http://www.ondarock...._falseidols.htmIl tramonto dell’Arcadia bristoliana ha lasciato, nella sua lunga onda, una serie di interrogativi aperti. La sacra trinità del trip-hop ha intrapreso strade distinte e non più compatibili. Così, se da una parte i Portisheadsi reinventano felicemente come formazione post-industriale e i Massive Attack tengono testa più che dignitosamente alle nuove leve del beat, dall’altra rimane l’eterno enigma Tricky, reo di una serie di progetti-sufficienza, rivelatori dell’incapacità del nostro di trovare una propria direzione veramente convincente nel post-post-trip-hop, con il risultato di ritrovarci, nel 2013, senza che il black-dandy abbia prodotto un solo disco veramente degno del suo nome negli ultimi quindici anni.
Quale può essere quindi l’antidoto al disorientamento generale e all’eventualità di un nuovo fallimento nel maneggiare il “nuovo”? Per Tricky la risposta, come già altre volte nella sua biografia, soffia in qualche vento del proprio passato remoto. Questa volta, però, non ci sono fantasmi da esorcizzare, nessun ricordo da rievocare con la tavoletta ouija. Piuttosto un comodo ripiegamento in quella formula dove si è sicuri di non fallire: il trip-hop.
Accantonati i tentativi black-fusion delle opere ultime che avevano generato alcuni risultati pregevoli (“Knowle West Boy”), Tricky riprende tutti i cliché più tipici di quel genere di cui può ancora considerarsi il capo incontrastato: sample (tra cui un decisamente poco creativo riciclo di Chet Baker), battiti rallentati, bassi in primo piano, voci in ipnosi. Il tutto distribuito in uno scenario sonoro mai così morbido e pulito.
I quindici, brevi, pezzi si susseguono senza sbavature, in punta di piedi, ricreando un moodnotturno e insolitamente raffinato, su cui Tricky sospira con un filo di voce, auto-compiaciuto della sua autorevolezza nel predisporre bedroom music per una qualche notte di passione.
Ancora una volta, quindi, il femminile, importantissimo nella vita di Tricky, dall’ambiente familiare, ai suoi travestimenti, alle innumerevoli liaison, a dominare nella sua musica. È Francesca Belmonte a provvedere alla maggior parte dei contributi vocali delle tracce, ottima interprete felina e melanconica, che impreziosisce i momenti più godibili dell’album (“Bonnie & Clyde”, “Nothing’s Changed”, “Does It”). “Is That Your Life” e “Chinese Interlude” sono i pochi ulteriori momenti in cui l’ascolto si vivacizza per un attimo, più per le coordinate leggermente spostate (funky e folktronica) che per il contenuto effettivo, e “False Idols” è già pronto per essere archiviato.
Salutato da più parti come un “ritorno alla forma primigenia”, “False Idols” appare nei fatti più una versione scura e lucidata di “Vulnerable” e, come tale, dimenticabile senza troppi scrupoli di coscienza. Eppure proprio non si riesce a voler male a quest’angelo dalla faccia sporca, la classe è ancora lì, il fascino pure. Non ci resta che l’ingenua fede che “False Idols” sia solo un’altra pausa interlocutoria dettata da un insaziabile ego.
L'autore della recensione non è mai stato a quanto pare un appassionato di Tricky, non solo per il voto che ha dato a questo disco ma per come ne parla (mi riferisco soprattutto alla conclusione della recensione).