La storia delle botte ha qualcosa di tragicomico.
Son passati quasi 20 anni, Scanzi all'epoca non era quasi nessuno. Collaborava con Mucchio Selvaggio, era stato scoperto da Max Stefani, e con lui era pappa e ciccia.
Scriveva sul Mucchio e già all'epoca palesava tutto il suo talento arrogante, tipico di uno che la sa giusta, che ha i gusti definitivi, quelli veri: De Andrè, Gaber, Radiohead e... Negrita.
E Andrea, che all'epoca aveva i capelli lunghi e si pavoneggiava nel farsi chiamare il Batistuta italiano, per la bellezza fisica, era proprio un esteta del pallone e aveva come vezzo il nomignolo "Rui", in onore di Rui Costa, fuoriserie del suo adorato Milan.
E quindi sul Mucchio blaterava di tutto, come adesso, con battute spumeggianti ("In uscita la videocassetta dei successi della Roma, dura 30 secondi").
E i Negrita? Andrea fu Rui era stato il fondatore del fan club del gruppo di Pau, uno dei primi sostenitori dell'irrinunciabile parabola simil Stones.
Poi, un giorno, a detta sua, scrisse non benissimo di un loro album e Pau lo ricompensò con qualche sganassone.
E fu pure fortunato l'altissimo singer che Andrea fosse ancora Rui, altrimenti si sarebbe trovato pure qualche facinoroso sotto casa, armato di forcone.
Scanzi è intelligente, forbito, si sforza di essere simpatico, ma proprio questo sforzo lo fotte. Ha ormai però un mare di lacchè e quindi può anche fregarsene di apparire veramente imbarazzante, come quando inscena danze volgarissime all'interno del suo soggiorno, per festeggiare l'esito di un referendum, dicui probabilmente aveva letto solo le prime due pagine.
Perché quello che veramente conta per Andrea Scanzi è avere un nemico su cui sparare. Un po' la riedizione del "Ce l'ho più lungo io"