Seven è un album che nasconde mille segreti. Al netto di un lavoro produttivo che ha pochi eguali per ricerca di suono, trame strumentali, un wall of sound che non ha effettivi parenti in quell'epoca, tematicamente è un concept sull'isteria, sulla perdita del controllo, quasi un trattato sul bipolarismo. Sono cose che non sono mai state analizzate, anche perché la penna di Le Bon è sempre stata strana, onirica, ricca di riferimenti letterari (in Inghilterra è conosciuto come uno dei massimi esperti shakespeariani, non è uno scherzo... ma la sua classica immagine è quella del futile trombatore di vergini). Un disco che parla di stregoneria, di massoneria, un disco drogato sul serio (Rhodes ebbe un mezzo infarto e dal giorno non tocco più nulla, gli altri accelerarono come folli), con le pagine del Bhagavadgītā usate come traino ispiratore. Uno degli apici del decadentismo più spinto. Nettamente superiore anche perché più personale rispetto al debutto.
So Red The Rose ne rappresenta l'evoluzione "avaloniana": stesso produttore, stessi protagonisti massimi (Le Bon e Rhodes). E occhio anche al progetto che sottende Notorious, che nella monografia scambio per cugino di Let's Dance, ma non c'entra nulla, perché si tratta di un'opera molto gotica, nelle pose, nelle musiche e nei testi.
L'equivoco fu considerare tutto l'apparato scenico come un ignobile artificio per conquistare i dollari (come se invece tutti gli altri volessero rimanere poveri), in realtà era tutto connesso, immagine, suono, teatro, ricerca, sogni, aspirazioni sulla scia dei neo-romantici, ma non i tipi del Blitz, proprio Novalis e Lord Byron (che si abbigliava come Indiana Jones e si era fatto costruire una giungla vera in casa!).
Ho scritto un mare di fesserie, me ne dolgo, mi scuso, devo rimediare, da un paio d'anni, da quando qualcuno ebbe la bontà di spiegarmi le cose.