Nessun sostenitore dell'album De Gregori del 78?
Lo ricordano tutti per Generale ma ci sono capolavori molto sottostimati come questa:
e soprattutto questa, une delle mie preferite in senso assoluto
Io stravedo per quel disco, è il mio preferito dopo "Bufalo Bill". Splendido dall'inizio alla fine, adoro anche i brani meno noti, tipo "L'impiccato", "La campana" o la doppia "Renoir". E' un album che oscilla costantemente tra la dolcezza ("cui tutti abbiamo diritto") di ballate che sciolgono il cuore, come "Raggio di sole", "Due zingari" etc. e la cupezza livida di quegli anni, che De Gregori riesce a raccontare sempre volando alto, con ironia e disincanto, penso ai versi di "L'impiccato", che per me è proprio uno dei suoi testi più belli:
Uno l'hanno preso ieri sera, giovane giovane,
è figlio di buona donna.
Figlio di buona donna, pure ladro,
con un sorriso tutto denti di cane,
si nascondeva dietro una serie di "Che ne so?".
Poi ne hanno preso un altro padre di famiglia,
faccia scura scura, vestito grigio,
camicia e cravatta,
sguardo perduto all'arrivo in questura.
Il terzo, accusato d'oltraggio,
non fece in tempo a aprire la bocca
che, un pugno lo mise a sedere.
Allora chiese una sigaretta e confessò in fretta
tutto quello che il commissario voleva sapere.
Il quarto si chiamava Tommaso
e pregava e piangeva, chiese di telefonare all'avvocato,
ma l'avvocato non rispondeva.
Il quinto venne assunto in galera
per un indizio da niente, venne assunto in galera.
Il quinto venne assunto in galera per un indizio da poco
e fu crocefisso col ferro e col fuoco.
Forse per un errore o forse perché era stato scoperto,
forse per un'implicita confessione
oppure soltanto lo sconforto
e tutti si domandarono di che segno era il morto
Allego anche la mini-recensione che ho fatto sul mio libro:
Sfortunatamente, non tutti si accontentano dell’arte. Per alcuni, è solo una questione di coerenza proletaria. E De Gregori finisce alla sbarra. Il “processo” del Palalido lascia una ferita profonda. Ma, passati due anni e una pioggia sottile di pensieri cattivi, è tempo di tornare in scena. Magari di corsa, inseguendo un pallone, come da copertina. L’importante è che l’ispirazione sia rimasta. L’importante è continuare a scrivere canzoni come Generale, finendo (per caso) addirittura nell’hit parade. Un inno pacifista, oltre ogni intenzione, oltre ogni tempo (vero Vasco?). Il ritorno alla normalità attraverso la straordinarietà di una canzone che dice tutto. Anche senza ritornello.
Ma l’album è anche (molto) altro. È il sogno metropolitano dei Due zingari, cullato dal magico sax di Schiano, la dolcezza cui tutti abbiamo diritto, figurarsi chi è appena nato (Raggio di sole), la nostalgia bambina del ‘56, quando si potevano ancora ritagliare carri armati di cartone. Ma anche un retrogusto acre di disillusione post-sessantottina (La campana, strascico amaro del Palalido), di angoscia per gli anni di piombo e per l’avvento di uno stato di polizia (il mini-calvario dell’Impiccato). Un’altra magnifica cartografia di sogni e fantasie, dove gli aerei stanno al cielo come le navi al mare (Renoir). Terza prodezza di fila e, idealmente, secondo gradino del nostro podio, dopo "Bufalo Bill" e prima di "Rimmel".