Commento con spoiler un po' ovunque, per chi deve ancora vedere il film non leggete (non fatemi mettere quella roba a scomparsa che la odio).
soffermandoci sul finale, von Trier dice che l'inferno gli sta bene perché cielo e inferno sono per lui la stessa cosa (uno non esiste senza l'altro). vive in un'illusione di grandezza ma non è mica Dante, non aspira "a riveder le stelle"; il suo percorso di esplorazione collusa col male non può che condannarlo: fotografa la realtà in negativo e per trovare la luce deve essere inghiottito dal buio (vedi ultima immagine).
Ecco, questo è un punto fondamentale, ma sarebbe riduttivo secondo me pensare che il film e Jack in particolare siano unicamente una trasposizione in forma di diario personale della psiche e della personalità di Von Trier, perché la sua volontà e la sua ambizione vanno oltre e abbracciano l'esigenza di rappresentare la storia dell'uomo e immortalarla nel punto a cui è arrivata ai nostri tempi.
In particolare c'è dentro una certa passione morbosa per la psicanalisi del serial killer e per ciò che ha costituito la storia della psicanalisi per l'evoluzione umana in termini di autocoscienza e coscienza del male. In questo senso, quel ponte crollato all'interno dell'inferno - come un circuito tagliato per sempre all'interno del cervello - è quello dal quale Dante sarebbe potuto tornare indietro qualche tempo fa (Virgilio ricorda che una volta era in piedi e si poteva tornare su), ma Von Trier e più in generale l'uomo nel suo attuale stadio di evoluzione intellettuale non può più percorrerlo, ed il tentativo di recuperare questa capacità del passato infatti fallisce, portando Jack nell'infinitamente negativo, un buco nero magmatico che rappresenta la depressione senza fine. Se l'arte occidentale ai tempi di Dante poteva ancora essere nella società protagonista ed avere un ruolo forte, Von Trier non crede più in questo potere civile, e negatagli un'importanza che non sia puramente personale (uno sfogo, la ricerca di un proprio masturbatorio piacere) l'artista non diventa per la società altro che un malato.
Lo stesso Virgilio assume in varie parti del film il tono di un moderno psicologo, esempio a circa 11' 50'' "Ingegnere o architetto, quello che vedo è un paziente ossessivo compulsivo in piena fioritura", si tratta quindi di una voce non solo interna ma anche esterna a Jack, che vuole comprenderlo, cercare di portarlo al di fuori della patologia, fino alla rinuncia finale, quando Ganz mostra anche un certo compiacimento nei confronti della mirabile costruzione di Jack, e compreso il punto di non ritorno del protagonista lo prende e lo porta all'inferno. Alla fine Jack non è riuscito a costruire una casa vera, la passione per i suoi omicidi ha preso definitivamente il sopravvento e si è mangiata il sogno civile di diventare architetto.
La ricerca artistica è vista sotto una chiave profondamente negativa di ossessione-compulsione e vana ricerca di qualcosa di superiore che non esiste. A questa viene contrapposta quell'azione così rigorosa, collettiva e rappresentata con una grazia atavica della falciatura dell'erba, che viene elevata da Jack a simbolo dei Campi Elisi, forse la scena del film in cui il protagonista mostra la più vera commozione. Il lavoro, il lavoro collettivo, il prevedibile e ritmico rigore del lavoro, la nemesi dell'arte occidentale che invece è imperfetta, terribilmente individuale e sganciata da una qualsiasi etica lavorativa, in quanto imprevedibile, nemica della dedizione e schiava del piacere estetico.
Von Trier nutre un odio profondo per il suo destino di grande artista, ma è davvero un gigante, tra l'altro ha scritto interamente la sceneggiatura del film che è qualcosa di sublime.