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Coloma: "Finery" (Ware, 2003)


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Inviato 21 settembre 2006 - 19:14

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Rob Taylor e Alex Paulick provengono da Colonia. una città che di elettronica se ne intende, oh sì, eccome se c'è dentro.
il duo in questione è originario degli uk ma risiede in germania praticamente da sempre.
amanti delle pop-songs (sono pur sempre inglesi, no?), uniscono un grande gusto per la melodia canzonettara ad un preciso lavoro di sound-design.
qua dentro ci sta del synth-pop ibridato con campionamenti classici, c'è una gran voglia di sperimentare, c'è un uso discreto del glitch.
la voce di rob è bellissima e molto melodiosa, quasi in contrasto con i beat sincopati e storti, così sinuosa, capace di inserirsi in un contesto che non sarebbe nemmeno suo.
autori di un debutto carino (Silverware) ma niente di più, si fanno veramente notare nel 2002, quando al Sonar Festival, tirano fuori una performance da incorniciare. proprio in questo periodo arriva Finery.
The Second Closer Still mette insieme rigoli elettronici con un beat microscopico, cesellato con un'attenzione incredibile, ogni singolo suono sta al posto giusto. come anticipato in precedenza, il cantato è profondo e delizioso, un misto fra un vocalist techno e un cantante brit-pop. I piccoli tocchi di cassa impregnano l'atmosfera di un ritmo nero ed oscuro.
You Are Here è un tripudio di basslines assassine, campionamenti di chitarra, tastiere molto ambient, un groove irresistibilmente minimal. le loro canzoni sembrano prototipi cesellati in laboratorio, con microscopio, computer e analisi attentissime. nonostante le composizioni siano molto ricche, non c'è rischio di confusione, ogni elemento è dosato con il misurino. come si dice, il perfezionismo.
elemento caratterizzante, ancora, la voce. I frangenti del ritornello, in cui viene ripetuto il titolo della canzone, sono deliziosi.
Summer Clothes sa sedurre con classe, invischiata com'è fra partiture di piano, battiti sotterranei, archi angelici. Piccoli xilofoni riverberati donano quel tocco di sogno che rende il pezzo (quasi) perfetto.
Welcome To Arcadia scoppietta in sottofondo, il sottile strato di batteria è appena udibile, i vari componenti (chitarra, glitches, arpa) si ibridano con naturalità, senza intoppi.
If You Can't Be Good innesta la quarta, puntando verso un suono più percussivo e meno meditativo, si distingue per un andamento discontinuo, sempre supportato da elementi classici, un pò come i Telefon Tel Aviv dell'ultimo disco, con meno trattamenti digitali, posti semplicemente così come vengono suonati.
The Tailor accentua questa componente, accoppiando senza tante preacuzioni la componente elettronica con dei violini, con un risultato che definire riuscito è poco. con il proseguire del pezzo, si aggiunge un sostrato ritmico il cui marchio è spudoratamente minimal. forse potevo mettere deliziosamente invece di spudoratamente, bisogna vedere se siete dei nostalgici o meno.
Illegible Love si avvale dell'uso di un sax romanticissimo, oltre all'aiuto di Christoph Clöser, componente degli ottimi Bohren & Der Club Of Gore. forse il pezzo meno vario del disco, adagiato su un andamento un pochetto statico, anche se sempre positivo e mai scontato.
Green Eyes Of The Yellow God è il gioiello inconstrato del disco. Partenza composta da una partitura glitch bellissima e puntigliosa, i secondi vengono scanditi da un progessivo arricchirsi della struttura, fra sciabordate di basso, xilofoni, sdruciture elettroniche, il tutto impacchettato con il fiocco rosso, studiato nel minimo dettaglio. Un capolavoro di assemblaggio sonoro.
Gli ultimi due pezzi puntano su un tiro più dilungato e meno immediato, raddoppiando la durata, rispetto ai precedenti episodi. Le inutili lungaggini sono pericolosamente dietro l'angolo, ed invece ne viene fuori un qualcosa di meraviglioso.
Coat Of Senses pennella pregievoli panorami ambient, cantati con il cuore in mano, la finale If They Ask You To Stay, si impatana in un groviglio di battiti techno-idi attorniati da note di piano. la coppia finale perfetta, c'è poco da farci.
l'anno scorso se ne sono usciti con Dovetail, virando su sonorità più downtempo, con rimandi alla IDM, purtroppo senza grandi risultati. un disco insipidino, con qualche colpo geniale, ma pur sempre deludente. comunque sia, Finery, rimane un'opera tra le più curate nel panorama elettronico di questi anni, ingiustamente dimenticato da tutti.
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