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Films "polar" francesi


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137 replies to this topic

#51 bluetrain

    Fourth rule is: eat kosher salamis

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Inviato 09 ottobre 2009 - 13:52

Bello questo thread, però ne approfitto subito biecamente per chiedere a Corey: visto che hai delle notevoli conoscenze in materia, pensi che potresti farne uno speciale da pubblicare su OndaCinema? Non credo che entrerebbe in conflitto con la tua principale attività redazionale...


Io appoggio la mozione, anche perchè oltre a saperne un sacco, quel sacco lo racconta davvero bene.
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#52 corey

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Inviato 09 ottobre 2009 - 14:14

Grazie di cuore per l'apprezzamento, la cosa mi fa enormemente piacere.

Non escludo l'ipotesi Speciale, ma se ne parla comunque tra un po' perché fino a fine ottobre non ho il tempo per riordinare il tutto e a novembre vorrei smaltire i polar che ho accumulato nei mesi passati. Insomma, sono possibilista ma con la dovuta calma  :)
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i periti hanno dimostrato che non vi è alcuna certezza.

#53 Dudley

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Inviato 09 ottobre 2009 - 14:59


Bello questo thread, però ne approfitto subito biecamente per chiedere a Corey: visto che hai delle notevoli conoscenze in materia, pensi che potresti farne uno speciale da pubblicare su OndaCinema? Non credo che entrerebbe in conflitto con la tua principale attività redazionale...


Io appoggio la mozione, anche perchè oltre a saperne un sacco, quel sacco lo racconta davvero bene.


Ci sono anch'io a pensarla a questo modo!

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#54 Armonica

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Inviato 18 ottobre 2009 - 17:39



Bello questo thread, però ne approfitto subito biecamente per chiedere a Corey: visto che hai delle notevoli conoscenze in materia, pensi che potresti farne uno speciale da pubblicare su OndaCinema? Non credo che entrerebbe in conflitto con la tua principale attività redazionale...


Io appoggio la mozione, anche perchè oltre a saperne un sacco, quel sacco lo racconta davvero bene.


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Quotazzo e mi accodo ;-)
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#55 corey

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Inviato 18 ottobre 2009 - 20:12




Bello questo thread, però ne approfitto subito biecamente per chiedere a Corey: visto che hai delle notevoli conoscenze in materia, pensi che potresti farne uno speciale da pubblicare su OndaCinema? Non credo che entrerebbe in conflitto con la tua principale attività redazionale...


Io appoggio la mozione, anche perchè oltre a saperne un sacco, quel sacco lo racconta davvero bene.


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Vi ringrazio nuovamente per l'apprezzamento e la sollecitazione. Una volta completata la visione dei polar accumulati, proverò a rimettere ordine al tutto. Nel frattempo posto di seguito un paio di liste che tracciano la situazione del genere tra il 2002 e il 2006.
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i periti hanno dimostrato che non vi è alcuna certezza.

#56 corey

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Inviato 18 ottobre 2009 - 20:25

Polar 2002-2003


Se sul finire degli anni '90 e nei primissimi anni 2000 il polar ha subito la marcata influenza del crime movie statunitense nelle sue varianti del thriller depalmiano (Six-Pack di Alain Berbérian) e del poliziesco procedurale (Scènes de crimes di Frédéric Schoendoerffer), nel biennio 2002-2003 il genere vede da una parte culminare questa tendenza nel tarantiniano Crime Spree - Fuga da Chicago di Brad Mirman e dall'altra torna a riflettere sulle proprie regole tradizionali (La mentale - Il codice, Autoreverse), fino a confrontarsi con uno dei suoi prototipi letterari (Le mystère de la chambre jaune).

Tra queste due tendenze antitetiche si collocano sia Entre chiens et loups, polar geograficamente eccentrico ambientato a Bucarest, sia i primi due capitoli della trilogie policière di Guillaume Nicloux, due film che rendono omaggio al noir della stagione neohollywoodiana (Un affare privato) e al thriller psicologico degli anni Novanta (Cette femme-là) senza tuttavia rinunciare alla propria specificità nazionale.

In definitiva, un biennio in cui il polar porta a termine l'assimilazione degli stilemi e delle suggestioni provenienti dal noir e dal thriller statunitense, mostrando un rinnovato interesse per le proprie radici e per l'attenzione alla sensibilità squisitamente francese. La sbornia americaneggiante è quasi del tutto smaltita: il genere torna ad abbeverarsi alle fonti originali.

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1. Un affare privato (2002) ? fuor di dubbio che il Philip Marlowe del Lungo addio (Robert Altman, 1973) e il John Klute di Una squillo per l??ispettore Klute (Alan J. Pakula, 1971) siano i padri cinematografici del François Manéri di Une Affaire privée, eppure la disincantata strafottenza di Elliott Gould e la sorniona tenacia di Donald Sutherland non bastano a rendere conto dell??eccezionalità del personaggio cucito addosso a Thierry Lhermitte da Guillaume Nicloux. Sigaretta perennemente in bocca e allergia acuta ai legami sentimentali, il private eye cesellato da Nicloux/Lhermitte surclassa in amarezza e cinismo i modelli neohollywoodiani, trasportando il loro spaesamento in puro territorio esistenziale.
 
2. Entre chiens et loups (2002)
Adattamento del libro Iaroslav, pubblicato nel 2000 dal romanziere, sceneggiatore e dialoghista Claude Klotz (uomo di fiducia di Patrice Leconte), Entre chiens et loups è il dodicesimo lungometraggio di Alexandre Arcady (padre di Alexandre Aja), mestierante specializzato in film di genere (soprattutto polizieschi e commedie, anche combinati). In questa occasione il regista nato ad Algeri è fiancheggiato, in sede di sceneggiatura, dal figlio e dal suo inseparabile collaboratore Grégory Levasseur, ma il risultato finale, purtroppo, è piuttosto deludente. Nonostante un incipit al fulmicotone, con una rapina ad un aereo sulla pista di decollo con tanto di elicottero da guerra, Entre chiens et loups è difatti un "polaraccio" di bassa lega salvato soltanto da alcune sequenze d'azione pregevolmente girate (il regista della seconda unità è proprio Alexandre Aja) e altrettanto efficacemente montate (accanto alla prima montatrice Joële van Effenterre scintillano le forbici del geniale Baxter). Ma al di là dei meriti tecnici (tra i quali vanno ascritte la fotografia desaturata di Alessandro Feira Chios e la musica di commento di Philippe Sarde e Xavier Jamaux) il polar di Arcady è sensibilmente deficitario sia dal punto di vista narrativo che da quello della caratterizzazione dei personaggi.
 
3.  La mentale - Il codice (2002)
Polar ambientato nella banlieue parigina, La mentale (il titolo si riferisce alla "mentalità" del codice criminale) è il secondo lungometraggio di Manuel Boursinhac (classe 1954), sceneggiatore e regista attivo sia in campo cinematografico che televisivo. Totale assenza della polizia: proprio come nel fondativo Grisbi (1954, Jacques Becker), La mentale mette in scena le dinamiche criminali dal di dentro, ponendosi ai margini della legge ufficiale e descrivendo internamente le perentorie regole di comportamento del milieu ("Non rompi i coglioni e nessuno ti tocca, rompi il cazzo e ti spezziamo le reni, tradisci e sei morto"). In quest'ottica il film di Boursinhac si configura come il controtipo negativo del film di Becker: se in Grisbi la lotta tra la vecchia guardia (Gabin e soci) e i nuovi gangster (Ventura e compagni) era osservata dal punto di vista degli anziani, nella Mentale la bagarre è presentata dalla prospettiva della generazione montante.
 
4. Crime Spree - Fuga da Chicago (2003)
Probabilmente il tentativo più fallimentare del genere di scimmiottare il pulp americano degli anni '90 (Tarantino ma anche i fratelli Coen): vicenda scombiccheratissima, MacGuffin a tutto spiano e una sarabanda di colpi di scena senza capo né coda. Brad Mirman gira con grandangoli distorcenti, inquadrature sghembe e soluzioni di montaggio stravaganti (anacoluti sintattici, split-screen che girano come slot machine e inserti video), pasticciando senza tregua. Cast all star in gita premio: Harvey Keitel, Gérard Depardieu, Johnny Hallyday, Renaud, Saïd Taghmaoui, Richard Bohringer per un pulp-polar fiacco e claudicante che si addobba di virtuosismi ammiccanti e inutili orpelli. A un passo dalla parodia, ma con i piedi impantanati nell'emulazione velleitaria.
 
5. Autoreverse (2003)
Polar non totalmente disprezzabile di Cédric L'appartamento spagnolo Klapisch. Personaggi decorosamente sbozzati, dinamiche criminali sufficientemente dettagliate e atmosfere notturne rese con volenterosa durezza rendono Ni pour, ni contre (bien au contraire) un noir briosamente convenzionale che si misura con i canoni del genere (le rapine, i dividendi, il colpo grosso) ravvivandoli con tocchi di ironia. Regia pulita e controllata di Klapisch che per la prima volta nella sua carriera cura l'immagine senza improvvisare o strafare. Qualche carineria di troppo e un finale all'acqua di rose non compromettono la discreta riuscita di un polar che, insieme a La mentale, segnala la rinata voglia del genere di fare i conti con la tradizione.
 
6. Le mystère de la chambre jaune (2003)
Quinto adattamento cinematografico dell'omonimo e celeberrimo romanzo di Gaston Leroux, Le Mystère de la chambre jaune è una pellicola in perfetto equilibrio tra libertà di trasposizione e fedeltà alla fonte letteraria. Il registro narrativo innanzitutto: se nel romanzo di Leroux l'indagine era immersa in un'atmosfera sinistra non priva di accenti gotici, nella riduzione di Bruno Podalydès l'inchiesta si svolge in una cornice giocosamente intagliata con situazioni buffe. Il dramma a tinte fosche si trasforma in una commedia poliziesca, insomma. Eppure questo alleggerimento di toni non va a scapito del mistero: pur virato in commedia, l'adattamento di Podalydès conserva inalterate la suspense e la galleria enigmatica del feuilleton di Leroux. A guadagnarne non sono soltanto la concentrazione spaziale e la tenuta narrativa, ma soprattutto la competizione tra l'intraprendente reporter e il prestigioso ispettore Larsan (il carismatico Pierre Arditi), figura autorevole che ha un metodo investigativo assai diverso da quello di Rouletabille e che sembra padroneggiare la situazione con disarmante sicurezza. Quella tra il pimpante reporter e il sornione ispettore è una vera e propria gara d'abilità che svela il tema profondo del film e del libro: il duello tra intelligenze che si misurano con situazioni limite. Nel romanzo la sfida tra il giovane Rouletabille e l'affermato Larsan riecheggiava quella tra lo stesso Leroux e i suoi illustri predecessori (Edgar Allan Poe e Conan Doyle), mentre nel film si afferma come puro virtuosismo manipolatorio, come celebrazione del potere illusionistico della rappresentazione.
 
7. Cette femme-là (2003)
Secondo capitolo della trilogie policière inaugurata l??anno precedente, Cette femme-là conferma l??attitudine di Guillaume Nicloux a interpretare il polar in chiave esistenziale, vale a dire la sua propensione a frequentare i meccanismi narrativi e le figure tipiche del genere preferendo l??ombreggiatura delle psicologie e la lumeggiatura dei conflitti interiori ai fuochi d??artificio della tensione. Anche in Cette femme-là si indovinano tracce di cinema americano (assonanze con Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme, distorsioni lynchane, malie friedkiniane), ma non diversamente da Une Affaire privée le titolate suggestioni sono metabolizzate da uno sguardo personale che ha nello scavo psicologico la sua intrinseca ragione di essere.
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#57 corey

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Inviato 18 ottobre 2009 - 20:35

Polar 2004-2005


La riterritorializzazione del genere iniziata nel biennio 2002-2003 prosegue e giunge a pieno compimento tra il 2004 e il 2005. Il cuore degli anni 2000 vede la definitiva rivincita della sensibilità francese (doppiezza dei personaggi, pregnanza delle atmosfere, attenzione ai dettagli) sul dinamismo spettacolare di timbro americano che aveva caratterizzato il polar di inizio decennio.

La tendenza americanizzante ancora visibile nel biennio precedente viene totalmente assorbita nel 2004 da 36, Quai des Orfèvres di Olivier Marchal e Le convoyeur di Nicolas Boukhrief: due film che, a diverso ordine di grandezza,  rimodulano l'estetica del poliziesco hollywoodiano in chiave marcatamente francese. Marchal reinterpreta le forme cinematiche di Michael Mann per scoperchiare la corruzione dilagante nelle forze dell'ordine, mentre Boukhrief riutilizza i moduli dell'action hollywoodiano per distorcerli antieroicamente. Due film che riattualizzano la "mitologia del fallimento" alla luce del terzo millennio.

La distanza tra il thriller/noir statunitense e il polar francese si fa ancora più accentuata nei primi mesi del 2005, con due remake antitetici: Assault on Precinct 13 di Jean-François Richet e Tutti i battiti del mio cuore di Jacques Audiard. Il primo - rifacimento dell'omonimo film di Carpenter - è opera di un giovane regista francese in trasferta americana, il secondo - remake di Fingers (1978) di James Toback - è il frutto di un figlio d'arte francese che trapianta in patria un film di ambientazione newyorkese. Come dire: se vuoi girare un poliziesco all'americana ti tocca trasferirti oltreoceano; se vuoi rifare un film americano in Francia devi adattarlo alla sensibilità francese. Aut aut.

Riaffermata la denominazione di origine controllata, negli ultimi mesi del 2005 il polar può infine concedersi raffinate variazioni d'autore: Le parfum de la dame en noir di Bruno Podalydès, estroso adattamento dell'omonimo feuilleton di Gaston Leroux, e Le petit lieutenant di Xavier Beauvois, ritratto di un ufficiale di fresca nomina che coniuga mirabilmente realismo cronachistico e dramma psicologico. Due prove d'autore che si rifanno alla tradizione più squisitamente francese: letteraria la prima (il romanzo di Leroux), cinematografica la seconda (Beauvois si riallaccia a un discorso già sviluppato da Pialat negli anni '80 e da Tavernier nei '90).

Fuori dal sestetto, e in qualche modo fuori dal tempo, si colloca invece Un printemps à Paris. Girato nel 2004 ma uscito in sala solo nel marzo del 2006, il film del professionnel Jacques Bral rispolvera vecchie glorie (Eddy Mitchell, Jean-François Balmer) e felpate atmosfere rétro in un polar voluttuosamente anacronistico che brinda di gusto alla nuova primavera del genere. A Parigi, ça va sans dire.

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1. 36, Quai des Orfèvres (2004)
Marchal rivisita la tradizione in ottica moderna: il duello Auteil/Depardieu rievoca la rivalità Delon/Belmondo ma riproposta con forme visive innervate dall'energia cinetica di Michael Mann. Doppiezza tutta francese e brucianti accelerazioni manniane per un polar di sontuosa, mordente amarezza.
 
2. Le Convoyeur (2004)
Come Olivier Marchal, Nicolas Boukhrief aggiorna l'esprit du polar con l'estetica deflagrante dell'action americano, senza tuttavia rinunciare all'afflato romantico tipico del genere francese. Ambientato in una compagnia di sicurezza privata, Le Convoyeur fa della vicenda di Alexandre (Albert Dupontel), ex banchiere riciclatosi portavalori per ragioni di vendetta, una riflessione sulla vulnerabilità. Emblematicamente, la compagnia di trasporti di preziosi "La Vigilante" sta per essere rilevata da una più potente e corazzata società americana: francese è sinonimo di fragile, superato, vulnerabile. Il polar, diversamente dal thriller hollywoodiano, è un genere poroso: gli infiltrati sono il contesto e gli stati d'animo. Non c'è furgone blindato che tenga.
 
3. Assault on Precinct 13 (2005)
A metà degli anni 2000 per girare un poliziesco all'americana bisogna trasferirsi negli Stati Uniti. Richet stacca il biglietto per Detroit e prova a polarizzare Carpenter. Neve francese sul Distretto 13.
 
4. Tutti i battiti del mio cuore (2005)
Uscito nelle sale francesi due settimane esatte dopo Assault on Precinct 13, Tutti i battiti del mio cuore ne è, per così dire, il controtipo negativo: se per girare un polaraméricain tocca volare negli USA, per rifare un noir americano in Francia occorre resettarlo e radicarlo profondamente nel sistema culturale francese. Più che il rifacimento di Fingers di James Toback, De battre mon coeur s'est arrêté può essere considerato, come dice René Prédal, "un remake di Pickpocket di Bresson con la redenzione del malvivente da parte della musica e dell'amore, ma girato sul modo hard" (Le cinéma français depuis 2000, Armand Colin Cinéma, 2008, p.298). Nel marzo del 2005 la riterritorializzazione del genere può dirsi ultimata.
 
5. Le parfum de la dame en noir (2005)
Secondo adattamento da Gaston Leroux di Bruno Podalydès. Dopo Le mystère de la chambre jaune è la volta del suo seguito Le parfum de la dame en noir: dal pirotecnico feuilleton di Leroux, Podalydès ricava una commedia poliziesca funambolica e giubilatoria in cui a trionfare è il gusto della masquerade e dell'inganno. Ancor più che nella trasposizione precedente, il cineasta, sceneggiatore e attore (nel film interpreta il ruolo dell'istrionico Arthur Rance) spinge sul pedale dell'imagérie fumettistica e del gioco di prestigio, ispirandosi alle bandes dessinées di Tintin e dedicando la pellicola al famigerato prestigiatore del XIX secolo Jean-Eugène Robert-Houdin (1805-1871). Un polar comique fantasioso, mirabolante e, soprattutto, francese fino all'ultimo fotogramma.
 
6. Le petit lieutenant (2005)
Il miglior polar del decennio insieme a 36, Quai des Orfèvres e Truands (2007) di Frédéric Schoendoerffer. Le petit lieutenant sta agli anni 2000 come Police (1985) di Maurice Pialat stava agli anni '80 e Legge 627 (1992) di Bertrand Tavernier ai '90. Xavier Beauvois rischia, con ottimi risultati, la sintesi tra drammaticità (una storia di formazione con risvolti tragici) e cronachismo (la quotidianità di un reparto investigativo di Parigi). Ne esce un ritratto di incisiva sobrietà sia del giovane ufficiale Antoine (Jalil Lespert) che dell'ambiente poliziesco (la Divisione 2). Un polar in delicato equilibrio tra il tragico e il documentaristico non privo di violente pugnalate e commoventi rarefazioni.
 
7. Un printemps à Paris (2004/2006)
Girato nel 2004 ma uscito nelle sale francesi nel marzo del 2006. Nel cuore del decennio, un salto mortale nel passato. Già artefice del pasticciatissimo Polar (1983), Jacques Bral cesella un film ambientato nella Parigi d'oggi ma sbalzato con stile d'altri tempi. Impossibile non pensare al Sautet di Asfalto che scotta (1960) o al Melville dei Senza nome (1970) assaporando questo polar anacronistico che mette in scena il ritorno al crimine di Georges, uno stagionato truand, dopo cinque anni passati al fresco. Ad attenderlo al varco (e tentarlo) è il più giovane socio Pierrot, che gli propone un furto di gioielli di alta classe. L'immenso Eddy Mitchell e il felino Sagamore Stévenin si prestano alla perfezione a questa operazione di archeologia del genere. Comparsate di lusso (Jean-François Balmer) e soffuse sonorità jazz impreziosiscono ulteriormente un polar in cui il desiderio di tradizione del biennio 2004-2005 si sostanzia in forme di neoclassica compostezza.
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#58 corey

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Inviato 26 ottobre 2009 - 14:02

Le parfum de la dame en noir (2005) di Bruno Podalydès con Denis Podalydès, Sabine Azéma, Jean-Noël Brouté, Olivier Gourmet, Pierre Arditi, Isabelle Candelier, Bruno Podalydès

Joseph Rouletabille e il fedele Sainclair assistono al matrimonio di Mathilde e Robert Darzac, finalmente sposi dopo i drammatici eventi del castello del Glandier. Terminata la cerimonia, Joseph conduce l'amico nel collegio dove ha passato l'infanzia per rivelargli quello che lo tormenta: Mathilde è la dama in nero che andava a visitarlo regolarmente nel parlatorio portandogli ogni volta in dono una brioche. Allertati dalla richiesta di aiuto di Robert Darzac, che in chiesa aveva consegnato furtivamente a Rouletabille un ritaglio di giornale, i due amici si precipitano al Castello d'Ercole, dove i novelli sposi, ospiti di Arthur e Edith Rance, trascorreranno la luna di miele. Sul castello incombe la minacciosa riapparizione di Frédéric Larsan, primo marito di Mathilde e inafferrabile criminale.

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Presentato Fuori Concorso alla 62a Mostra del Cinema di Venezia, Le parfum de la dame en noir è la quarta trasposizione cinematografica dell'omonimo feuilleton di Gaston Leroux e il secondo adattamento delle avventure di Joseph Rouletabille reporter realizzato da Bruno Podalydès. Dopo Le Mystère de la chambre jaune (2003) Podalydès si dedica al suo seguito, azzeccando l'equilibrio tra enigma e burlesco già ottenuto nella riduzione di due anni prima. La libertà nei confronti della fonte letteraria è più spiccata rispetto al film precedente: i riferimenti geografici e cronologici si fanno più sfumati e astratti, la pellicola situandosi in un contesto pressoché atemporale e geograficamente indefinito (le riprese si sono svolte sull'isola di Port-Cros, la più selvaggia dell'arcipelago provenzale di Hyères).

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Cogliendo perfettamente i temi centrali del romanzo di Leroux (l'attrazione edipica tra Rouletabille e la madre, l'illusorietà delle apparenze, il romanticismo palpitante), Podalydès ricava dal pirotecnico feuilleton lerouxiano una commedia poliziesca funambolica e giubilatoria in cui a trionfare è il gusto della masquerade e dell'inganno. Ancor più che nella trasposizione precedente, il cineasta, sceneggiatore e attore (nel film interpreta il ruolo dell'istrionico Arthur Rance) spinge sul pedale dell'imagérie fumettistica e del gioco di prestigio, ispirandosi alle bande dessinées di Tintin e dedicando la pellicola al famigerato prestigiatore del XIX secolo Jean-Eugène Robert-Houdin (1805-1871). Un polar comique fantasioso, mirabolante e, soprattutto, francese fino all'ultimo fotogramma. Unico neo: se non si è visto Le Mystère de la chambre jaune il secondo pannello del dittico rischia di apparire un filo sconclusionato.

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#59 Dudley

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Inviato 02 novembre 2009 - 11:41

Polar 2004-2005


1. 36, Quai des Orfèvres (2004)
Marchal rivisita la tradizione in ottica moderna: il duello Auteil/Depardieu rievoca la rivalità Delon/Belmondo ma riproposta con forme visive innervate dall'energia cinetica di Michael Mann. Doppiezza tutta francese e brucianti accelerazioni manniane per un polar di sontuosa, mordente amarezza.


Visto ieri sera in DVD. Che spettacolo!
Fantastico, davvero. Un "plot" denso, granitico, drammatico. Grandi attori, grandi scene d'azione, bella "atmosfera", buon approfondimento su personaggi, motivazioni, dubbi, debolezze. Personalmente, non saprei cosa chiedere di più ad un "polar". Probabilmente uno dei migliori polizieschi degli ultimi decenni - e non parlo unicamente della Francia.

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#60 bluetrain

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Inviato 10 novembre 2009 - 09:22

Il coltello sotto la gola (Le couteau sous la gorge 1955) di Jacques Séverac con Jean Servais, Jean Chevrier, Madeleine Robinson, Michèle Cordou

Marsiglia. Al chirurgo Hourtin (Jean Servais) rapiscono il figlioletto. E' stato il Cinese, bandito appena espulso dalla gang del Maltese (Jean Chevrier) per aver macchiato di sangue una rapina in banca. Per recuperare il figlio senza coinvolgere la polizia (condizione posta dal rapitore per restituire il bambino incolume), Hourtin si rivolge proprio al Maltese, a cui tempo prima aveva salvato la vita estraendo un proiettile dalla pancia (in un'operazione clandestina a cui il chirurgo si era prestato tanto malvolentieri quanto disinteressatamente).

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Insipido polar non troppo distante per atmosfere (ambientazione urbana) e protagonista (Servais) da Rififi, uscito nello stesso anno. Ma Jacques Séverac non è certo Jules Dassin e la messa in scena tradisce una staticità e una macchinosità irriscattabili da qualsiasi miracolo cinematografico. La sceneggiatura tratteggia i gangster come una confraternita di benefattori che non esitano a punire la testa calda (il Cinese), cacciandolo dalla banda e devolvendo la sua parte di bottino alla famiglia della donna che costui ha così crudelmente ucciso. Il capobanda poi si fa in quattro (e si becca un altro po' di piombo in corpo) per mostrarsi riconoscente col chirurgo, risultare degno agli occhi della propria donna e liberare il bimbo rapito con sprezzo del pericolo. Persino la polizia, sornionamente rappresentata dal vecchio commissario Lussac (Yves Deniaud), chiude un occhio affinché i buoni sentimenti trionfino indisturbati. Il coltello sotto la gola ovvero il pernicioso imborghesimento del genere. Unico particolare degno di nota: l'ambientazione a Marsiglia (pare sia uno dei primi polar ambientati nella capitale del Midi), che qua e là fa capolino portuale senza determinare un fico secco.


Visto ieri sera, concordo in toto con quanto scrivi, Corey. Finora, decisamente il peggiore film della collana H&W, un polar di serie B, quasi un film per bambini (in certi punti della narrazione potrebbe tranquillamente entrare in scena Mary Poppins senza sfigurare), dove ad aver la meglio è il buonismo (nonchè il manicheismo: alla fine il tutto si riduce alla divisione buoni contro cattivi, senza molte sfumature, con la polizia a fare da terzo finto incomodo, anche per dare un senso a una trama altrimenti inesistente), in spregio alle complesse dinamiche psicologiche che solitamente permeano i noir franzosi.
Nessuna interpretazione sopra le righe (la migliore, forse, è quella di Yves Deniaud nei panni del Commissario di Polizia), e qualche interessante spunto sull'ambiente portuale marsigliese, ma solo abbozzato, purtroppo, tanto da risultare anch'esso edulcorato, quale ingrediente secondario di una pellicola che nei minuti finale rischia di scivolare nel melenso, con un happy ending che è solo la cigliegina su una torta sacher in celluloide vigliaccamente travestita da polar.
Poi, per carità, preferisco vedere un film così che tante robacce coeve che passano in TV in prima serata, ma questo è un altro discorso, basato per lo più sulle mie devianze passatiste.

Pochi giorni fa, per contro, ho visto Sciarada per 4 spie, dove la musica cambia un bel po': un gran bell'esempio (questa volta in positivo) di polar travestito da film di spionaggio, dove tutto funziona alla meraviglia e dove domina un monumentale Lino Ventura, questa una volta perfetto nell'interpretare una spia francese in trasferta a Vienna per risolvere un intricato caso internazionale che vede coinvolto un suo collega ed amico...


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#61 corey

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Inviato 10 novembre 2009 - 09:39

Aspetta di vedere Pelle di spia prima di dare la palma di peggior titolo della serie al Coltello sotto la gola: il film di Max Pécas è di una bruttezza imbattibile, fa quasi tenerezza da quanto è sciatto.

Di Sciarada per quattro spie ne ho scritto (a pagina 2 di questo topic ci sono le mie elucubrazioni): non mi è dispiaciuto, anche se per seguire il filo della vicenda ci vogliono almeno due block notes a portata di mano  asd

In ogni modo ti seguo a ruota nelle devianze passatiste  ;)
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#62 bluetrain

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Inviato 10 novembre 2009 - 17:06

Aspetta di vedere Pelle di spia prima di dare la palma di peggior titolo della serie al Coltello sotto la gola: il film di Max Pécas è di una bruttezza imbattibile, fa quasi tenerezza da quanto è sciatto.


Ah! Quasi quasi allora mi tolgo subito il dente... e lo guardo subito! Magari visto nell'ottica di un trash-B-noir, sulla scia della recente moda sdoganatoria, potrebbe essere rivalutato, come i film con Avlvaro Vitali, o no?  asd
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#63 corey

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Inviato 10 novembre 2009 - 20:40

Può darsi  ;)
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#64 Dudley

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Inviato 13 novembre 2009 - 23:59

Questa sera ho visto "MR 73" di Olivier Marchal. Grande film, dopo il magnifico "36 Quai des orfèvres" Olivier Marchal si conferma ad alti livelli. Polar nero come la pece che, come ben indicato da Corey in altra sede, sfocia praticamente in qualcosa di orrorifico. Solita grande interpretazioe di Auteuil, soliti bravi attori ad accompagnarlo in questa sua personale discesa all'inferno. Comme d'habitude, belle "locations", bella fotografia, gran cura dei dettagli. Finale devastante che forse avrei preferito un po' meno esplicito - se proprio devo muovere un appunto alla pellicola. Consigliatissimo.


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#65 bluetrain

    Fourth rule is: eat kosher salamis

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Inviato 15 novembre 2009 - 14:09

Questa sera ho visto "MR 73" di Olivier Marchal. Grande film, dopo il magnifico "36 Quai des orfèvres" Olivier Marchal si conferma ad alti livelli. Polar nero come la pece che, come ben indicato da Corey in altra sede, sfocia praticamente in qualcosa di orrorifico. Solita grande interpretazioe di Auteuil, soliti bravi attori ad accompagnarlo in questa sua personale discesa all'inferno. Comme d'habitude, belle "locations", bella fotografia, gran cura dei dettagli. Finale devastante che forse avrei preferito un po' meno esplicito - se proprio devo muovere un appunto alla pellicola. Consigliatissimo.



è nella mia "lista della spesa", lo guarderò quanto prima.
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#66 bluetrain

    Fourth rule is: eat kosher salamis

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Inviato 17 novembre 2009 - 11:57

Il commissario Pelissier (Max et les ferrailleurs, 1971) di Claude Sautet, con Michel Piccoli, Romy Schneider.

Filmone di Sautet che non ha nulla da invidiare al capo d'opera Asfalto che scotta in termini qualitativi, con un Michel Piccoli incredibile (ma davvero sopra le righe) nell'impersonare il cinico, rigido e calcolatore commissario di polizia Max Pelissier, ossessionato dal cogliere i criminali nella flagranza di reato (in passato era stato un giudice istruttore, ed era stato costretto ad assolvere un reo per mancanza di prove; scottato dall'esperienza, ha lasciato la magistratura per diventare un flic - incurante dell'aspetto economico dell??avvicendamento professionale in quanto benestante di famiglia - per poter combattere la grande criminalità direttamente "sul campo").
Il delirio giustizialista di Pelisier lo porta a progettare un piano perverso: prendere di mira una gang di spiantati ed innocui delinquenti di serie B ed indurla a fare il salto di qualità (rapinare una banca) per poi poterla cogliere in flagrante.

Immagine inserita

Rappresentazione parossistica dell??impotenza del sistema giudiziario che, incapace di funzionare come una macchina perfettamente oliata di fronte ad una criminalità chirurgica nella sua efficienza, ??se le canta e se le suona?, arrivando a costruire a tavolino il successo, provocando addirittura il salto di qualità di quella che sarebbe rimasta una piccola banda senza pretese costituita per lo più da inoffensivi reietti senza qualità, criminali innanzi tutto. La presentazione della banda dei ferrailleurs, per altro, offre a Sautet la possibilità di posare il suo sguardo sulla provincia di estrazione non borghese limitrofa  alla capitale francese, inserendo un elemento di novità ??sociologica? nella caratterizzazione dei truands del polar: di bassa estrazione popolare, tutt??altro che abili, sfaticati, privi di motivazioni. Gente che tira a campare senza pretese, che ??si arrampica?, come afferma il capo banda Abel, vecchio conoscente del nostro, che Max incontra quasi per caso e che sarà la scintilla che innescherà il perverso disegno paracriminoso del commissario: in fin dei conti sarà lui stesso il mandante occulto di un crimine costruito ad arte e tagliato su misura per le sue esigenze.
E nel farlo, Max è impeccabile e di un??efficienza direttamente proporzionale al suo cinismo e alla sua freddezza, esteriorizzati in una rigidità quasi cadaverica, interpretata ?? occorre ripeterlo ?? da un immenso Piccoli.
Tutto procede a meraviglia, e il flic per arrivare al risultato voluto non bada a spese e si serve di Lily (Romy Schneider), prostituta e fidanzata del capo banda Abel, fingendosi Felix, direttore di una piccola ma succulenta filiale bancaria di periferia.
Quasi tutto, perché il freddo e impeccabile piano del commissario si inceppa proprio là dove sembrava risiedere il suo punto di forza, la freddezza e l??impenetrabilità anafettiva?

Immagine inserita

Sautet mette scena ancora una vola la rappresentazione di un'umanità disperata, miserevole, nella quale la via d'uscita (in questo caso la figura femminile, che scardina completamente la depressa ma in un certo senso rassicuramente tranquillità (?) del protagonista) si intravede appena e finisce paradossalmente per avere l'effetto (distruttivo) di una bomba nucleare.
Quando si dice un passo in avanti e dieci in dietro.



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#67 corey

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Inviato 17 novembre 2009 - 18:11

Film immenso e pregevolissima recensione. Le Grand Blue  ;)
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i periti hanno dimostrato che non vi è alcuna certezza.

#68 signora di una certa età

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Inviato 17 novembre 2009 - 18:55

tsk
per me ha copiato 

asd
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In realtà secondo me John Lurie non aveva tante cose da dire... ma molto belle


#69 corey

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Inviato 17 novembre 2009 - 22:31

Senz'altro le immagini  ;D
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i periti hanno dimostrato che non vi è alcuna certezza.

#70 bluetrain

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Inviato 17 novembre 2009 - 23:45

tsk
per me ha copiato 

asd


Anch'io Le voglio bene Matusalemma.

Film immenso e pregevolissima recensione. Le Grand Blue  ;)


Grazie Corey, anche se l'ho copiata, ho fatto del mio meglio.  :D
Per restare in tema, mi sono permesso di copiare, questo si, il layout che usi solitamente tu, che mi piace.
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#71 corey

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Inviato 18 novembre 2009 - 13:59

36, Quai des Orfèvres (2004) di Olivier Marchal con Daniel Auteuil, Gérard Depardieu, André Dussollier, Valeria Golino, Catherine Marchal, Francis Renaud

Una feroce banda specializzata in rapine ai portavalori dà del filo da torcere alla polizia: 7 furgoni assaltati in meno di 18 mesi, 9 custodi uccisi e un bottino che si aggira sui due milioni di euro. Il direttore della polizia giudiziaria Mancini, in procinto di assumere l??incarico di direttore generale, incalza i suoi uomini per catturare i banditi e lasciare la scrivania senza conti in sospeso. Sono due gli uomini con le carte in regola per sostituirlo alla direzione della giudiziaria: Léo Vrinks, comandante della Brigade de Recherche et d'Intervention, e Denis Klein, capo della Brigade de Répression du Banditisme. Il primo che sgominerà la banda di rapinatori si aggiudicherà il posto.

Immagine inserita

Ex ispettore di polizia (assegnato alla sezione antiterrorismo e successivamente comandante di una brigata di notte), Olivier Marchal firma con 36, Quai des Orfèvres il secondo capitolo della trilogia sulla "solitude, la désespérance et l'errance" che si concluderà quattro anni dopo col polar terminale MR 73. Quella di Marchal è la sola trilogie policière, insieme alla triade noir di Guillaume Nicloux (Une Affaire privée, Cette femme-là e La Clef), sfornata in Francia negli anni 2000 e fotografa l'ambiente poliziesco con toni sempre più lividi e crepuscolari, un microcosmo marcato da connivenza, rivalità e degradazione.

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Dopo Gangsters (2002), polar a porte chiuse che snida la corruzione rintanata in un commissariato parigino del 18° arrondissement, Marchal alza il tiro e mira direttamente al 36, Quai des Orfèvres: grosso budget, faccia a faccia tra due mostri sacri del cinema francese (Daniel Auteil/Gérard Depardieu) e radiografia dei maneggi politici nel palazzo dell'etat-major della polizia di Parigi. Modello rivendicato da Marchal è Heat di Michael Mann: "L'ambizione era di fare un Heat alla francese. [...] Heat è un modello per me, tanto per il lavoro di direzione degli attori quanto per l'estetica delle immagini e per il virtuosismo della messa in scena".

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Ma diversamente dal modello americano, che pone di fronte due figure affini per indole e dissimili per professione, in perfetto spirito polar Marchal trasporta l'ambiguità in seno all'istituzione poliziesca, rappresentando l'ambizione personale e la passività morale di ufficiali (sia Vrinks che Klein hanno le mani imbrattate di sangue) e alti dirigenti (il pilatesco direttore della Police Judiciaire Mancini, interpretato da André Dussolier). Non tutti tuttavia sono sporchi allo stesso titolo: se il manicheismo è poderosamente evitato, tra la compromissione di Vrinks (che copre un omicidio per ottenere la soffiata da un informatore) e la rapacità di Klein (che non si fa scrupoli a incastrare il collega per accaparrarsi il posto di direttore) c'è un'enorme differenza, quella che separa lo strappo alla regola dall'opportunismo senza scrupoli.

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La analogie col cinema di Mann non si esauriscono nell'impianto narrativo (la rivalità tra due uomini con molti punti in comune), ma coinvolgono anche il partito preso del realismo. Come Mann è ossessionato dall'autenticità della rappresentazione, così Marchal travasa nel film la sua esperienza di flic, ispirandosi a due eventi che hanno scosso il mondo della polizia a metà degli anni '80: la bavure de la rue du Dr. Blanche, un'operazione congiunta di BRI e BRB degenerata in una terribile sparatoria a causa dell'iniziativa di un comandante della BRB, e la gang des ripoux, una lista nera di flic sospettati di numerose malversazioni nella quale figurava il nome di Jean Vrindts, poliziotto ucciso nello scontro a fuoco della rue du Dr. Blanche. I colleghi di Vrindts accusarono l'amministrazione di voler infangare il suo nome per distogliere l'attenzione dal responsabile della bavure ("abuso"). Tracce di entrambi gli episodi si trovano in 36: il primo è riecheggiato nell'azione isolata di Klein durante l'appostamento intorno al deposito dei rapinatori, il secondo è rievocato nell'incriminazione di Vrinks per aver coperto il crimine del suo informatore. Lo scrupolo realistico di Marchal si è spinto fino ad assoldare come aiuto sceneggiatore Dominique Loiseau, uno dei poliziotti che ha partecipato all'operazione della rue du Dr. Blanche ed è finito sulla lista nera della gang dei corrotti: il film è dedicato a lui e a Christian Caron, alias "Kiki" Caron, un flic deceduto in servizio il 31 agosto 1989.

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Nonostante il Michael Mann di Heat sia il modello dichiarato di 36, Marchal lo reinterpreta in chiave squisitamente francese: l'approccio di impronta manniana si cala in forme filmiche di stampo inequivocabilmente polar, permeate di atmosfere conviviali/malinconiche (la cena iniziale per il trasferimento di Eddy), di dolente romanticismo (il rapporto tra Léo e la moglie Camille) e di risonanze tragiche (i due funerali di Eddy e di Camille). Il tutto scolpito da inquadrature di granitica compostezza, scandito da sontuosi montaggi alternati e accompagnato da un commento musicale tanto continuo quanto calibrato. E tra l'irruenza fisica e la responsabilità psicologica è quest'ultima ad avere la meglio, come testimonia la rentrée finale di Léo che preferisce lo specchio della coscienza all'esecuzione della vendetta: "Il n'y a que les morts qui ne reviennent pas, Denis".

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#72 corey

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Inviato 22 novembre 2009 - 18:49

Ne le dis à personne  (2006) di Guillaume Canet con François Cluzet, Marie-Joseé Croze, André Dussollier, Kristin Scott Thomas, François Berléand, Nathalie Baye, Jean Rochefort, Marina Hands, Gilles Lellouche, Philippe Lefebvre

Alex Beck (François Cluzet) e sua moglie Margot (Marie-Josée Croze) si recano al lago Chairmaine per celebrare l'anniversario del loro primo bacio, incidendo la diciannovesima tacca in un cuore intagliato sulla corteccia di un albero. Cala la sera e i due fanno il bagno raggiungendo lo zatterone. Dopo una breve discussione, Margot si tuffa e raggiunge il pontile, scomparendo e lanciando un grido: Alex si precipita in suo aiuto, ma una volta raggiunta la scaletta viene colpito da due mazzate che lo mettono fuori combattimento.
Otto anni dopo. Il dottor Beck, pediatra di un ambulatorio parigino, riceve una mail anonima alla vigilia del ventisettesimo anniversario: "Clique sur ce lien, date anniversaire, 18h 15", seguito da un link. Margot è ancora viva? Non è stata uccisa dal serial killer incriminato della sua morte? ? l'inizio di un viaggio nel passato, tra fantasmi che ritornano e una realtà che si tinge d'assurdo.

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Adattamento del romanzo del 2001 Tell No One di Harlan Coben (che nel film fa una comparsata sul marciapiede di una stazione ferroviaria), Ne le dis à personne è il secondo lungometraggio di Guillaume Canet, attore, regista, produttore e sceneggiatore francese nato il 10 aprile 1973 a Boulogne-Billancourt (città a sud-ovest di Parigi). Dopo Mon idole (2001), commedia drammatica interpretata tra gli altri dalla moglie Diane Kruger (matrimonio durato dal 2001 al 2006, dopodiché Guillaume si è legato a Marion Cotillard), Canet passa al polar, trasponendo il fortunatissimo thriller di Coban (tradotto in 27 lingue, più di 6 milioni di copie vendute nel mondo) e ritagliandosi il piccolo ma scomodissimo ruolo di Philippe Neuville, la mela più bacata del cesto.

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Spalleggiato nel lavoro di sceneggiatura dall'amico Philippe Lefebvre (con il quale aveva già collaborato per Mon idole e anche attore in Ne le dis à personne nella parte del flic Philippe Meynard), Canet concepisce un adattamento a metà strada tra la fedeltà e il tradimento del testo originale. Se la prima ora del film (che dura 125') rispecchia sostanzialmente la scansione narrativa del romanzo, la seconda metà è caratterizzata da spostamenti di sequenze e alterazioni drammaturgiche sempre più significative (come la torturatrice ectomorfa, che nel libro era un coreano dalle mani temprate tipo Bruce Lee), fino a culminare nella vera e propria riscrittura del finale che modifica l'identità dell'assassino (Coben ha non solo autorizzato i cambiamenti ma ha addirittura dichiarato che la conclusione del film è migliore di quella del libro).

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Salutato da un'accoglienza di pubblico e critica estremamente favorevole (più di tre milioni di spettatori e ben quattro premi César 2007: miglior regia, miglior montaggio, miglior attore protagonista e miglior musica), Ne le dis à personne merita ampiamente il successo ottenuto: cast da leccarsi i baffi (oltre a François Cluzet spiccano Marie-Joseé Croze, André Dussollier, Kristin Scott Thomas, Nathalie Baye, Jean Rochefort e Olivier Marchal), ritmo senza cedimenti, regia senza sbavature e senza eccessivi orpelli, personaggi costruiti con perizia, crescendo drammatico incalzante e temperatura emotiva elevata benché sotto la soglia del patetismo strappalacrime.

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Ma il vero asso nella manica di questo polar dalle venature mélo è l'ambientazione parigina: trapiantando in Francia una storia profondamente radicata nella realtà americana (Tell No One si svolge prevalentemente a Manhattan e dintorni), Canet mostra come nel 2006 il genere francese sia perfettamente in grado di riterritorializzare il thriller USA secondo un'ottica pienamente autonoma. Parigi non ha niente da invidiare a New York come set metropolitano: varietà urbanistica, stratificazione sociale e diversità etnica non difettano alla capitale dell'Esagono. Ecco allora che il faccia a faccia tra il dottor Beck e il latino-americano Hugo Gonzales del romanzo si traduce nel film in un testa a testa tra Alex e un banlieuesard splendidamente interpretato da Jalil Lespert.

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Ecco che il fatidico appuntamento a Washington Square si trasferisce senza sforzo alcuno a Parc Monceau. Ed ecco, soprattutto, che la fuga del dottor Beck braccato dagli agenti nei caseggiati di Harlem diventa un attraversamento del trafficatissimo boulevard péripherique a cui segue una corsa a perdifiato nel Marché Biron di Saint-Ouen. Lungi dallo scadere in emulazione velleitaria, la dislocazione geografica esalta la frenesia metropolitana e ricalca la pratica del parkour dei traceurs parigini: fulgido esempio di risemantizzazione urbana, fisica e cinematografica al tempo stesso. Quello di Canet non è un thriller francofono che copia maldestramente i modelli americani (cosa che avveniva nel 2000 con Six-Pack di Alain Berbérian), ma un polar intessuto di mélo e innervato di action che, oltre a testimoniare il talento del cineasta trentatreenne, certifica l'avvenuta autonomizzazione del genere dalle influenze statunitensi di inizio decennio. A partire dal titolo: Ne le dis à personne, non Tell No One.

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#73 Armonica

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Inviato 28 novembre 2009 - 14:02


Per caso qualcuno sa se è possibile trovare "Le jene del quarto potere" di Melville in dvd? Le mie ricerche finora sono state frustrate  :(
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#74 bluetrain

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Inviato 28 novembre 2009 - 14:13


Per caso qualcuno sa se è possibile trovare "Le jene del quarto potere" di Melville in dvd? Le mie ricerche finora sono state frustrate  :(


Era presente nella collana sul noir francese delle Hobby & Work... se provi sul sito , forse riesci ad acquistarlo anche singolarmente.

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#75 Armonica

    Groupie

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Inviato 28 novembre 2009 - 16:26



Per caso qualcuno sa se è possibile trovare "Le jene del quarto potere" di Melville in dvd? Le mie ricerche finora sono state frustrate  :(


Era presente nella collana sul noir francese delle Hobby & Work... se provi sul sito , forse riesci ad acquistarlo anche singolarmente.


Grazie mille per la dritta!  ;)
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#76 corey

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Inviato 01 dicembre 2009 - 19:03

Rapt (2009) di Lucas Belvaux con Yvan Attal, Anne Consigny, André Marcon, Françoise Fabian, Alex Descas, Michel Voïta, Gérard Meylan, Maxime Lefrancois

Ricco ereditiere e presidente di un colosso industriale col vizio del gioco d'azzardo, Stanislas Graff viene sequestrato da un commando di criminali a pochi metri da casa sua. I rapitori chiedono 50 milioni di euro, ma il consiglio di amministrazione della compagnia, presieduto ad interim dal braccio destro di Graff, si rifiuta di intaccare il capitale sociale, avanzando al massimo la somma di 20 milioni (il patrimonio personale del presidente). Inizia così una snervante trattativa tra familiari e rapitori che si protrae per alcune settimane, mentre la polizia fa di tutto per impedire il pagamento del riscatto.

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Ispirato al celebre "Affaire Empain" (il sequestro avvenuto nel 1978 del barone e uomo d'affari ?douard-Jean Empain, all'epoca direttore generale del gruppo Empain-Schneider), Rapt è il settimo lungometraggio di Lucas Belvaux, attore, sceneggiatore e regista belga autore della famosa trilogia del 2002 (comprendente la commedia Un couple épatant, il polar Cavale et il mélo Après la vie). Rapt segue molto da vicino la vicenda del rapimento Empain senza tuttavia riprodurla alla lettera: se la dinamica del sequestro, la mutilazione di un dito dell'ostaggio, la lunga durata della prigionia e le negoziazioni tra familiari e rapitori ricalcano i fatti del 1978, Belvaux cambia il nome del sequestrato da Empain a Graff, traspone gli avvenimenti ai giorni nostri, modifica parzialmente le ambientazioni e, soprattutto, dà maggior peso al periodo successivo alla liberazione, ponendo l'accento sul clima di freddezza e anaffettività che accoglie il suo ritorno in famiglia.

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Come accennato, Belvaux non è nuovo al polar-thriller: non solo il già menzionato Cavale, tassello centrale della trilogia, ma anche lo splendido noir sociale del 2006 La raison du plus faible. In questi due film il cineasta e attore belga (protagonista del primo e presente nel secondo con un ruolo tutt'altro che irrilevante) approcciava il genere dal basso, mostrando un relitto della lotta armata intenzionato a continuare l'attacco al capitale da solo (Cavale) e descrivendo il fallimentare tentativo di rapina a un'acciaieria di tre emarginati in un quartiere industriale di Liegi (La raison du plus faible). Militanza politica fuori tempo massimo e sogni di rivalsa proletaria costituivano le linee guida su cui plasmare il genere in chiave politica. Pur non snaturando l'approccio politico (il discorso di fondo rimane immutato: il sistema capitalista prescinde dai singoli individui limitandosi ad usarli), Rapt integra i due polar precedenti spostando l'attenzione su un altro strato sociale: non più il proletariato urbano, ma l'alta borghesia e il padronato nei loro addentellati con le istituzioni e il potere.

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Quello che conta in Rapt non è soltanto l'aspetto umano della vicenda (un uomo influentissimo che si trova esautorato e abbandonato da un giorno all'altro), ma anche i meccanismi di difesa messi in atto dal sistema: il consiglio di amministrazione del gruppo, le alte cariche politiche e gli organi di polizia ostacolano con disarmante compattezza ogni tentativo di cedere alla richiesta dei rapitori. Ne va della loro forza economica, della loro reputazione pubblica, della loro efficienza: il sistema può sacrificare il singolo, ma non deve fare a meno della sua efficacia. Non può essere depotenziato. Alla messa al bando della pedina debole collaborano naturalmente i mezzi d'informazione, braccio mediatico del potere: stampa e televisione sfruttano le inchieste della polizia per gettare fango su Graff, trasformandolo nella caricatura del ricco playboy che sperpera i beni del gruppo giocando a poker, facendo la bella vita e circondandosi di amanti appariscenti. Il gioco al massacro non risparmia i vizi privati di Stanislav Graff (Yvan Attal), demolendo la sua credibilità su ogni piano.

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Quello che sopravvive al sequestro, alle mutilazioni e agli sputtanamenti è un uomo isolato, sfibrato, impotente: il suo braccio destro Peyrac (André Marcon) approfitta della sua prigionia per fargli le scarpe, la moglie Françoise (Anne Consigny) non lo riconosce più come un individuo in grado di sopportare pesi eccezionali e le figlie fuggono indignate di fronte a un padre diverso da quello che credevano. Solo il cane gli resta fedele. Ma se la parabola umana e sociale è tratteggiata con rigorosa nettezza, Belvaux si mostra meno a suo agio nelle stanze del potere che nei rifugi dei latitanti e nei miseri appartamenti degli operai: la sua rappresentazione dell'alta borghesia e della finanza è piuttosto generica e convenzionale, adagiandosi su una descrizione priva di sfumature e particolari circostanziati.

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Non a caso le parti più incisive di Rapt restano quelle in cui gli spazi e i tempi dell'azione beneficiano di una contestualizzazione precisa (anche se non necessariamente nominata): la sequenza del rapimento, la prigionia a due stadi (in una tenda all'interno di una grotta prima, in una cella di cemento grezzo poi) e la lunga trafila per la consegna del riscatto che culmina nell'arresto di uno dei sequestratori (cattura che risulterà decisiva per la liberazione di Graff). In definitiva, un polar che si inserisce perfettamente nella declinazione politica del genere che Belvaux porta avanti da anni con esemplare coerenza, ma che sconta una conoscenza meno dettagliata e diretta dei meccanismi che regolano le ragioni dei più forti. Visto dall'alto, il polar rischia di trasformarsi in teorema. Uscito nelle sale francesi il 18 novembre.

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#77 corey

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Inviato 10 marzo 2010 - 00:15

Segnalo a tutti gli amanti del genere il polar del navigato Gilles Béat Diamond 13, tratto dal magnifico romanzo di Hugues Pagan L'Etage des morts (edito in Italia da Meridiano zero col titolo Dead End Blues).

http://www.spietati....asp?idFilm=2313

Uscito in Francia nel gennaio del 2009, è stato distribuito col contagocce dalla Moviemax e, se non vado errato, è uscito in sole dieci sale in tutta Italia. Fortunatamente si trova in rete coi sottotitoli in inglese.
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#78 bluetrain

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Inviato 10 marzo 2010 - 00:28

Ci affretteremo a vederlo quanto prima.
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#79 Dudley

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Inviato 10 marzo 2010 - 10:39

Segnalo a tutti gli amanti del genere il polar del navigato Gilles Béat Diamond 13, tratto dal magnifico romanzo di Hugues Pagan L'Etage des morts (edito in Italia da Meridiano zero col titolo Dead End Blues).

http://www.spietati....asp?idFilm=2313

Uscito in Francia nel gennaio del 2009, è stato distribuito col contagocce dalla Moviemax e, se non vado errato, è uscito in sole dieci sale in tutta Italia. Fortunatamente si trova in rete coi sottotitoli in inglese.


Corey, mi hai salvato la giornata ...

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#80 bluetrain

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Inviato 10 marzo 2010 - 11:51


Segnalo a tutti gli amanti del genere il polar del navigato Gilles Béat Diamond 13, tratto dal magnifico romanzo di Hugues Pagan L'Etage des morts (edito in Italia da Meridiano zero col titolo Dead End Blues).

http://www.spietati....asp?idFilm=2313

Uscito in Francia nel gennaio del 2009, è stato distribuito col contagocce dalla Moviemax e, se non vado errato, è uscito in sole dieci sale in tutta Italia. Fortunatamente si trova in rete coi sottotitoli in inglese.


Corey, mi hai salvato la giornata ...


Vi ammazzate di lavoro, eh, lassù in Svizzera!  asd
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#81 Dudley

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Inviato 10 marzo 2010 - 12:11

Vero, porco mondo!  ::)
Fortuna che ogni tanto si può dare un'occhiata al forum!  :)

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#82 corey

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Inviato 10 marzo 2010 - 12:42


Segnalo a tutti gli amanti del genere il polar del navigato Gilles Béat Diamond 13, tratto dal magnifico romanzo di Hugues Pagan L'Etage des morts (edito in Italia da Meridiano zero col titolo Dead End Blues).

http://www.spietati....asp?idFilm=2313

Uscito in Francia nel gennaio del 2009, è stato distribuito col contagocce dalla Moviemax e, se non vado errato, è uscito in sole dieci sale in tutta Italia. Fortunatamente si trova in rete coi sottotitoli in inglese.


Corey, mi hai salvato la giornata ...


:)

Ne approfitto per ringraziare pubblicamente Claudio per l'inserimento della recensione su OndaCinema.
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#83 corey

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Inviato 11 marzo 2010 - 14:39

Segnalo il dossier a cura di Mauro Gervasini Le cercle nor dedicato al neopolar francese uscito sul numero 89 di NOCTURNO (gennaio 2010).
Molti dei film trattati sono quelli di cui ho scritto in questo thread e spesso non mi trovo d'accordo con le osservazioni dei vari recensori, ma il dossier ha l'indubbio merito di presentare una corposa e avvertita carrellata sui polar più significativi usciti nelle sale francesi negli ultimi due anni.
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#84 corey

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Inviato 14 maggio 2010 - 14:21

Lo zingaro (Le Gitan, 1975) di José Giovanni con Alain Delon, Annie Girardot, Marcel Bozzuffi, Paul Meurisse, Renato Salvatori, Bernard Giraudeau, Maurice Barrier

Evaso e braccato dalla squadra del commissario Blot (Marcel Bozzuffi), Hugo Sennart detto "il Gitano" (Alain Delon) è in fuga da due anni insieme ai complici Jo Amila detto "Jo il pugile" (Renato Salvatori) e Jacques Helman (Maurice Barrier). La banda di latitanti semina il panico in tutta la Francia, rapinando furgoni portavalori, regolando conti in sospeso coi delatori e foraggiando la causa dei nomadi col denaro dei colpi messi a segno. Il caso vuole che la loro attività criminale segua scrupolosamente gli spostamenti di Yan Kuq (Paul Meurisse), mago delle casseforti e ricercato dallo stesso commissario Blot per un furto di gioielli nonché per la morte della moglie.

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Tratto dal suo romanzo del 1959 Histoire de fou, Lo zingaro è l'ottavo lungometraggio di José Giovanni e il secondo dei suoi tre film prodotti e interpretati tra il 1973 e il 1976 da Alain Delon (gli altri due sono Due contro la città e Il figlio del gangster). Mattatore indiscusso della pellicola e perfettamente a suo agio nei panni del lupo solitario braccato dalla polizia, Delon deve vedersela con un commissario scaltro e tenace (interpretato splendidamente da Marcel Bozzuffi, attore specializzato in secondi ruoli) e coi capricci del caso (l'hasard, coincidenza e fato) che lo portano a ricalcare beffardamente le orme del genio delle casseforti Yan Kuq (l'immenso Paul Meurisse).

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Quest'ultimo è fuggito da Parigi in seguito alla morte della moglie, precipitata dal terrazzo di casa al termine di una furibonda lite: rientrando alle prime ore del mattino da una rapina, Kuq l'ha scoperta al telefono con l'amante e l'ha presa a cinghiate provocandone la caduta involontaria. L'avvocato gli suggerisce di costituirsi e fornire una versione dei fatti che lo scagioni sia dalla tragica fatalità che dal furto di gioielli, ma lo scafato scassinatore non intende fare neanche un giorno di galera e preferisce rifugiarsi in luoghi più appartati. Ma non più sicuri, poiché ogni volta che cambia aria sopraggiunge puntualmente la banda del Gitano a creare scompiglio e portarsi dietro l'immancabile corteo di poliziotti.

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Pare evidente che la verosimiglianza non è il punto di forza dello Zingaro: le coincidenze sfortunate e le accidentali intersezioni dei percorsi del Gitano e di Kuq sfidano ogni legge della probabilità, facendo dell'uno l'ignara ombra dell'altro. Il fatto è che a José Giovanni lo scrupolo della plausibilità narrativa non importa minimamente: il romanziere, sceneggiatore e regista di origine corsa è da sempre interessato alla dimensione della parabola, della guerra del singolo contro l'ingiustizia (sia che essa si incarni nelle forze dell'ordine o in quelle del destino). E nella fattispecie l'irriducibile marginalità del protagonista è amplificata dalla triste sorte dei nomadi, disprezzati dai cittadini, costretti a trasferirsi in grandi caseggiati e rinunciare alla libertà di abitare all'aperto.

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Nonostante abbia collaborato con Jean-Pierre Melville all'adattamento del suo secondo romanzo Le Deuxième Souffle, la sensibilità di José Giovanni è davvero agli antipodi rispetto a quella del patron di Rue Jenner: se Melville evita accuratamente ogni sentimentalismo e ogni concessione alla retorica, Giovanni si abbandona al patetismo e al vittimismo con sfacciata impudenza. Ed è proprio questo gioco basso a farne il cantore di una malavita disperatamente morale, dei truands puri, di un milieu capace di surclassare in giustizia, riconoscenza e coraggio la meschinità dei tutori della legge. Osservazione personale: dei cinque film di Giovanni che ho visto (gli altri quattro sono Ultimo domicilio conosciuto, Il clan dei marsigliesi, Due contro la città e Il figlio del gangster), Lo zingaro è senza dubbio il più spettacolare e struggente (anche grazie alle strepitose sequenze d'azione e alla prova di Annie Girardot nel ruolo della combattiva Ninie). Una pellicola impetuosa e irriconciliata: di un'innocenza selvaggia.

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#85 corey

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Inviato 30 maggio 2010 - 12:20

Un crime (2006) di Manuel Pradal con Harvey Keitel, Emmanuelle Béart, Norman Reedus, Joe Grifasi, Lily Rabe, Kim Director, Brian Tarantina, Patrick Collins, Chuck Cooper, Clem Cheung

Trama tratta da www.film.tv.it.
Tornando a casa dal lavoro, Vincent Harris trova la moglie stesa sul pavimento, assassinata. Unico indizio che lo ossessiona è un taxi dalla portiera scassata che ha incrociato subito prima di rientrare. Tre anni dopo, trasferitosi a Brooklyn, continua a cercare il killer della moglie. Perseguitato dai suoi fantasmi, Vincent respinge le avances di Alice, la vicina di casa, innamorata di lui, disposta a tutto pur di fargli dimenticare l'assassinio della moglie.

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Cosceneggiato dal romanziere di origine italiana Tonino Benacquista (di cui ho letto soltanto il pregevole La commedia dei perdenti) e girato a New York tra Brooklyn e Chinatown, Un crime è il terzo lungometraggio di Manuel Pradal, cineasta inclassificabile già autore del turbolento e affascinante Marie della Baia degli Angeli (1997).

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Realizzato con un cast e una troupe internazionali (Emmanuelle Béart, Harvey Keitel e Norman Reedus; il costumista di James Gray, la scenografa di Ang Lee, l'ingegnere giapponese del suono di Jane Campion e il greco Yorgos Arvanitis alla fotografia), http://Un crime appartiene meno al genere polar che all'universo autoriale del trentottenne Pradal (classe 1968): il nesso tra amour fou e morte, il carattere artificioso della trama e le atmosfere quasi astratte non sono troppo dissimili, anche se molto meno esasperate, da quelle del film del 1997.

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L'apporto di Benacquista è probabilmente ravvisabile nella costruzione di una linea narrativa forte in grado di resistere alle divagazioni visive di Pradal, che predilige una regia incentrata sulle suggestioni ambientali (le corse dei cani sulla spiaggia del Riis Park nel Queens, i bassifondi di Brooklyn, i sinistri locali di Chinatown) e sulle tensioni erotiche (gli sguardi desideranti di Keitel per la Béart e di quest'ultima per Reedus). Ne scaturisce un film sensibilmente irrisolto, diviso tra una trama da thriller ossessivo e una traiettoria da pellicola autoriale: progressione drammatica e sospensione visiva stridono violentemente, dando a questo intrigo passionale un retrogusto a tratti aspramente sgradevole, a tratti perversamente inebriante. Resta il fatto che con Un crime Pradal si conferma un cineasta apolide e letteralmente inafferrabile.

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#86 Çorkan

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Inviato 01 luglio 2010 - 23:31

Vado a recuperare questo topic addirittura da pagina 2 perchè o "elaborato" (diciamo digerito) la visione di Grisbi.
Ne avevo parlato nel topic  "Il film  che ho visto..." facendo un'osservazione su la subordinazione, nel film, dei rapporti umani agli oggetti materiali. Ovviamente con riferimento soprattutto ai 51 milioni di franchi in lingotti d'oro al centro della trama.
Lì per lì quell'osservazione mi era parsa centrata male.
Quello che intendevo sottolineare però è come l'oro (e il piano di Max per recuperalo) venga usato, nella bellissima parte finale quasi come un sottotesto al film stesso ( e attenzione che qui c'è SPOILER)
Infatti,mentre  agli oppositori di Max sembra che lui faccia tutto per recuperare l'amico, egli ha in realtà un piano "segreto" con cui spera di riprendersi anche l'oro. Il messaggio è chiaro: Ok l'amicizia, ma quello che mi interessa davvero è recuperare l'oro. Un'azione che è in un certo senso essa stessa un sottotesto (poichè si nasconde sotto un altra), comunica dunque un sottotesto a livello di significati, di morale del film. E il film, per questo, è un capolavoro.
Inoltre quasi il piano dei significati avesse un suo proprio svolgimento parallelo e coeso con quello fattuale, questa svalutazione, visione negativa dei rapporti umani trova compimento nella scena finale in cui Max rifiuta di recarsi in visita all'amico morto per rimanere in compagnia dell'ennesima ragazza....


Inoltre notavo come durante tutto il film c'è comunque una forte attenzione ai possedimenti materiali e che essi sono mostrati quasi come una serie di matrioske: Max ha un appartamento, dentro il quale (nel garage) c'è una machina stupenda, dentro la quale stanno i lingotti d'oro....
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#87 corey

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Inviato 12 maggio 2011 - 13:08

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strepitosa serie televisiva diretta da olivier marchal (primi quattro episodi) e frédéric schoendoerffer (gli altri quattro) e trasmessa da Canal+ dal 12 ottobre al 2 novembre 2009. semplicemente l'universo del neopolar secondo i due massimi esponenti del genere. cast da svenimento.

qui (http://www.blogtivvu...2-maggio-su-fx/) si dice che verrà mandata in onda tutti i giovedì alle 21,55 su FX.

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#88 Auguste

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Inviato 13 maggio 2011 - 08:33

Quanto ai polar mi sa che son messo davvero maluccio!  asd
Di Melville ho visto soltanto tre film, ma che film: "Le Deuxième souffle", "Le silence de la Mer"(che non è un polar però!)e il capolavoro "Le Samouraï", che è uno dei miei film preferiti in assoluto e probabilmente  il film più rarefatto e di classe che abbia mai visto(ma su questo film ci sarebbe tanto da dire).
Di Melville cerco da tempo la versione integrale sottotitolato de "Le cercle rouge", ma sembra davvero introvabile, almeno nelle sue 2 ore e mezza totali!

Quanto al resto devo ammettere la mia totale ignoranza: mi mancano film come "Rififi", "Grisbi", "Asfalto che scotta" e "Il bandito della Casbah", anche se presto rimedierò.
Ma nessuno ha ancora citato "Série Noire"("Il fascino del delitto")?

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#89 corey

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Inviato 13 maggio 2011 - 11:10

Ma nessuno ha ancora citato "Série Noire"("Il fascino del delitto")?


Certo che sì, tre anni fa in un altro topic dedicato al noir  ;)

Il fascino del delitto (Série noire, 1979) di Alain Corneau, con Patrick Dewaere, Myriam Boyer, Marie Trintignant, Bernard Blier, Andreas Katsulas

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Venditore porta a porta di prodotti domestici, Frank Poupart (Dewaere) vive di espedienti e piccole scorrettezze, fregando indistintamente datore di lavoro, il laido Staplin (Blier), e clienti allocchi, il suonato Tikides (Katsulas). Durante uno dei suoi giri nella periferia parigina, Poupart si imbatte nella casa di una vecchia taccagna che sfrutta la fragilità mentale della nipote Maria (Trintignant), facendola andare a letto con chiunque possa offrirle qualcosa di vantaggioso. Ma, anziché approfittarsi della situazione, Poupart offre il suo aiuto alla giovane disorientata, che qualche giorno dopo si presenta a casa sua proponendogli un colpo: sgraffignare tutti i risparmi della vecchia e fuggire insieme.

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Tratto dal romanzo di Jim Thompson A Hell of a Woman comparso nella Série noire (?ditions Gallimard) col titolo Des cliques et des cloaques, Il fascino del delitto è uno dei noir più maledettamente belli e grotteschi che abbia mai visto. Corneau, forte dell'esperienza micidiale di Police Python 357, dirige un film semplicemente perfetto, indovinando giusta distanza dagli attori, tempi drammatici e commistione di toni sarcastici, psicologici e violenti. Ne esce un noir fenomenale, lineare come la traiettoria di un proiettile, vertiginoso come una giostra impazzita e mercuriale come il suo protagonista: l'inarrivabile Patrick Dewaere. Impulsivo, nevrotico, imprevedibile, Frank Poupart riceve dall'interpretazione di Dewaere sfumature indicibili, continue vibrazioni caratteriali che lo rendono qualcosa di irripetibile. Per tutto il film sembra fuggire intimidito da nemici invisibili, ma quando è il momento di affrontare i reali avversari le sue reazioni si fanno così lucide e sornione da sfociare nel sarcasmo e nella sfacciataggine autoaccusatoria. La classica figura dell'antieroe thompsoniano apparentemente bistrattato ma segretamente manipolatorio (si veda Colpo di spugna) si carica qui di un'inquietudine e di una vena di follia che entrano in risonanza con l'ambientazione alienante del film, letteralmente fatta di non-luoghi (aree urbane in costruzione, villette fatiscenti, misere topaie, squallidi uffici, guardiole, strade deserte). Proiezione urbanistica della degradazione dilagante: il noir è morale.

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E' forse il "neonoir" perfetto: formalmente smorzato ma non sciatto (abbondano le inquadrature lunghe e le composizioni che mettono in relazione prossemica personaggio e spazio), narrativamente elementare ma non semplicistico (i comportamenti dei personaggi sono tutti di una doppiezza angosciosa), psicologicamente sottile ma non cervellotico (mai vista al cinema una relazione così squisitamente dostoevskiana come quella che si crea tra Poupart e il suo datore di lavoro, il fetidissimo Staplin a cui Bernard Blier conferisce tonalità placidamente ripugnanti). Il tutto attraversato da una corrente di umorismo nevrotico semplicemente irresistibile: Poupart si muove come una marionetta festante nel cuore di tenebra della tragedia, dispensando gesti e parole di impensabile tenerezza nella ferocia dell'omicidio. Su tutto una colonna sonora prevalentemente diegetica, proveniente da onnipresenti apparecchi radiofonici che diffondono on air un controcanto ironico e surreale alla spirale distruttiva innescata da Poupart. E, se non bastasse, la solita dirompenza visiva (tratto distintivo dei noir di Corneau) nella rappresentazione iperrealistica della violenza. Un valzer ghignante sull'orlo dell'inferno quotidiano che entra di prepotenza tra i miei film preferiti in assoluto. Voto: 10


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#90 Auguste

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Inviato 13 maggio 2011 - 12:26

Ahi, mi sa che sono in "leggero" ritardo!  :D
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#91 bluetrain

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Inviato 18 giugno 2011 - 12:52

Aspetta di vedere Pelle di spia prima di dare la palma di peggior titolo della serie al Coltello sotto la gola: il film di Max Pécas è di una bruttezza imbattibile, fa quasi tenerezza da quanto è sciatto.


Avendo completamente dimenticato il tuo saggio commento, ho visto Pelle di spia l'altra sera. Tremendo. Va bene l'intrattenimento puro, ma bisogna essere capaci a farlo. Pessima fotografia, con effetti di nuit américaine che fanno semplicemente pena e goffi tentativi di replicare il classico chiaroscuro del noir americano degli anni ‘40 (un film in bianco e nero con la fotografia sballata è come un giorno senza sole) e una sceneggiatura approssimativa e priva di nerbo. Per non parlare delle scene di lotta, dove le scazzottate sono così inverosimili (e prive di autoironia) da far sembrare quelle di Bud Spencer spezzoni di documentario. Unico pregio: dura poco.
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#92 corey

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Inviato 28 giugno 2011 - 13:02

:lol:
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#93 bluetrain

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Inviato 04 dicembre 2011 - 14:18

Per la pelle di un poliziotto (Alain Delon, 1981)
Mah. Film "deloncentrico", in cui il nostro si occupa di tutto: sceneggiatura, regia e interpretazione. Con tanto di dedica finale a Melville. Si fa guardare, ma non funziona proprio tutto alla perfezione. Il classico sei e mezzo.
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#94 nicholas_angel

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Inviato 04 dicembre 2011 - 15:05

Olivier Marchal non ha toppato neanche questa volta. D'altronde quando hai Gerard Lanvin e Tcheky Karyo, amici per la pelle-criminiali protagonisti è difficile sbagliare.
"Les Lyonnais", uscito adesso nelle sale francesi è una sorta di Romanzo criminale francese, solo meglio.
Certi paesaggi sono un po' sbrigativi e forse Marchal non avrebbe del tutto sbagliato se per la storia avesse realizzato due film alla Nemico pubblico n.1.
Però non ci si puo' lamentare troppo.
Le scene d'azione (soprattutto nella prima mezz'ora) sono una bomba e sembra proprio che Marchal voglia fare il Michael Mann transalpino.
Ruolo che gli starebbe a pennello
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#95 Dudley

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Inviato 19 aprile 2012 - 21:36

Visto "Le professionel" (a.k.a. "Joss il professionista") di Georges Lautner, 1981 ... forse non proprio un "noir", quanto un film d'azione con il buon Jean-Paul Belmondo ... però insomma ad essere sinceri niente di che ... ok, un paio di buone trovate a livello di sceneggiatura, un buon inseguimento in auto per le vie di parigi, colonna sonora (datata) di Morricone, ma anche tante scene e tanti dialoghi improbabili, scatti di violenza fuori luogo (Belmondo che uccide la poliziotta!), ed un aria tipicamente anni '80 che non sempre riesco a digerire. Tutto sommato, un film piuttosto modesto, per quanto mi riguarda (aaaaaahhhhh, se penso a Belmondo nel glorioso "Le doulos" di Melville ...)
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#96 nicholas_angel

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Inviato 20 aprile 2012 - 22:30

Vedo adesso che il titolo da te citato è la seconda sceneggiatura di un certo Jacques Audiard...
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#97 Nijinsky

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Inviato 24 aprile 2012 - 18:31

avete mica i sottotitoli di Serie Noire? :firuli:
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Siamo vittime di una trovata retorica.


#98 Nijinsky

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Inviato 06 giugno 2012 - 15:11

avete mica i sottotitoli di Serie Noire? :firuli:


urca, mica me li aspettavo sti dialoghi ironici-surreali e situazioni grottesche al limite del fantozziano(d'altra parte è stato scritto da Georges Perec). però è davvero molto bello, sempre in bilico.
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#99 Çorkan

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Inviato 06 giugno 2012 - 16:15


avete mica i sottotitoli di Serie Noire? :firuli:


urca, mica me li aspettavo sti dialoghi ironici-surreali e situazioni grottesche al limite del fantozziano(d'altra parte è stato scritto da Georges Perec). però è davvero molto bello, sempre in bilico.


niji li hai trovati? Io ce l'ho (avevo, visto che da quando mi si è schiantato l'hd non ho più niente) parcheggiato da tempo perchè non litrovo, e "il francese non lo intendo"
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Dekalog 5

#100 Nijinsky

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Inviato 06 giugno 2012 - 17:13

no l'ho scaricato in italiano e via(da emule).
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