 2013 - 10:09 AM

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Visto ieri sera, ha vinto il Toronto Festival come miglior opera prima, e vorrei anche vedere.
Aggiorna le paranoie del padre portando avanti il cinema della nuova carne, attraverso una rappresentazione più algida e geometrica, più pulita forse. Mi sembra incredibile come il figlio prosegua le orme del padre e come questa sia un'opera prima (chiaramente con un bel budget, perché dopotutto il figlio di Cronenberg non è un signor nessuno, ma usato bene a mio avviso). A me è piaciuto tantissimo, anche nell'abbondante uso del bianco, asettico e crudele.
Principale nota negativa se vogliamo l'incompiutezza della critica sociale, evidente all'inizio, poi persa un po' per strada. Ah, e forse dura quel quarto d'ora di troppo. Comunque rimane un gran film e ora ho un nuovo regista da seguire.
Davvero qui non l'ha visto nessuno? Io personalmente lo consiglio a tutti gli amanti del padre, ma non solo.
p.s.: Brandon dal padre eredita anche gli attori (vedi Sarah Gadon sul poster)
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#2 Dudley

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Posted 27 November 2013 - 10:31 AM

Lo vidi e ne parlai qualche mese fa qui sul forum, il film piacque pure a me!

"Antiviral" (2012) di B. Cronenberg: non male questo primo film del figlio di David ... una storia di virus che vengono venduti a chi vuole entrare nella pelle delle stars, il protagonista lavora in un'agenzia specializzata in questo commercio, e si inietta virus nel proproprio corpo per venderli poi al mercato nero. Vi sarà poi una virata verso il thriller, quando lui andrà inconsapevolmente ad iniettarsi un virus mortale ... Film girato in ambienti quasi surreali, con una forte predominanza del (non)colore bianco, sporcato a volte dal rosso del sangue ... Una rilettura piuttosto moderna ed originale dei temi cari al padre, il ragazzo promette bene.
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#3 100000

    Enciclopedista

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Posted 27 November 2013 - 11:32 AM

Per il mio blog ho provato a riordinare le mie idee in una specie di rece (ci ho preso gusto). Per non spammare, copio-incollo:

Antiviral è il primo film di Brandon Cronenberg, figlio d’arte, ma è solo l’ultimo film della nuova carne, filone horror sci-fi inaugurato dal padre ormai quasi quarant’anni fa (da Il demone sotto la pelle a eXistenZ il cinema di David Cronenberg ruota attorno a questa definizione). La nuova carne intesa come adattamento e mutazione del corpo e della mente dell’essere umano, esperimento e campo di battaglia evolutivo all’interno della società odierna o (più spesso) di società futuribili e molto vicine a quella attuale.
Esattamente in questi termini si presenta Antiviral, ambientato in un mondo dove per essere più vicini e in simbiosi con le star gli innumerevoli fan si fanno iniettare i virus dei vip, opportunamente prelevati e conservati. Le cellule di queste star vengono conservate anche per riprodurne i corpi e la carne, mangiata e assimilata da orde di ammiratori, simbolo di una nuova comunione. Il tutto presentato all’interno di un bianco asettico che avvolge ogni cosa, attraverso inquadrature algide e geometriche. La feroce analisi (critica) sociale lascia spazio al thriller, seguendo le disavventure di uno di questi venditori che finisce per iniettarsi un virus mortale, prelevato dalla star di turno (Sarah Gadon, Brandon eredita anche gli attori, non solo le paranoie dal padre). Il film va così ad avvitarsi in un thriller che perde progressivamente la tinta ospedaliera di quel bianco onnipresente, macchiato ora dal sangue e da un’oscurità dilagante. Lo stesso bianco agghiacciante torna verso il finale e preannuncia la conclusione che chiude il cerchio attorno alla nuova carne e alla sua adorazione. Il tutto passa attraverso una scena già cult dove viene preconizzato il finale, ma soprattutto attraverso la quale si cita esplicitamente il lavoro del padre, in una celebrazione non troppo forzata all’interno del film, ma evidente.
Brandon Cronenberg aggiorna quindi le paranoie del genitore portando avanti il cinema della nuova carne, attraverso una rappresentazione più pulita e geometrica rispetto al padre (soprattutto degli esordi). I mezzi tecnici a disposizione sono diversi, il budget evidentemente non è affatto limitato nonostante sia un’opera prima (ma d’altronde il figlio di David Cronenberg non è proprio mister nessuno). Proprio come miglior opera prima viene premiato al Toronto Film Festival l’anno scorso, presentato anche a Cannes l’anno scorso e a Sitges un mese fa.
Le principali critiche che si possono muovere al film sono l’incompiutezza della critica sociale che si perde un po’ per strada, la lunghezza leggermente eccessiva (108′, ma forse ne bastavano meno) e un po’ di autocelebrazione, o meglio celebrazione dell’opera paterna. Resta il fatto che per me è un film bellissimo, proprio per la geometria della regia, per l’uso minaccioso del bianco, per i temi del padre portati avanti, per la messa in scena tutta.
Consigliato a tutti gli amanti di David Cronenberg e non solo.
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