Inviato 03 febbraio 2013 - 11:43
Un regista non deve avere "qualcosa da dire", un regista deve avere qualcosa da mostrare. E con gli ultimi due film Tarantino ha voluto mostrare qualcosa che nessuno o comunque pochi avevano osato mostrare: i deboli, gli oppressi, gli inermi che prendono le armi. In questo senso il cinema di Tarantino è veramente osceno o scandaloso, e in ciò mi ricorda von Trier (lì sono le creature angeliche a incazzarsi).
Però capisco chi parla di ambiguità di questo intento. Da un lato infatti è chiaro che Tarantino vuole giocare a riscrivere la storia riscrivendo nel contempo la storia del cinema, e su questo nesso storia-cinema gioca anche tutta la sua critica, che è certamente degna di ulteriori riflessioni: il gioco e la critica vanno sempre bene. Dall'altro lato però, e qui il discorso è meno chiaro ma più interessante, Tarantino riscrive la storia degli oppressi e del cinema in modo da gratificare lo spettatore, e nel far ciò fa uso di tutta una serie di luoghi comuni (Django è pieno di clichés), il più importante dei quali è proprio la domanda di partenza: come mai gli ebrei e gli schiavi non si sono ribellati? La mia impressione è che in realtà l'unico risultato che otteniamo se poniamo il problema in questo modo (e Tarantino sembra farlo) è di capire poco di cosa significa essere ebrei ed essere schiavi, è di appiattire questo polo d'esperienza al nostro. In questo il cinema di Tarantino è ottuso, unidimensionale (nel senso di Marcuse), in questo non è osceno ma conformista, poiché riduce il mistero di queste due realtà storiche alla dimensione "normale" dello schema offesa-reazione, e ciò in ultima analisi solo per gratificare lo spettatore (in von Trier il discorso è diverso perché lo schema non è quello umano offesa-reazione ma quello divino dono-punizione).
« Ohne Musik wäre das Leben ein Irrtum » (F. Nietzsche, Götzen-Dämmerung, 1888, cap. I, af. 33).