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Genere Noir


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329 replies to this topic

#101 corey

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Inviato 25 novembre 2008 - 14:32

La sto facendo, sono tutti noir/polar francesi. Le edizioni melvilliane ( "Le jene del quarto potere", "Notte sulla città", "I senza nome" e "Frank Costello") gridano vendetta, le sconsiglio vivamente. Discorso diverso per gli altri titoli, molti dei quali davvero pregevoli.
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i periti hanno dimostrato che non vi è alcuna certezza.

#102 William Blake

    Titolista ufficiale

  • Redattore OndaCinema
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Inviato 25 novembre 2008 - 14:36

ma è già iniziata?
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Ho un aspetto tremendo, e non bado a vestirmi bene o a essere attraente, perché non voglio che mi capiti di piacere a qualcuno. Minimizzo le mie qualità e metto in risalto i miei difetti. Eppure c'è lo stesso qualcuno a cui interesso: ne faccio tesoro e mi chiedo: "Che cosa avrò sbagliato?"

#103 corey

    mainstream Star

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Inviato 25 novembre 2008 - 14:39

E' quasi finita (mi deve arrivare solo l'ultima mandata), ma sul sito hobby & work trovi il modo di ordinarla.
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i periti hanno dimostrato che non vi è alcuna certezza.

#104 bluetrain

    Fourth rule is: eat kosher salamis

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Inviato 25 novembre 2008 - 14:46

La sto facendo, sono tutti noir/polar francesi. Le edizioni melvilliane ( "Le jene del quarto potere", "Notte sulla città", "I senza nome" e "Frank Costello") gridano vendetta, le sconsiglio vivamente. Discorso diverso per gli altri titoli, molti dei quali davvero pregevoli.


Cos'hanno che non va i film di Melville*? Qualità audio e/o video? Assenza della lingua originale? Problemi col doppiaggio?

* A parte la traduzione del titolo di Le samourai, che non è certo colpa dell'edizione in dvd...  asd  :'(
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#105 bluetrain

    Fourth rule is: eat kosher salamis

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Inviato 25 novembre 2008 - 14:48

ma è già iniziata?


Sta ripartendo ora in edicola dalla settimana prossima penso.
Io ho già prenotato quasi tutte le uscite, salvo ovviamente i film che ho già.
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#106 corey

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Inviato 25 novembre 2008 - 14:52

Sempre in ambito polar, segnalo la mia recensione del recente adattamento di Alain Corneau del celebre romanzo Le deuxième souffle di José Giovanni.
Pur essendo un film sbilanciato e assai patinato, ha un suo perché sia nella poetica di Corneau che nell'impronta visiva (che a mio avviso ricalca quella delle bandes dessinées). Ma siccome ha un'impronta iperspettacolare (cast di lusso, nonostante la Bellucci) e romanticheggiante (tipica di Corneau), è stato bistrattato un po' da chiunque. Su tutto pesa il malinteso senso di lesa maestà nei confronti di Melville. In realtà il film di Corneau non ha nulla a che fare con quello melvilliano (da cui prende vistosamente le distanze), ma è un altro adattamento del libro uscito nel '58 nella Série Noire Gallimard.

http://www.spietati....eme_souffle.htm
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#107 corey

    mainstream Star

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Inviato 25 novembre 2008 - 15:03


La sto facendo, sono tutti noir/polar francesi. Le edizioni melvilliane ( "Le jene del quarto potere", "Notte sulla città", "I senza nome" e "Frank Costello") gridano vendetta, le sconsiglio vivamente. Discorso diverso per gli altri titoli, molti dei quali davvero pregevoli.


Cos'hanno che non va i film di Melville*? Qualità audio e/o video? Assenza della lingua originale? Problemi col doppiaggio?

* A parte la traduzione del titolo di Le samourai, che non è certo colpa dell'edizione in dvd...  asd  :'(


- Frank Costello: versione italiana (quindi con aggiunte musicali arbitrarie e deliranti) e qualità visiva inaggettivabile.

- I senza nome: versione tagliata di 30', soltanto traccia in italiano e qualità visiva mediocre.

- Le jene del quarto potere: solo in italiano e pessima qualità visiva (è un torbone nero, ho visto la pellicola originale a Torino ed è semplicemente un altro film).

- Notte sulla città: traccia audio esclusivamente in italiano e qualità visiva scadente.
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#108 corey

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Inviato 25 novembre 2008 - 17:35

Un ange (2001) di Miguel Courtois con Richard Berry, Elsa Zylberstein Pascal Greggory, Bernard Le Coq, Vincent Martinez, Virginie Lanoue

Marsiglia, una mattina. Léa Pastore (Elsa Zylberstein) esce dal carcere: ad attenderla c'è il fratello Samy (Vincent Martinez) che la porta prima a fare un giro sulla spiaggia e poi al liceo dove loro padre è professore di disegno. I due sono pedinati da una macchina di poliziotti in borghese: Pascal Olmetti (Bernard Le Coq) e David Koskas (Richard Berry), quest'ultimo costretto a portarsi dietro il figlioletto di nove mesi perché la babysitter ha avuto un contrattempo. Durante il pedinamento i flic si accorgono che Samy è armato: quando questi entra spedito nel liceo, Koskas teme il peggio lanciandosi all'inseguimento del giovane e lasciando il collega in macchina ad occuparsi del bambino. Sventuratamente l'inseguimento degenera in scontro a fuoco: Koskas è più lesto ad estrarre e Samy ci rimette le penne. Dopo essersi disperata sul corpo del fratello morente, l'inconsolabile Léa si appropria della macchina dei due poliziotti (lasciata incustodita da Pascal che nel frattempo era accorso in difesa del collega) sequestrando il piccolo Paul...

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Polar con cruente venature tragiche, "Un ange" è il terzo lungometraggio di Miguel Courtois, ex professore di filosofia e fotografo di moda. Classe 1960, il cineasta di origine spagnola ha ambientato questa tragedia contemporanea a Marsiglia per darle respiro mediterraneo e sapore archetipico, immergendola spazialmente e cromaticamente in atmosfere solenni e rosseggianti che amplificano, oggettivandola visivamente, la componente drammatica e lirica della materia narrata. La città non è solo cornice esornativa o contenitore intercambiabile, ma vero e proprio teatro dell'azione di due personaggi (il poliziotto-padre Koskas e la fuorilegge-sorella Léa) inconfondibilmente e dolorosamente segnati dal destino.

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Per Léa (una Zylberstein tostissima) rapire il figlio di un poliziotto non significa soltanto possedere una moneta di scambio per conoscere l'identità dello sbirro che le ha fatto fuori il fratello (lei non ha assistito al duello nel corridoio della scuola e quindi non sa che è stato proprio il padre del bambino sequestrato ad essere la persona che sta cercando per vendicarsi), ma anche innescare una dinamica familiare tanto perversa quanto pericolosa: il suo ex compagno Zach (un Pascal Greggory dalle movenze rettili) è difatti un potente trafficante di droga che non appena vede il bambino si arroga il ruolo di padre putativo, desiderando costruire su questa paternità imposta il radioso futuro del suo impero malavitoso.

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Per Koskas (un ammaccatissimo Berry) l'involontaria uccisione del giovane pedinato non significa soltanto fredda esecuzione professionale (il flic ha sparato per legittima difesa mentre Samy gli puntava l'arma contro), ma anche essere incastrato in un meccanismo criminale che lo sovrasta ed espelle: il suo superiore ed ex amico Deruelle (Nicolas Silberg) è difatti un poliziotto corrotto che protegge e incentiva gli affari di Zach, coprendone i traffici e partecipando alle sue riunioni di famiglia. Koskas viene radiato dal corpo e ricercato da polizia e criminali, spalleggiato esclusivamente dall'imbelle collega Olmetti (Le Coq) che non è assolutamente in grado di aiutarlo o sostenerlo.

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Per mettere in scena questa tragedia mediterranea a tinte fosche, Courtois si rifà ai modelli americani (Coppola e De Palma su tutti), stilizzandola visivamente con ralenti insistiti, plateali montaggi alternati (il riferimento filmico ovviamente è "Il padrino), soggettive marcatissime e sparatorie furibonde (lo showdown finale con tanto di cadaveri in piscina è puro "Scarface"). Ma se l'intento epico è forte e chiaro, tutta questa profusione di virtuosismi cinematografici sfocia apertamente in maniera, impedendo al film di comunicare il senso tragico tanto ostinatamente ricercato. I personaggi vengono schiacciati da un impianto visivo ipertrofico che li annulla drammaticamente, riducendoli a semplici funzioni e negando loro qualsiasi profondità narrativa: la veemenza dell'esposizione li svuota progressivamente, lasciandoli in balia di una stilizzazione estetizzante che passa al di sopra delle loro teste e dei nostri cuori. E se l'ambientazione suggestiva e avvolgente può addirittura ricordare la Marsiglia di Izzo, di "Un ange" (il titolo allude al ruolo reciproco di angelo custode ricoperto da Léa e Samy) resta soltanto la fugace impressione di un'illusione ottica.

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#109 corey

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Inviato 03 dicembre 2008 - 17:12

Gangsters (2002) di Olivier Marchal con Richard Anconina, Anne Parillaud, François Levantal, Gérald Laroche

In seguito a una rapina di diamanti degenerata in carneficina, una squadra di polizia fa irruzione in un appartamento parigino, prelevando con la forza Franck Chaïevski e la compagna Nina Delgado. Tratti nel commissariato del 18° arrondissement in stato di fermo, i due vengono sottoposti ad un brutale interrogatorio nel corso del quale emergono particolari che coinvolgono alcuni poliziotti dell'anticrimine...

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Primo capitolo della trilogia sulla "solitudine, la disperazione e l'erranza" di Olivier Marchal (gli altri due saranno "36, Quai des Orfèvres" del 2004 e "MR 73" del 2008), "Gangsters" è un ruvido polar in cui l'ex flic della Brigata criminale di Versailles attinge alla sua esperienza professionale travasandola nelle regole cinematografiche del genere. Appassionato fin dalla tenera età di letteratura pulp e cinema poliziesco, Marchal non solo si rivela capace di mettere in forma di racconto l'esperienza vissuta evitando il realismo ingenuo, ma mostra la ferma intenzione di imprimere al genere una torsione critica, impiegando i cliché narrativi (gli appostamenti, gli interrogatori, gli infiltrati) per descrivere dall'interno le crepe e la vulnerabilità dell'istituzione poliziesca.

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Smarcandosi nettamente dalla prassi estetizzante degli anni '80, dal verismo programmatico degli anni '90 e dalle contaminazioni thriller dei primi anni 2000, l'esattezza descrittiva di "Gangsters" non si traduce in coreografie balistiche, in dinamismo ipercinetico o in fedeltà procedurale, ma si cala in forme drammaturgiche: a dettare i tempi sono le sfumature caratteriali e i risvolti psicologici che trapelano dal copione. Marchal crea uno spartito filmico modulato dai dialoghi (confezionati facendo tesoro delle espressioni assorbite durante gli anni passati in polizia) e impreziosito dalle allusioni e dalle insinuazioni che caratterizzano gli scambi verbali, costantemente carichi di ambiguità e doppi sensi. Pur senza rinunciare ad una solida progressione drammatica garantita dall'unità di spazio e di tempo (lo stato di fermo nel commissariato, costellato da calibrati flashback), "Gangsters" gioca le sue carte migliori nella sfaccettatura delle psicologie e nella progressiva rivelazione di aspetti segreti che costringono a rileggere quanto accaduto, dando ai personaggi volume e profondità.

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La messa in scena di Marchal, levigata dalla fotografia compatta di Matthieu Poirot-Delpech, è al tempo stesso aspra e sensibile: sinuosamente spigolosa nelle sequenze action (la sparatoria iniziale nella discoteca di Place Pigalle lega fluidi movimenti della steadycam a frammentazioni improvvise) e sornionamente radiografa nelle scene dialogate (i piani medi e i primi piani, talvolta potenziati da lenti avvicinamenti della camera, sono le inquadrature prevalenti). E nonostante uno stile non esente da qualche rigidità, l'ex flic Marchal al suo primo lungometraggio cinematografico fa già capire di che pasta è fatto il suo cinema: centrato sugli uomini, immune agli orpelli esornativi e geneticamente affine alla composta complessità dei classici. Non poteva mancare un omaggio a Jean-Pierre Melville, anzi due: il cognome del flic interpretato da Gérald Laroche (Jansen, lo stesso del tiratore scelto ex poliziotto interpretato da Yves Montand ne "Le cercle rouge") e la sfuriata autolesionistica di Richard Anconina nel commissariato (che ricalca quella, in una situazione analoga, di Lino Ventura ne "Le deuxième souffle").
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#110 corey

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Inviato 07 dicembre 2008 - 18:12

T-Men contro i fuorilegge (1947) di Anthony Mann con Dennis O'Keefe, Mary Meade, Alfred Ryder, Wally Ford, June Lockhart

Per sgominare una banda di falsari che opera a Los Angeles, i funzionari del Dipartimento del Tesoro scelgono due uomini abili a sostenere il ruolo di infiltrati e li inviano a Detroit. Qui i due "Treasure-Men" dovranno introdursi nel giro della contraffazione di alcolici e, fattasi una reputazione, raggiungere il vertice dell'organizzazione a Los Angeles per smantellarla completamente. La scelta cade sugli agenti Dennis O'Brien (che assume la falsa identità di Vannie Harrigan) e  Tony Gerald (alias Tony Galvanti).

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Poliziesco autoritario e repressivo confezionato con l'aiuto del Dipartimento del Tesoro statunitense, "T-Men contro i fuorilegge" trae il massimo profitto dall'esemplarità della missione illustrata (due agenti "undercover" disposti a tutto pur di portare a termine il loro dovere) per concentrarsi sul vigore e sulla perentorietà della messa in scena. Sulla base di una sceneggiatura che non dà adito a sfumature o ambiguità (i gangster sono banditi senza scrupoli, gli agenti eroi senza macchia, il crimine non paga), Anthony Mann e il direttore della fotografia John Alton possono sbizzarrirsi in temerarie composizioni visive e acrobatiche soluzioni di illuminazione.

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Intensificata da una decisa impronta semidocumentaristica, l'aggressività figurativa di "T-Men" si nutre sia della cruda autenticità delle location (numerose le sequenze girate per le strade di Detroit e soprattutto Los Angeles) sia del polso registico di Mann, che, magnificamente assecondato dall'estro luministico di Alton, piazza sistematicamente la macchina da presa negli angoli di massima tensione compositiva, prediligendo le riprese dal basso o le inquadrature spezzate da oggetti d'intralcio. Ne deriva una costante impressione di "immersione nell'underworld" e minaccia incombente sempre sul punto di tradursi in improvvise esplosioni di violenza (cosa che del resto si verifica in numerose occasioni).

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Ma oltre al virtuosismo fotografico di Alton e alla regia obliqua di Mann, il valore aggiunto di "T-Men contro i fuorilegge" è rappresentato dal ritmo nervoso e sferzante creato da un montaggio che, specialmente nei frangenti più concitati, scompone lo spazio secondo prospettive deformanti e traiettorie spiazzanti (esemplari in questo senso la prima e l'ultima sequenza). E' forte il sospetto che questa frammentazione grafica debba più di qualcosa ai codici iconici del fumetto. Impossibile non menzionare, infine, un paio di aspetti unanimemente riconosciuti come punti di forza del film: il consumarsi degli episodi violenti sotto gli occhi di un testimone, che funge così da catalizzatore drammatico, e la brutale fisicità nella resa delle percosse e delle esecuzioni sommarie, esemplificata da un tremendo colpo a mani aperte vibrato ad entrambe le orecchie di Tony e dalla "liquidazione" dell'incisore, letteralmente cotto a vapore in un bagno turco.

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#111 satyajit

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Inviato 08 dicembre 2008 - 00:37

Poliziesco autoritario e repressivo confezionato con l'aiuto del Dipartimento del Tesoro statunitense, "T-Men contro i fuorilegge" trae il massimo profitto dall'esemplarità della missione illustrata (due agenti "undercover" disposti a tutto pur di portare a termine il loro dovere) per concentrarsi sul vigore e sulla perentorietà della messa in scena. Sulla base di una sceneggiatura che non dà adito a sfumature o ambiguità (i gangster sono banditi senza scrupoli, gli agenti eroi senza macchia, il crimine non paga)


Si sarebbe potuto fare diversamente, nel l947?
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#112 corey

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Inviato 08 dicembre 2008 - 08:59

Domanda molto pertinente, soprattutto perché non confonde descrizione e giudizio. Grazie.
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#113 satyajit

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Inviato 08 dicembre 2008 - 10:02

E la risposta? Non era una domanda retorica: mi riferivo alla frase sulla sceneggiatura. Chiaro che il codice di autocensura imponesse quelle scelte, mi domandavo se sarebbe stato possible in qualche modo aggirarlo. Conosco abbastanza poco il noir e non ho visto questo film: chiedevo solo un opinione sulle scelte degli autori (adesione convinta ai quei valori o inevitebile adeguamento?) e magari qualche esempio in senso opposto, riguardante altri film.
Tutto qua.
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#114 corey

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Inviato 08 dicembre 2008 - 10:45

E la risposta? Non era una domanda retorica: mi riferivo alla frase sulla sceneggiatura. Chiaro che il codice di autocensura imponesse quelle scelte, mi domandavo se sarebbe stato possible in qualche modo aggirarlo. Conosco abbastanza poco il noir e non ho visto questo film: chiedevo solo un opinione sulle scelte degli autori (adesione convinta ai quei valori o inevitebile adeguamento?) e magari qualche esempio in senso opposto, riguardante altri film.
Tutto qua.


Ok, scusa avevo interpretato la tua domanda in chiave sarcastica.

Entrando nel merito, il discorso è abbastanza complesso. In questo caso ci troviamo di fronte a un film sostanzialmente supervisionato dal Dipartimento del Tesoro, sicché attendersi qualcosa di diverso sarebbe assurdo. Ciononostante alcuni critici la pensano diversamente, ravvisando nella scelta di mettere in scena degli agenti infiltrati un elemento intrinseco di ambiguità e messa in crisi dell'integrità istituzionale (Venturelli e Mereghetti sono di quest'avviso).

Io invece credo che il film viva proprio sulla dissonanza tra una sceneggiatura di didascalica moralità (gli agenti si addobbano di sacrifici e rinunce per stroncare la banda di falsari) e una messa in scena che amplifica la terribilità della missione insinuando una sottile fascinazione per il mondo oscuro e labirintico descritto (e questa discrasia tra esemplarità del messaggio ufficiale e "sporcatura" cinematografica è ciò che sottrae il film alla dimensione del pistolotto moraleggiante).

Quanto a esempi meno programmatici dal punto di vista della sceneggiatura, a mio avviso "Vertigine" (1944) di Preminger (che racconta la vicenda di un ruvido tenente della polizia che si innamora di una donna apparentemente morta, condividendo così lo stesso oggetto del desiderio dell'omicida a cui dà la caccia), "Un angelo è caduto" (1945) sempre di Preminger (in cui un poliziotto maltratta un sospettato che sa essere innocente) e "L'ombra del passato" (1944) di Edward Dmytryk, (in cui dei poliziotti torchiano un Marlowe bendato alla sua prima apparizione cinematografica, testimoniando direttamente la loro sostanziale incomprensione di quanto è successo e indirettamente la loro incapacità di fare luce sulla vicenda senza l'aiuto di un detective privato) offrono ritratti polizieschi assai meno rassicuranti e manichei.

Ovviamente mi sono limitato a citare film usciti nello stesso periodo di "T-Men" (1947): andando avanti di qualche anno la figura del poliziotto si incanaglisce ulteriormente, fino a sfociare nella brutalità del "rogue cop" ("Il grande caldo", 1953, di Fritz Lang).
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#115 satyajit

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Inviato 08 dicembre 2008 - 10:59

Thanks!  ;)
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#116 corey

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Inviato 08 dicembre 2008 - 20:41

Il commissadro (Les ripoux, 1984) di Claude Zidi con Philippe Noiret, Thierry Lhermitte, Regine, Grace De Capitani

L'ispettore René Boisrond (Philippe Noiret) in forza al commissariato del 18° arrondissement di Parigi è un poliziotto scafato e pragmatico che sfrutta le conoscenze del quartiere per godere di piccoli privilegi e connivenze redditizie. La sua routine di flic "ripou" ("pourri" in verlan, "corrotto") col vizio delle scommesse ai cavalli è però scombussolata dall'affiancamento di un nuovo partner: François Lesbuche (Thierry Lhermitte), ispettore di fresca nomina proveniente dalla provincia e tanto zelante quanto inflessibile. Boisrond fa di tutto per "educarlo" al mestiere di poliziotto di quartiere, ma Lesbuche oppone strenua resistenza, finché non casca tra le braccia dell'apparentemente indifesa Natasha (Grace De Capitani), in realtà una call-girl istruita alla bisogna da Boisrond e dalla sua compagna Simone (Regine), prostituta sul viale del tramonto...

[img]http://images.google.it/url?q=http://monsu.desiderio.free.fr/curiosites/ripoux.jpg.jpe&usg=AFQjCNEcWbk6heTGinXIYtnWol9B6LxAyQ[/img]

Tradotto con un titolo italiano letteralmente irricevibile, "Les ripoux" è un film fondamentale nella storia del polar d'Oltralpe. In bilico tra commedia e poliziesco (con la prima a dominare tre quarti di film), la pellicola di Claude Zidi introduce per la prima volta una nuova modalità di descrizione dei flic: non più agenti dell'ordine integrati nell'istituzione poliziesca come nella tradizione classica ("Le cercle rouge") o eroi solitari che conducono una crociata personale contro il crimine come nella rappresentazione degli anni '70 ("Police Python 357"), ma individui totalmente immersi nell'ambiente della microcriminalità quotidiana che intrattengono relazioni soltanto formali con i superiori e sono costretti a reinterpretare il loro mestiere secondo principi pragmatici incompatibili col rigore paludato della legalità.

[img]http://s194184636.onlinehome.fr/cinema/local/cache-vignettes/L433xH279/18878371jpg-cc18-8ce6f.jpg[/img]

Per realizzare questa commedia di "nuovo costume poliziesco" Claude Zidi, avvalendosi della consulenza alla sceneggiatura del vero poliziotto Simon Michaël, crea una situazione di conflitto totale (di idee, atteggiamenti, indumenti) tra due personaggi agli antipodi: da una parte la vecchia volpe Boisrond (Noiret in un ruolo fatto apposta per lui) e dall'altra l'inesperto e performativo Lesbuche (un Lhermitte diligentemente in parte). L'assurda comicità della questione risiede nella cocciutaggine con la quale il giovane ispettore pretende di sgobbare (e far rigare dritto anche il collega) in una realtà dominata dal disordine e dall'indolenza quotidiana: ovviamente il tempo e il progetto ragionevolmente diseducativo del vecchio Boisrond riusciranno a "pourrir" ("guastare") l'allievo, che in materia di opportunismo supererà addirittura il maestro.

[img]http://s194184636.onlinehome.fr/cinema/local/cache-vignettes/L434xH319/18878372jpg-70ca-61703.jpg[/img]

Messa in scena ultrabasica: nessun orpello registico (quando scattano preziosi movimenti di macchina l'intento è sempre parodistico), smorzata aderenza ai luoghi e agli ambienti (il 18° arrondissement, quello di Pigalle e Montmartre, non ha niente di cartolinesco o affascinante), fotografia ostentatamente trasandata (le scene notturne hanno una loro gloriosa sciattezza) e montaggio noncurante di sgrammaticature e discontinuità. Naturalmente il film non sarebbe lo stesso se al posto di Noiret ci fosse qualsiasi altro attore: sempre un gradino sotto la caricatura e un gradino sopra il mimetismo, la sua interpretazione è sornionamente perfetta. "Les ripoux" si è aggiudicato due premi César (Miglior Film e Miglior Regista) nel 1985 ed ha avuto ben due sequel firmati dallo stesso Zidi: "Ripoux contre ripoux" (1990) e "Ripoux 3" (2004), raggruppati in Francia sotto l'etichetta "La Saga Les ripoux".

[img]http://www.linternaute.com/sortir/cinema/film/dossier/les-buddy-movies/images/les-ripoux.jpg[/img]
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#117 corey

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Inviato 12 dicembre 2008 - 08:37

Cose belle.

Titoli di coda di "Truands" (2007) di Frédéric Schoendoerffer

Marianne Faithfull - A lean and hungry look

http://www.youtube.c...h?v=bEYFVbi3iis


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#118 corey

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Inviato 06 gennaio 2009 - 10:37

Segnalo la recensione del dvd di un sottostimato noir di Preminger, UN ANGELO E' CADUTO (the fallen angel, 1945).

http://www.spietati....lo_e_caduto.htm

Dvd qualitativamente eccellente arricchito da una esemplare (come al solito) analisi di Vieri Razzini che centra perfettamente il significato del film.

Buona lettura e soprattutto buona visione
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#119 bluetrain

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Inviato 10 gennaio 2009 - 13:20

Questa notte ho visto I diabolici (Les diaboliques, 1955) di Henri-Georges Clouzot, semplicemente uno dei noir più belli e perfetti in cui mi sia imbattuto.

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Una sceneggiatura quasi matematica nella sua perfezione (tanto che all'epoca incantò pure Sua Maestà Alfred Hitchcock), sembra il manuale del thriller perfetto, con tanto di parvenza di elementi soprannaturali, smentiti poi in realtà dal dipanarsi della narrazione, che rivela invece come le più infernali delle situazioni siano tremendamente legate all'essenza dell'uomo.
Non aggiungo altro, se non una nota di colore: mia madre mi raccontò che all'epoca dell'uscita italiana del film (che ebbe notevole successo al botteghino), fece grande scandalo e scalpore la scena della vasca bagno... altri tempi.

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#120 tiresia

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Inviato 19 febbraio 2009 - 08:57

The big Clock, Il tempo si è fermato 1946 J. Farrow

Il tempo è la pietra angolare del film, un gigantesco orologio sovrasta il grattacielo del Tycoon, il tempo segmenta la vita dei giornalisti/investigatori della pubblicazione di cui Milland è il capo, il tempo è quello rubato alla famiglia per il lavoro, il tempo è l??ossessione di Janoth, orologi, puntualità, anticipo, il tempo è il simbolo di quella modernità negli affari, nella vita privata e pubblica che la nazione sta assumendo: sapere tutto prima degli altri, tagliare i tempi nelle comunicazioni, nelle informazioni, in tutto (metafore brillante e molto attuale, siamo nel periodo in cui la velocità deve essere alta, in cui il web annulla le distanze e i tempi morti della comunicazione, in cui la produzione è just in time, l??orologio biologico che governa l??uomo accelera artificialmente, ma tutto è nato lì, nella rivoluzione moderna degli anni ??40). E mi sembra che uno dei quadri della pittrice raffiguri un orologio reinterpretato.

Ed ecco che Janoth compie un omicidio, con una meridiana! Ecco che l??uomo moderno che anela alla precisione e all??anestetizzante vita scandita scientificamente ritorna animale, travolto dalla passione.

Il meccanismo dello svelamento del colpevole è ancora tutto giocato sul tempo, quanto tempo rimane a che la trappola che Milland è costretto a tendere attorno a sé si chiuda inesorabilmente? E il tempo diventa spazio, il grattacielo si fa claustrofobicamente piccolo, stretto, ossessivo, le vie di fuga si eliminano con il chiudersi compulsivo delle porte, fino a che Milland arriva al motore del tempo, metaforicamente, , l??orologio che è un occhio quasi onnisciente sulle vite di tutti e per caso si blocca. Il tempo si ferma e  tutto deve essere risincronizzato. Milland riesce a fermare l??avanzare della tragedia su di sé, ma lo fa senza volerlo, rompe il giocattolo, ma inconsapevolmente, non è neanche adesso padrone del tempo, è piuttosto il caso che sottolinea viepiù il suo dominio.

Ma il film ha altre sfumature: sul potere dei media (quarto potere?), la piccola sociologica analisi della famiglia che si crepa sotto le pressioni del nuovo stile di vita imposto dal nuovo mercato del lavoro, il lavoro accelera e si mangia la famiglia, la sfumatura della perversione sessuale, janoth è un tipo particolare, particolare è il legame che ha con il suo fido braccio destro (ma siamo negli anni 40 e qui il film si ferma), c??è una perversione alla base della sua relazione con la modella, o meglio una impotenza, la sua ossessione sul lavoro e sulla vita sociale è il riflesso della sua impotenza sessuale.

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#121 tiresia

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Inviato 19 febbraio 2009 - 10:32

Rivisto anche Io sono innocente 1938 Lang.

Il primo quarto d??ora,, è bellissimo, costruito in maniera chirurgica, il fruttivendolo mette in campo la morale del film, o meglio la morale di Lang, lo fa nello studio di un difensore d??ufficio, l??ufficiale preposto a difendere l??umile e a ristabilire l??equilibrio della giustizia appunto, ma lì si compie l??ennesimo ??furto? ; la scena nel carcere in poche inquadrature ti dice il passato, il presente e il futuro del protagonista .
Fonda è bravissimo, c??è una lunga sequenza con un suo primo piano, in cui esprime amore, paura, ira, frustrazione, tutto solo con il viso, bravo.
C??è una scena con una gabbia al centro di una stanza Fonda dentro, la guardia che lo sorveglia, le ombre che i allungano centripete, un vettore di fuga contrastato dalla claustrofobia dell??inquadratura. Ora, sono sicura che Demme non l??ha presa da qui, ma a ritroso è puro Il silenzio degli innocenti.
Noto anche qui l??rrazionalità della folla, la piccolezza dell??uomo medio, mai innocente, colui che provvede ad aiutare la giustizia per incarcerare un colpevole è colpevole anch??egli (sì, c??è molto umorismo).
La scena finale ha fatto da apripista a decine di film .
La giustizia che fallisce, il sistema che fa di un bambino sensibile un carcerato, la sfiducia nel compito rieducativo e rinseritivo degli istituti di pena, il singolo impotente, tutto pienamente presente. E molta cattiveria, vedere anche la scena di Fonda di fronte al datore di lavoro e l??inquadratura dall??alto in pieno viso di questi (in Lang spesso le inquadrature preannunciano ciò che accadrà), il dialogo è surrealmente realistico, il piccolo mondo chiuso famigliare di uno che non comunica con il piccolo mondo famigliare dell??altro, nessuna solidarietà, non c??è mai solidarietà in questo film.

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#122 Guest_telegram_*

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Inviato 19 febbraio 2009 - 11:26

Rivisto anche Io sono innocente 1938 Lang.

Capolavoro. Va beh che io su Lang non sono molto lucido, però capolavoro, davvero...
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#123 Guest_eustache_*

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Inviato 19 febbraio 2009 - 13:20

The big Clock, Il tempo si è fermato 1946 J. Farrow




capolavoro
uno dei primi noir di ambientazione giornalistica. un vero cult.
sul filone citerei "quando la città dorme", "l'alibi era perfetto" entrambi di Lang e "L'ultima minaccia" Richard Brooks con il grande Bogart
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#124 tiresia

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Inviato 19 febbraio 2009 - 13:40


The big Clock, Il tempo si è fermato 1946 J. Farrow




capolavoro
uno dei primi noir di ambientazione giornalistica. un vero cult.
sul filone citerei "quando la città dorme", "l'alibi era perfetto" entrambi di Lang e "L'ultima minaccia" Richard Brooks con il grande Bogart


Sono d'accordo, ma questo film è misconosciuto ai più. Io l'adoro e lo vedo e lo rivedo all'infinito. Secondo me in Mr Hula Hoop i Coen ne fanno una precisa citazione (molto banale il remake volendo)
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#125 corey

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Inviato 23 febbraio 2009 - 22:29

Il coltello sotto la gola (1955)

Immagine inserita   

* Director: Jacques Séverac
* Script: Jacques Séverac, André Tabet
* Photo: Jean Isnard
* Music: André Theurer
* Cast: Jean Servais, Jean Chevrier, Madeleine Robinson, Michèle Cordoue


Marsiglia. Al chirurgo Hourtin (Jean Servais) rapiscono il figlioletto. E' stato il Cinese, bandito appena espulso dalla gang del Maltese (Jean Chevrier) per aver macchiato di sangue una rapina in banca. Per recuperare il figlio senza coinvolgere la polizia (condizione posta dal rapitore per restituire il bambino incolume), Hourtin si rivolge proprio al Maltese, a cui tempo prima aveva salvato la vita estraendo un proiettile dalla pancia (in un'operazione clandestina a cui il chirurgo si era prestato tanto malvolentieri quanto disinteressatamente).

Insipido polar non troppo distante per atmosfere (ambientazione urbana) e protagonista (Servais) a Rififi, uscito nello stesso anno. Ma Jacques Séverac non è certo Jules Dassin e la messa in scena tradisce una staticità e una macchinosità irriscattabili da qualsiasi miracolo cinematografico. La sceneggiatura tratteggia i gangster come una confraternita di benefattori che non esitano a punire la testa calda (il Cinese), cacciandolo dalla banda e devolvendo la sua parte di bottino alla famiglia della donna che costui ha così crudelmente ucciso. Il capobanda poi si fa in quattro (e si becca un altro po' di piombo in corpo) per mostrarsi riconoscente col chirurgo, risultare degno agli occhi della propria donna e liberare il bimbo rapito con sprezzo del pericolo. Persino la polizia, sornionamente rappresentata dal vecchio commissario Lussac (Yves Deniaud), chiude un occhio affinché i buoni sentimenti trionfino indisturbati. Il coltello sotto la gola ovvero il pernicioso imborghesimento del genere. Unico particolare degno di nota: l'ambientazione a Marsiglia, che qua e là fa capolino portuale senza determinare un fico secco.
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i periti hanno dimostrato che non vi è alcuna certezza.

#126 tiresia

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Inviato 24 febbraio 2009 - 10:03

Vertigine 1944 Preminger


Valdo/Webb è impotente, un dandy coltissimo, esteta, intellettualmente superiore, ma impotente. La sua fascinazione per Laura è folle e totale: le consente di avere amanti che possano soddisfare la sua sessualità, ma non le permette di avere un interesse, un amore per alcuno di questi maschi, qualcosa di spirutuale che in effetti poi lo potrebbe escludere, la possiede, o meglio vorrebbe possederla, in maniera diversa, ma non meno totalizzante. E' pur vero che il tema per il 1944 è spinoso, non solo si vedono un uomo mantenuto (V. Price giovanissimo) molle e debole, un uomo maschio e sensuale (Andrews), ma sicuramente intellettualmente attratto da Valdo (e ammetto che la tensione fra i due sia particolare, ma diciamo che sono due metà di un uomo unico), un individuo impotente (Webb)
.
Vertigine è un film fuori da ogni convenzione, 1944 c' è una donna al centro di tutto, ma vista con occhi maschili, una donna che lavora, che fa sesso fuori dal matrimonio e in maniera molto disinvolta relegando l'uomo quasi ad oggetto, che la sua emancipazione se l'è fatta attraverso il lavoro ed è la ricetta che poi suggerisce a Price.
E' il primo film in cui è un morto che racconta (prima di Sunset boulevard), in cui l'inizio è folgorante con quella straordinaria carralleta, è necessaria la copia originale, perchè la versione italiana è tagliata in molti punti, tra cui l'incontro Valdo/ Laura, in cui sonno, sogno e immaginazione confondono le acque: Laura appare ben oltre la metà del film, ma viene evocata dai racconti di Valdo e dalla imponenza del ritratto in maniera decisamente diversa da come è poi in realtà. Tra oggettività e percezione c'è sempre una enorme differenza: Laura sembra essere una donna mantide, che ammalia chiunque (e la cameriera? c'è del morboso nel suo rapporto con la padrona) e non per nulla si uccide il suo doppio, si uccide l'idea di lei, ma alla fine la sua normalità seppur decisamente sensuale ne sconfigge il ricordo.. E d'altronde lei non si innamora fisicamente di uomini molto maschi per poi tornare a soddisfare il suo lato intelletuale con Valdo? Il tempo non è mai ben preciso, ma tutto il film si ancora all'immagine di un orologio che appunto regola il tempo, un orologio anch'esso doppio e che nasconde un segreto.

Molto bello il tema portante, lo scambio di prospettiva narrante fra Valdo e McPherson all'uscita dal ristorante, il ritorno di Laura dopo che Mc Pherson è scivolato nel sonno irretito dal ritratto, la scena finale con Valdo che parla alla radio declamando Dannunzio mentre cerca di cancellare violentemente l'oggetto del suo desiderio inappagabile. Ecco è un film sui desideri e sulle pulsioni inappagate., ma di tutti.

All??inizio l??arma doveva essere nascosta nel bastone, simbolo proprio dell??impotenza.
La scena del bagno (Webb/Andrews) non l??ho mai percepita come erotica, c??è una esposizione del corpo ??inutile? di Valdo, assolutamente innocuo (insomma manca di erezione), la potenza di Valdo è nelle parole, nella personalità, che probabilmente ha coltivato a dismisura per colmare una mancanza, un handicap. Ammetto che c??è una tensione fra i due, ma sinceramente l??avevo sempre percepita come una tensione psicologica della serie: vorrei essere te per avere Lei, ma in effetti mi fanno notare che ci potrebbe essere anche  una  lettura diversa.

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#127 corey

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Inviato 26 febbraio 2009 - 11:21

Sangue alla testa (Le sang à la tête, 1956) di Gilles Grangier, con Jean Gabin, Monique Mélinand, Paul Frankeur, Claude Sylvain, Georgette Anys.

Proprietario della maggiore compagnia di pescherecci del porto di La Rochelle, Francesco Cardinaud (Jean Gabin) è un uomo di umili origini che si è fatto strada con intraprendenza e tenacia e per questo è invidiato e detestato da chiunque. Quando sua moglie Marthe (Monique Mélinand) lo tradisce col debosciato Mimile (José Quaglio), vecchia fiamma appena ritornata dal Gabon, la comunità tutta esulta malignamente, vedendo nella scappatella della moglie un duro colpo al prestigio del coriaceo Cardinaud. Francesco inizia così una ricerca instancabile, dapprima ignaro dell'accaduto ma rendendosi gradualmente conto, complici i pettegolezzi e le frecciatine di cui è oggetto, di essere un cornuto patentato. Scortato nelle perlustrazioni dal rissoso amico Drouin (Paul Frankeur), proprietario di una nave da trasporto col dente avvelenato nei confronti di Mimile, scova finalmente i due amanti clandestini sull'île de Ré (situata di fronte a La Rochelle), ma l'epilogo è assai diverso del previsto...

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Tratto dal romanzo di Georges Simenon Le Fils Cardinaud e adattato dal regista Gilles Grangier insieme al mostro sacro Michel Audiard (anche autore dei dialoghi), Sangue alla testa a ben vedere non è un vero e proprio noir, quanto piuttosto un singolare ibrido tra mélo e detective story senza tuttavia seguire fino in fondo la logica né dell'uno né dell'altra. In realtà - e trattandosi di un adattamento da Simenon non potrebbe essere altrimenti - gli autentici centri d'interesse del film sono altri due: le psicologie e l'ambiente sociale.

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Le personalità dei vari personaggi sono delineate con sottigliezza e incisività, grazie a caratterizzazioni sicure dal punto di vista sentimentale (la moglie di Cardinaud si sente un'estranea a casa sua e vede nella scappatella con Mimil un vitale ritorno alla giovinezza) e sapientemente sfumate nei dialoghi ricchi di sottintesi e arguzia (all'istitutrice dei figli che si fa maliziosamente avanti con Francesco approfittando dell'infedeltà della moglie, Francesco replica: "Vi pago per occuparvi dei miei figli, non per farmene uno"). Lo studio psicologico non si limita però alla definizione statica dei caratteri, lasciando spazio a elaborazioni e ripensamenti che vanno indovinate nei comportamenti e nelle espressioni (in questo Gabin è insuperabile: basta un'occhiata o un cipiglio per farci percepire la ruminazione interiore).

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L'altro fulcro drammatico del film è senz'altro la descrizione del microcosmo di La Rochelle, centro portuale sulla costa atlantica e inequivocabile emblema della realtà provinciale negli anni '50 (dove i contrasti tra le varie classi sociali sono ancora perfettamente leggibili). Cardinaud è il classico homo novus scaltro e implacabile negli affari, ma rigidamente obbediente ai riti borghesi e tollerato a stento dai membri di quella classe agiata che lo ritengono immancabilmente un parvenu. L'abbigliamento illustra perfettamente la sua doppia natura di cittadino ingessato e lavoratore inesorabile: appesantito da un cappotto con le spalle tondeggianti e da un cappello scuro troppo calcato quando indossa l'uniforme borghese, slanciato da un giaccone di pelle nera e da stivali alla coscia quando imperversa nel mercato del pesce.

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Ma se Sangue alla testa coinvolge e convince nei suoi aspetti psicologico-sociali, in quelli squisitamente cinematografici risulta piuttosto deludente e deficitario. La messa in scena del mestierante Gilles Grangier è piuttosto meccanica e un intrigo così carico di astio comunitario avrebbe certamente avuto bisogno di una mano più spregiudicata e feroce (Henri-Georges Clouzot sarebbe stato il regista ideale). Certo, Grangier si tiene alla larga da calligrafismi e prolissità, ciononostante il tentativo di disegnare il contesto ambientale di La Rochelle e dintorni è troppo episodico e intermittente per determinare un'interazione significativa tra spazio e racconto. Da segnalare comunque un uso discreto della profondità di campo (soprattutto negli interni) e qualche squarcio portuale sufficientemente esatto (l'assistente alla regia è Jacques Deray, futuro autore de La piscina, 1969, e Professione: poliziotto, 1983).

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#128 tiresia

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Inviato 26 febbraio 2009 - 11:49

Rivisto La donna del ritratto 1944, Lang , stesso anno di Vertigine, stesso meccanismo di fascinazione, un ritratto al femminile, stessa inacapacità di distinguere tra sogno e realtà, ma l??approccio è completamente diverso dato comunque il corpo femminile come oggetto di tentazione del maschio.
Lang non demorde sulla sua riflessione su pena/diritto/colpa: già nella scelta della specializzazione del professore, nel suo seminario iniziale che da il là sul problema della colpa/crimine, nell??amico investigatore che  è l??incarnazione della legge, del meccanismo neutrale, freddo, razionale e spietato che si dispiega minaccioso sulla vicenda e sui protagonisti, sul caso che interviene, ma non libera il singolo che è strozzato dalla macchina della legge e dalla colpa.
In  la Donna del ritratto c??è, a mio parere, un uso freudiano del sogno: rielaborazione di un desiderio inconscio, con tanto di causa scatenante, il libro ( Il cantico ovviamente che libera la sensualità, ma pensiamo al potere del mezzo in sè e per sè: Dante? Galeotto fu il libro...), tramite le componenti della quotidianità, ossia volti, occasioni della realtà di tutti i giorni. Quindi nelle ultime sequenze si spiega la dimensione onirica del professore, una lettura del sogno a la Freud.
Il meccanismo narrativo è quello de ??Quando la moglie va in vacanza? senza la premeditazione di quel film e la sua allegria (la moglie parte, il marito è libero, si concede delle eccezioni alla regola, si concede di vivere il desiderio, dal che si arguisce che non è mai soddisfatto).
Se il sogno è lo specchio delle pulsioni sessuali del professore, con tanto di stereotipi tipo la prostituta, il bere smodato (diciamo che il professore attraversa il limite socialmente determinato per i vizi), dato tutto ciò che gli succede non  c??è nel film un messaggio castratorio/inibente? Della serie: guarda cosa ti capiterebbe se solo facessi ciò che in fondo desideri....C??è una moralizzante occhiata wasp su Freud, quella interpretazione puritana di Freud per cui -sei malato perchè desideri, quindi non desiderare, e non -sei malato perchè non puoi realizzare i tuoi desideri, quindi libera i tuoi desideri. Gli americani non sanno nulla di psicanalisi, almeno al cinema.....

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#129 corey

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Inviato 27 febbraio 2009 - 10:09

Maigret e il caso Saint Fiacre (Maigret et l'affaire Saint Fiacre, 1959) di Jean Delannoy con Jean Gabin, Michel Auclair, Valentine Tessier

Contattato dalla contessa del castello di Saint-Fiacre a causa di una lettera anonima che le preannuncia la morte imminente, il commissario Maigret si reca nel minuscolo villaggio della Bretagna per scongiurare il pericolo. Ma durante la funzione delle Ceneri, proprio come le era stato annunciato, la contessa, già debole di cuore, schiatta per arresto cardiaco. Maigret era in chiesa a pochi metri da lei quando la contessa è spirata, ma, nonostante le apparenze di una fatalità, il corpulento commissario è convinto trattarsi di assassinio. Qualcuno a conoscenza della fragilità cardiaca della contessa le deve aver procurato uno choc emotivo letale. Come è stato possibile? Chi è il colpevole?

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Premesso che detesto il Maigret cinematografico e le sue insinuanti sottigliezze psicologiche, questo film del 1959 girato con irreprensibile mestiere da Jean Delannoy e interpretato con altrettanta sicurezza da Gabin ha cercato di farmi cambiare idea, senza peraltro riuscirvi. Ben confezionato, ben recitato e ben fotografato, ma che piattezza vedere un film il cui unico interesse risiede in un'indagine tanto sorniona quanto infallibile (indagine che per giunta si risolve con deplorevole sbrigatività). Tra non molto me ne dovrò sorbire un altro (Maigret e i gangsters, 1964, di Gilles Grangier): l'idea mi spaventa non poco...

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#130 verdoux

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Inviato 27 febbraio 2009 - 10:41

voglio vedere se quando ci sarà la classifica noir, ci sarà qualcuno che sgarra dal genere asd!
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#131 corey

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Inviato 27 febbraio 2009 - 11:02

Dacci lumi, verde.
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#132 verdoux

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Inviato 27 febbraio 2009 - 12:14

Dacci lumi, verde.


non ho mai nascosto la mia simpatia per Altman, quindi il lungo addio su tutti; poi casco d'oro, tutte le ore feriscono l'ultima uccide, la donna del bandito, rapina a mano armata;

poi ci devo pensare, ma è un genere che mi piace molto, soprattutto quando vira verso l'humour nero; per esempio intrigo a Stoccolma, non sarà granchè, ma mi ha sempre divertito moltissimo;
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#133 signora di una certa età

    old signorona

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Inviato 03 marzo 2009 - 11:43

Fancia incontra America = Tavernier/Jim Thompson

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In realtà secondo me John Lurie non aveva tante cose da dire... ma molto belle


#134 corey

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Inviato 03 marzo 2009 - 12:16

Fancia incontra America = Tavernier/Jim Thompson

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Accostamento notevole ;)

Trama. Lucien Cordier è il capo della polizia di Bourkassa, minuscolo centro (1275 abitanti) dell??Africa Occidentale Francese. Deriso e umiliato dai magnaccia del paese, si reca in treno dal collega Chavasson per chiedergli un consiglio su come risolvere la faccenda. Consiglio che segue tremendamente alla lettera?

Inizio a guardare Colpo di spugna e non ci capisco un cazzo. Non riesco a capire se è un bel film, una schifezza, uno sferzante pamphlet girato in punta di cinepresa o una vaccata di rara nefandezza. Non è finita: non riesco neanche ad afferrare la posizione morale di Tavernier nei confronti del suo protagonista. Ci si mettono pure le strampalatissime musiche di Philippe Sarde e i destabilizzanti movimenti della steadycam da 30 kg. indossata da Pierre-William Glenn a confondermi le idee. Risultato: un film che più va avanti e più mi disorienta. Inizio a esultare scompostamente. E mi accorgo che la spirale di follia in cui è precipitato Lucien Cordier (Philippe Noiret, l????attore biografico? di Tavernier) è la stessa in cui sono precipitato anch??io senza avvedermene (e nonostante abbia letto il romanzo di Jim Thompson da cui il film è tratto). Come diavolo è riuscito a spiazzarmi tanto questo film? Non soltanto per i suddetti motivi, suppongo, o per le stralunate interpretazioni di un cast d??eccezione (cfr. scheda tecnica) che gioca fuori casa e fuori ruolo (Noiret ad esempio era spaventato da quanto fosse lontano da lui il personaggio che doveva interpretare); non soltanto per l??ambientazione decisamente straniante (l??Africa Occidentale Francese del 1938) o per il taglio ferocemente politico dell??intreccio (quanto razzismo e quanta intolleranza gronda dalle situazioni e dai dialoghi!), ma anche, e forse soprattutto, per un??idea di messa in scena di una semplicità micidiale. Man mano che la vicenda assume toni sempre più grotteschi e deliranti, le inquadrature (fino ad allora sistematicamente occupate da persone intente a fare qualcosa di concreto come mangiare, rassettare, giocare a biliardo, sbucciare un frutto e così via) si svuotano progressivamente di azioni e si riempiono proporzionalmente di persone che dialogano in spazi circoscritti e statici - una stretta veranda, sotto un albero, un piccolo salotto, un??angusta camera da letto ?? nei quali ci si interroga sul senso degli eventi, fino a raggiungere una disperata, volteggiante ammissione: ??Non ha nessuna importanza perché, in ogni caso, sono già morto da tanto tempo?. Ohibò!

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Accuratissima l??edizione Rarovideo di Coup de torchon: copertina con fotogrammi incastonati nel consueto paging rossonero, disco pregevolmente stampigliato e corposo booklet ricco di presentazioni, testimonianze, commenti e stralci critici da leccarsi i baffi. Eccellente la qualità visiva: il lavoro di rigenerazione delle immagini restituisce al meglio le tonalità dolci e i colori pastello della fotografia di Pierre-William Glenn. Lungi dall??infastidire, una leggera patina di polvere vela di tanto in tanto il quadro ammorbidendo ulteriormente le tinte delicate della pellicola. Audio italiano disastroso: rumori d??ambiente irrimediabilmente fottuti e voci appiccicate col mastice sul sonoro di base. Discorso inverso per la traccia originale, vivacizzata da una brillantissima presa diretta. Obbligatoria. Il comparto extra non perdona: l??intervista al direttore della fotografia apre mondi, quella a Giorgio Gosetti irrita e istruisce, il trailer originale fa chiarezza e il confronto tra sceneggiatura e girato nell??incipit del film ci fa spiare rapidamente l??officina di Tavernier. E per i più volenterosi, in traccia rom, ci sono anche meticolose schede biofilmografiche.

Recensione già pubblicata su www.spietati.it (http://www.spietati....o_di_spugna.htm)
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#135 signora di una certa età

    old signorona

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Inviato 06 marzo 2009 - 11:27

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sempre cinema e letteratura.
Il film non era male ( ;D) ma il libro è un capolavoro
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In realtà secondo me John Lurie non aveva tante cose da dire... ma molto belle


#136 corey

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Inviato 07 marzo 2009 - 16:00

Rincorsa (Cavale, 2002) di Lucas Belvaux con Lucas Belvaux, Catherine Frot, Dominique Blanc, Ornella Muti, Gilbert Melki

Bruno (Lucas Belvaux), ultimo membro di Armée Populaire, gruppo eversivo di estrema sinistra fondato quindici anni prima, evade dal carcere e si reca a Grenoble dove intende contattare le vecchie conoscenze per riprendere la lotta armata. Ma tutto è cambiato: nessuno vuole saperne più di politica e le nuove dinamiche del milieu sono dominate dal traffico di droga. Persino Jeanne (Catherine Frot), militante di vecchia data attualmente coniugata e madre di un bambino, si rifiuta di spalleggiare il compagno evaso. Casualmente, aiutando Agnès (Dominique Blanc), una tossica moglie di un poliziotto, Bruno trova una complice che gli fornisce un nascondiglio sicuro e informazioni preziose.

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Secondo capitolo di una trilogia che comprende la commedia Una coppia perfetta e il melodramma Dopo la vita, Rincorsa (traduzione approssimativa di Cavale, "latitanza") è un vero e proprio survival polar. Quella di Bruno è la storia di una feroce, disperatissima solitudine: politica, morale e fisica. Relitto della lotta armata che nei quindici anni di detenzione ha nutrito il progetto rivoluzionario fino a separarlo totalmente dalla realtà, Bruno non è disposto a scendere a patti con il nuovo contesto che si trova di fronte, contesto fatto di individualismo estremo, difesa col coltello tra i denti dei privilegi privati e delazione sistematica.

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Messo con le spalle al muro dall'indifferenza generalizzata, Bruno mente agli altri (racconta fregnacce a Jeanne per coinvolgerla di nuovo nella lotta armata) e a se stesso nel disperato tentativo di non sentirsi drammaticamente, irrecuperabilmente solo ("La vita non vale niente, è quello che ci si fa che vale qualche cosa", sentenzia a Jeanne che gli consiglia saggiamente di salvare la pelle). Ma è solo. L'unica persona che gli dà una mano è Agnès, una tossica coniugata con un ispettore di polizia che fino ad ora le ha procurato regolarmente la roba ma che adesso non la rifornisce più. Bruno la salva da un'overdose e si prende cura di lei, ricevendo in cambio un aiuto che niente a che fare con la politica o con gli ideali, ma si basa sulla convenienza reciproca. Un patto di mutua assistenza tra sbandati, emarginati, rifiuti viventi.

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Appiccicata al corpo mutante di Bruno (per tutto il film non fa che cambiare aspetto e travestimenti), la cinepresa registra scrupolosamente le fasi della sua latitanza senza disdegnare tuttavia misurati allargamenti a episodi collaterali (l'interrogatorio di Jeanne, i suoi tormenti domestici, le contromosse del boss Jaquillat). Col passare dei minuti tuttavia il film abbandona ogni prospettiva alternativa a quella di Bruno per seguire con fenomenologica esattezza la sua parabola dal tenore candidamente suicida. Di grande fascino il commento musicale "mentale" di Riccardo Del Fra, marcato dalle note vibranti del contrabbasso. Visto separatamente dagli altri capitoli della trilogia, Cavale è un polar minimale che cresce inesorabilmente; inserito nel trio concepito da Belvaux, si tramuta nella tessera rosso sangue di un sontuoso e avvolgente mosaico cinematografico.

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#137 Pere Bubu

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Inviato 08 marzo 2009 - 14:25

Farewell, my lovely

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Mi sembra non sia stato citato.
E' vero che l'hard-boiled può essere considerato un genere a sè rispetto al noir, comunque questo è sottovalutato e Mitchum, senza nulla togliere al grande Bogey, secondo me rispecchia meglio il Marlowe di Chandler.
La Rampling poi è "la" dark lady.

[img]http://tbn0.google.com/images?q=tbn:A-tseVl4qOafDM:http://img5.allocine.fr/acmedia/rsz/434/x/x/x/medias/nmedia/18/65/17/51/18835181.jpg[/img]

[img]http://tbn1.google.com/images?q=tbn:A1eRjjZj5tNDeM:http://farm4.static.flickr.com/3119/2701640472_10ca5abbc3.jpg%3Fv%3D0[/img]

La scena dell'interrogatorio col Penthotal è storia del cinema.

[img]http://tbn1.google.com/images?q=tbn:KTiRymDDe9ai5M:http://www.forcesitaly.org/italy/immagini/farewell.jpg[/img]

Angel Heart, meraviglioso miscuglio di Noir e Horror sulfureo, atmosfere malate a gogo. Capolavoro poco considerato. Rourke al suo meglio.
Non per caso, ancora la Rampling.

[img]http://tbn1.google.com/images?q=tbn:e3qJgaFG0OqCVM:http://chasness.files.wordpress.com/2008/11/angel_heart.jpg[/img]

[img]http://tbn1.google.com/images?q=tbn:9VYl4mlAE6WrUM:http://2.bp.blogspot.com/_98zZGlDC3HY/R92BC_i_ecI/AAAAAAAAAYs/wK2EpLgivm4/s400/AngelHeartSoundtrack.JPG[/img]
[img]http://tbn2.google.com/images?q=tbn:ThbWxD-CbfbLpM:http://www.joblo.com/images_arrow_reviews/arrow-angelheart.jpg[/img]

[img]http://tbn2.google.com/images?q=tbn:WMRuYaEYY531IM:http://www.premiere.com/var/ezflow_site/storage/images/list/20-hottest-sex-scenes-of-all-time/12.-angel-heart-1987/44744-1-eng-US/12.-Angel-Heart-1987_imagelarge.jpg[/img]

L'uomo dal braccio d'oro
Beh capolavoro di Preminger. Miglior film di The voice, qui straordinario.

[img]http://tbn1.google.com/images?q=tbn:YnGlqce2VTJUXM:http://dvdtalk.com/dvdsavant/images/2586arm.jpg[/img]

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[img]http://tbn2.google.com/images?q=tbn:YqlubY1a4I9gEM:http://www.filmsquish.com/guts/files/images/The_Man_With_The_Golden_Arm_(1955).jpg[/img]

[img]http://tbn0.google.com/images?q=tbn:ezzoSycX6DJdUM:http://www.doctormacro1.info/Images/Sinatra,%2520Frank/Annex/Annex%2520-%2520Sinatra,%2520Frank%2520(Man%2520With%2520the%2520Golden%2520Arm,%2520The)_01.jpg[/img]
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#138 corey

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Inviato 08 marzo 2009 - 17:02

La ragione del più debole (La raison du plus faible, 2006) di Lucas Belvaux con Eric Caravaca, Lucas Belvaux, Claude Semal, Patrick Descamps, Natacha Régnier

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Liegi. Patrick (Eric Caravaca), Robert (Claude Semal) e Jean-Pierre (Patrick Descamps) sono disoccupati, invalidi del lavoro o operai siderurgici in pensionamento anticipato. Tra partite a carte e cordiali bevute al bar dove si ritrovano tutte le mattine, i tre conducono un'esistenza di basso profilo nei dintorni di un quartiere industriale. Finché il motorino col quale la moglie di Patrick (Natacha Régnier) si reca al lavoro si guasta irreparabilmente: per acquistarne uno nuovo i tre provano prima a giocare al lotto senza successo, poi, approfittando dell'arrivo in zona di Marc (Lucas Belvaux), ex detenuto attualmente impiegato in una fabbrica di birra, progettano una rapina in un'acciaieria. Inizialmente Marc prende parte al piano, ma quando tutto è pronto si tira indietro a causa del coinvolgimento di Patrick nel colpo, lasciando gli inesperti soci a sbrigarsela da soli.

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A quattro anni di distanza dal basico survival polar Rincorsa, il cineasta-attore belga Lucas Belvaux torna a cavalcare il genere con sguardo inconfondibilmente politico. Noir sociale se mai ve n'è stato uno, La ragione del più debole trae ispirazione da un fatto veramente accaduto a Liegi, di cui Belvaux ha conservato il plateale epilogo stravolgendone le dinamiche e sostituendo ai truands professionisti della realtà un piccolo gruppo di prepensionati e disoccupati di mezza età. L'arrivo al bar "Lacrima Cristi" dell'ex detenuto Marc (Belvaux) accende la miccia ai sogni di riscossa del vecchio Robert (Semal), che, sentendosi defraudato dal trattamento riservatogli dalla fabbrica, intende rivalersi rapinando la cassaforte dell'acciaieria. Robert illustra il suo piano a Marc, che sulle prime tenta di dissuaderlo mettendolo di fronte ai rischi a cui andranno incontro, ma poi, convinto dalla determinazione del vecchio operaio, si lascia coinvolgere. Ex rapinatore di banche in libertà vigilata, Marc deve recarsi a firmare ogni giorno al commissariato di polizia e sgobba al reparto di imbottigliamento in uno stabilimento di birra, dove i ritmi di lavoro somigliano maledettamente a quelli de La classe operaia va in paradiso.

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Per lui non si tratta di rivalsa o sogno di gloria criminale, ma di una sofferta ricaduta nell'illegalità che è disposto a fronteggiare solo se tutti sono consapevoli dei pericoli e delle eventuali ricadute che il fallimento del colpo potrebbe comportare. Una leggerezza di Robert, che si lascia scappare una parola di troppo mettendo Patrick al corrente del piano, lo obbliga a chiamarsi fuori, salvo interessarsi in extremis all'andamento del colpo. Debolezza fatale che gli assicura il ruolo di capro espiatorio: pur non avendo partecipato direttamente alla rapina, è lui ad addossarsi tutte le colpe ed è lui che le forze dell'ordine perseguono con micidiale accanimento. Diversamente da Rincorsa, in cui il protagonista rappresentava la mina vagante di un passato ideologizzato in un presente indifferente alla militanza politica, ne La ragione del più debole la componente ideologica è superata e risolta in un'ottica di polverizzazione sociale: alla lotta di classe fuori tempo massimo è subentrata la risposta apparentemente meno irragionevole e anacronistica, ma sostanzialmente altrettanto velleitaria e sterile, di tre soggetti socialmente emarginati (uno è sulla sedia a rotelle, l'altro è un prepensionato col vizio della birra, l'altro ancora un disoccupato cronico).

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L'impresa degli improvvisati criminali segna insomma il punto di non ritorno di un'insoddisfazione sociale non più in grado di pensarsi in scala politica e condannata alla mera sopravvivenza o alla controproducente rappresaglia personale. Su tutto Liegi, grigia e gigantesca fucina di sfruttamento e intossicante rassegnazione: Belvaux la filma nelle sue torri di cemento e nelle sue nervature d'acciaio, assegnando allo sguardo una qualità fredda e disumanizzante. Spesso la macchina da presa panoramica orizzontalmente sul mostruoso profilo della città, carrella sferragliante sulle gru dei depositi e sorvola poliziescamente agglomerati urbani di mortale desolazione: plumbeo e alienante ritratto di una realtà che non fa sconti a nessuno, meno che mai ai deboli. Di enorme suggestione le musiche Riccardo Del Fra, scandite da martellanti sonorità industriali. Presentato in competizione al cinquantanovesimo Festival di Cannes La ragione del più debole è un polar sociale di lapidaria, inconcussa bellezza. Maestoso.

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#139 corey

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Inviato 11 marzo 2009 - 10:43

Chi ha ucciso Bella Shermann? (La mort de Belle, 1961) di Edouard Molinaro con Jean Desailly, Alexandra Stewart, Monique Mélinand, Jacques Monod, Marc Cassot, Yves Robert

Bella Shermann, giovane e desiderabile studentessa americana che frequenta l'Università di Ginevra, viene assassinata nella dimora della famiglia che la ospita. Nell'abitazione dei coniugi Blanchon la notte dell'assassinio c'era soltanto Stéphane (Jean Desailly), professore di storia rimasto a casa per correggere i compiti dei suoi alunni e finire un lavoro al tornio. I sospetti ricadono immediatamente su di lui: ma è stato davvero il pacioso professore a uccidere la ragazza? E, soprattutto, Bella Shermann era quella ragazza candida e innocente che i coniugi Blanchon credevano?

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Dal romanzo del 1952 di Georges Simenon "La mort de Belle", Edouard Molinaro estrae un piccolo gioiello noir dai riflessi ossessivi e soffocanti, una perla nera avvolta nell'atmosfera opprimente della malignità borghese ginevrina dei primi anni '60. Classe 1928, Molinaro, divenuto successivamente celebre per le commedie con Louis de Funès e soprattutto per il film Il vizietto (1978), qui mostra di saper gestire con encomiabile padronanza spazi, tempi e dinamiche psicologiche di una vicenda dai toni sottilmente allucinatori. La parabola dell'uomo inoffensivo e ordinario che, messo con le spalle al muro da circostanze sfavorevoli, sprofonda in un incubo persecutorio ha un che di kafkiano ovviamente, ma Molinaro evita con cura le soluzioni visionarie o barocche, giocando invece sul lento ma inesorabile accumulo di elementi angoscianti e "civilmente" perturbanti.

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Sguardi sospettosi, insinuazioni velenose, diffidenza strisciante: intorno al placido professore di storia del Collegio di Ginevra si stringe la morsa dell'incriminazione collettiva, istigata dal perbenismo borghese e cementata dal più becero conformismo. Situazione già vista e rivista (basti pensare a Il corvo, 1943, di Henri-Georges Clouzot), ma che Molinaro, interpretando perfettamente lo spirito simenoniano, utilizza non tanto per creare una tensione fine a se stessa quanto per scardinare l'intimità dei personaggi principali: Bella (Alexandra Stewart) e specialmente Stéphane (Jean Desailly). Lungi dall'essere quella creatura candida e immacolata che i coniugi Blanchot credono, la giovane studentessa americana è una ragazza maliziosamente annoiata e già esperta nell'arte della seduzione e il quieto professore di storia un individuo insoddisfatto della propria vita incolore e schiacciato dalla personalità trasgressiva del padre (un libertino che ha dissipato i beni familiari per poi suicidarsi prima di diventare vecchio).

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Sono proprio le incrinature dei ritratti ufficiali a rendere questi due personaggi interessanti e profondamente umani. Inevitabile che la storia si premuri di stabilire una relazione tra loro: Bella era segretamente innamorata di Stéphane e lui capisce solo fuori tempo massimo quanto sia stato miope di fronte ai segnali lanciatigli dalla ragazza. L'intreccio criminale altro non è che il pretesto per lo scavo delle psicologie e lo studio d'ambiente: già, perché, pur concentrandosi sui risvolti psicoanalitici, Chi ha ucciso Bella Shermann? non rinuncia affatto alla descrizione del contesto circostante. Molinaro non tratteggia soltanto la giostra di rituali borghesi della comunità (le partite a bridge, le funzioni liturgiche, i convenevoli domestici), ma rappresenta anche la vita urbana nel suo concreto palpitare, dalle conversazioni in riva al lago alle frequentazioni dei locali notturni, passando per l'attività nel collegio e per la flânerie solitaria di Stéphane nella città vecchia.

http://webopac.csbno...e.php?id=418700

Ci sarebbero molti altri aspetti da mettere in evidenza a favore di questo noir ingiustamente misconosciuto - l'uso raffinatissimo della voce over, la distribuzione misurata dei flashback, le musiche gustosamente stranianti di Georges Delerue, la precisione dell'inscatolamento spaziale dei personaggi in casa Blanchon, la trattenutissima carica erotica che attraversa l'intero film, il valore "psichico" di un ubriacone incontrato casualmente da Stéphane nella sua estrema deriva notturna (una "quasi proiezione" della figura paterna), la tensione latente tra svizzeri e francesi - ma purtroppo numerosi meriti della pellicola sono penalizzati dal dvd edito dalla HOBBY & WORK, con la sola versione doppiata, dalla mediocre qualità visiva, dal quadro irrispettoso del formato originale (l'adattamento al format televisivo "mangia" i margini laterali dell'immagine) e funestato da incalcolabili lacune di fotogrammi che tempestano la pellicola, interrompendo spesso e volentieri dialoghi e dinamiche drammatiche. Dommage!
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#140 corey

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Inviato 14 marzo 2009 - 11:04

Polar 2000-2002

Poco conosciuto in Italia ma popolarissimo in Francia, il polar (policier + noir) è un genere con una lunga e gloriosa tradizione: dal seminale "Il bandito della Casbah" ("Pépé le Moko", 1936) di Julien Duvivier ai neopolar "Il fascino del delitto" ("Série Noire", 1979) e "Codice d'onore" ("Le choix des armes", 1981) di Alain Corneau, passando per i classici "Grisbi" ("Touchez pas au grisbi", 1954) di Jacques Becker e "Rififi" ("Du Rififi chex les hommes", 1954) di Jules Dassin, nonché, ovviamente, per i capolavori di Sua Maestà Jean-Pierre Melville. Dai primi anni 2000 (anche prima in realtà) il genere si è prestato a torsioni estetiche, ibridazioni narrative e interpretazioni personali. Ecco i sette titoli imprescindibili per seguirne il tortuoso tracciato cinematografico nel biennio 2000-2002. Tra suggestioni western, innesti thriller, influenze del poliziesco procedurale, declinazioni tragiche, inflessioni autoriali, trasfigurazioni di esperienze sul campo e affresco sociale. Piombo, sangue e uomini a pezzi: sinfonia per pistole e sogni infranti.

1. Furore cieco (2000) di Eric Rochant
Polar intriso di poderose atmosfere alla Carpenter e titolate suggestioni western, evocate dall'ambientazione rurale ed enfatizzate dall'epico soundtrack di Marco Prince. Rocciosamente esaltante: consigliatissimo.

2. Six-Pack (2000) di Alain Berbérian
Maldestro nell'assimilazione degli stilemi del "crime movie" statunitense, "Six-Pack" è importante nella storia recente del genere, rappresentando il primo tentativo del polar di metabolizzare elementi e convenzioni narrative del thriller americano.
 
3. Scènes de crimes (2000) di Frédéric Schoendoerffer
Lungometraggio d'esordio di Frédéric Schoendoerffer, è un polar fortemente influenzato dal poliziesco statunitense. Insieme al precedente (e meno riuscito) "Six-Pack" di Alain Berbérian ibrida atmosfere polar a formule procedurali made in USA.
 
4. Un ange (2001) di Miguel Courtois
Polar con venature tragiche, è il terzo lungometraggio di Miguel Courtois. Il cineasta di origine spagnola ambienta questa tragedia contemporanea a Marsiglia per darle respiro mediterraneo e archetipico, immergendola in atmosfere solenni e rosseggianti.
 
5. Sulle mie labbra (2001) di Jacques Audiard
Polar "sensoriale" splendidamente interpretato da Emmanuelle Devos e Vincent Cassel, è il terzo lungometraggio di Jacques Audiard, già autore dei rimarchevoli "Regarde les hommes tomber" (1994) e "Un héros très discret" (1996). Autoriale.
 
6. Gangsters (2002) di Olivier Marchal
Primo atto della trilogia sulla "solitudine, la disperazione e l'erranza" di Olivier Marchal, "Gangsters" è un ruvido polar in cui l'ex flic della Brigata criminale travasa l'esperienza professionale nelle regole cinematografiche del genere. Vissuto.
 
7.  Rincorsa (2002) di Lucas Belvaux
Secondo capitolo di una trilogia che comprende la commedia "Una coppia perfetta" e il melodramma "Dopo la vita", "Rincorsa" (traduzione approssimativa di "Cavale", "latitanza") è un vero e proprio "survival polar". Al servizio di un affresco sociale.

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#141 signora di una certa età

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Inviato 19 marzo 2009 - 13:11

corey questo signore è amico tuo?

http://www.francesco...ario/index.html

Il solitario di Francesco Campanini
Italia, 2008, 90' - con Luca Magri, Massimo Vanni, Francesco Siciliano, Francesco Barilli
Un colpo da tre miliardi di lire. Una rapina finita nel sangue. Un unico superstite. Braccato dal destino e da spietati gangster. Leo Piazza si ritrova tra le mani una valigia che scotta. Costretto a nascondersi, non gli rimane più tempo: i killer lo vogliono morto per recuperare il bottino, la resa dei conti si avvicina... Antieroe notturno e silenzioso, Piazza si muove come una sorta di zombie, un morto che cammina, nel noir metropolitano che rinvia alle atmosfere del cinema di Jean-Pierre Melville. Remake indipendente di Nel cuore della notte, come l'originale interpretato da Luca Magri nella parte del gangster protagonista, il film è l'opera d'esordio di Francesco Campanini.

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In realtà secondo me John Lurie non aveva tante cose da dire... ma molto belle


#142 corey

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Inviato 19 marzo 2009 - 13:42

magari...  ;)
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#143 corey

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Inviato 21 marzo 2009 - 17:01

Colpo grosso al Casinò (Mélodie en sous-sol, 1963) di Henri Verneuil con Jean Gabin, Alain Delon, Maurice Biraud, Viviane Romance, Carla Marlier

Appena uscito dal carcere, lo stagionato Charles (Jean Gabin) non perde tempo e, procuratasi la mappa del casinò di Cannes, recluta il giovane e fascinoso Francis (Alain Delon), un suo ex compagno di cella, e il di lui cognato Louis (Maurice Biraud), un meccanico al di sopra di ogni sospetto, per realizzare un colpo miliardario: svaligiare la casa da gioco al termine della stagione estiva (quando la cassaforte è bella satolla). Questi i ruoli del team: Francis dovrà disporre di assoluta libertà di movimento nei camerini della sala per gli spettacoli del casinò "Palm Beach", Louis dovrà soltanto guidare la Rolls Royce di Charles e quest'ultimo orchestrerà tempi e movimenti entrando in azione esclusivamente per prelevare le borse piene di contanti dalla cella blindata della sala da gioco.

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Primo polar di grande successo del regista armeno naturalizzato francese Henri Verneuil (il secondo sarà Il clan dei siciliani del 1969), Mélodie en sous-sol, titolo che significa "Melodia nel sottosuolo" inteso come sottobosco malavitoso, è un caper movie made in France modellato sull'esempio americano di Colpo grosso (Ocean's Eleven, 1960) di Lewis Milestone. Il principio è lo stesso: cast prestigioso (Gabin e Delon per la prima volta insieme), ambientazione di lusso (là Las Vegas, qui la Costa Azzurra) e confezione stilosa (morbide panoramiche, carrellate felpate, tagli ricercati delle inquadrature, spruzzate di jazz come commento musicale). A insaporire il copione (si tratta dell'adattamento del romanzo The Big Grab di John Trinian messo a punto dallo scrittore "Série Noire" Albert Simonin) ci pensano i sapidi dialoghi di Michel Audiard (padre di Jacques, regista di Regarde les hommes tomber e Sur mes lèvres), dialoghista di punta del cinema francese di qualità.

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Ma a differenza del modello americano, il cui unico scopo era quello di sedurre lo spettatore con l'edonismo delle interpretazioni e con una messa in scena extra lusso, il film di Verneuil punta maggiormente sul cesello delle psicologie (Charles è uno scafato truand con ambizioni borghesi desideroso di trasferirsi in Australia insieme alla fedele mogliettina, Francis un ladruncolo tanto volgarotto e tentennante quanto sfrontato e intraprendente, mentre Louis un buon diavolo preda di scrupoli morali a scoppio ritardato) e sulla rappresentazione particolareggiata del colpo (gli ultimi quaranta minuti di film sono occupati dalla descrizione quasi fenomenologica della rapina, con un modus operandi non troppo dissimile da quello adottato nel 1955 da Jules Dassin in Rififi). Ovviamente spiccano, nella lunghissima sequenza dell'hold up, le doti atletiche di Delon, felino ed elegante al punto giusto. Corona il tutto un finale limpidamente hustoniano, in cui la vanità degli sforzi conferisce all'impresa una sua gratuita grandiosità: senza ombra di dubbio la sequenza più tesa e incalzante del film.

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#144 Guest_eustache_*

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Inviato 25 marzo 2009 - 15:11

Farewell, my lovely




un altro grande Marlowe è quello della parodia nostalgica di Altman (il lungo addio)

mentre per Sinatra, secondo me, il suo miglior film è Qualcuno verrà. però non è un noir
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#145 corey

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Inviato 01 aprile 2009 - 17:25

Legge 627 (L. 627, 1992) di Bertrand Tavernier con Didier Bezace, Jean-Paul Comart, Charlotte Kady, Jean-Roger Milo

A causa di un litigio con un ottuso superiore che pretende l'immediato rientro di un furgoncino in centrale nel bel mezzo di una lunga e importante operazione, l'investigatore di seconda classe Lucien Marguet, soprannominato "Lulu", è allontanato dalla polizia giudiziaria. Inizialmente assegnato ad un routinario e superfluo lavoro di ufficio, dopo qualche tempo viene aggregato alla brigata stupefacenti, un gruppo di poliziotti decisamente sui generis. Lulu si integra rapidamente e con grande facilità, ma tra scherzi pesanti, abbuffate goliardiche, scalcagnati pedinamenti e appostamenti snervanti la sua fiducia nel mestiere di poliziotto inizia a scricchiolare. Intanto, ridotta ai minimi termini, la sua vita privata va a rotoli.

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Se "Il commissadro" ("Les ripoux", 1984, di Claude Zidi), con la sua rappresentazione corrotta e beffardamente antieroica del mestiere di flic, è il polar più anticonvenzionale degli anni '80, "Legge 627" ("L.627", 1992) è senz'altro il titolo policier più innovativo degli anni '90. Al suo quindicesimo lungometraggio cinematografico, Bertrand Tavernier (classe 1941) decide di sbarazzarsi totalmente degli stereotipi che regolano il genere e, sulla base di un soggetto fornitogli da un vecchio poliziotto (Michel Alexandre, presente in un cameo nella parte di un cuoco), concepisce un film di inaudito realismo e impressionante cronachismo.

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Assenza di un vero e proprio plot narrativo, rifiuto della spettacolarizzazione visiva tipica del poliziesco, riprese sul campo con una steadycam agilissima e assunzione deliberata del punto di vista della brigata stupefacenti come prospettiva univoca: grazie a questi accorgimenti, Tavernier descrive senza esaltazione o indulgenza la lotta contro il traffico di droga a Parigi di un piccolo e variopinto gruppo di agenti costretti non solo a fronteggiare la microcriminalità legata al mondo dello spaccio, ma anche a vivere sulla loro pelle la disorganizzazione, l'inefficienza e l'ipocrisia di un'istituzione che si fa bella con statistiche e riunioni ufficiali, lasciando però i suoi rappresentanti a corto di mezzi per gli appostamenti e di carta carbone per i verbali.

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Fatta piazza pulita dei cliché classici (inseguimenti automobilistici con inquadrature dalla scocca delle macchine, montaggio frenetico e illuminazioni artificiali), "Legge 627" (il titolo si riferisce a un articolo del codice della sanità pubblica che obbliga i poliziotti a far esaminare da un medico i tossicodipendenti in stato di fermo) si concentra sostanzialmente sull'attività della brigata stupefacenti. I delicati rapporti con gli informatori, i lunghi appostamenti nei "sottomarini" (furgoni apparentemente anonimi in dotazione alla brigata) e i pedinamenti coordinati via ricetrasmittente si intrecciano ai rientri in sede, un piccolo prefabbricato alloggiato nel cortile della centrale, tra burle più o meno gradevoli, piccole complicità e un'atmosfera di scazzo generalizzato.

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Ma anche se è il gruppo nel suo insieme ad essere dipinto con dovizia di particolari (ogni poliziotto ha tempo e modo di esprimere la propria personalità, dal ghiotto e sornione Manu al giovane e zelante Vincent, passando per la loquace e intraprendente Marie), l'autentico protagonista del film è Lulu (Didier Bezace), flic trentacinquenne che non si perde d'animo neanche quando è allontanato dalla "police judiciaire" e punito con un incarico alla scrivania di un ufficio periferico. L'aggregazione alla "Brigade des stup'" mette tuttavia a dura prova la fiducia nel suo mestiere, complice l'infatuazione per Cécile (Lara Guirao), una prostituta tossica e sieropositiva con cui ha una relazione esclusivamente platonica. Sistematicamente frustrato dall'inconcludenza delle indagini (non una sola operazione va a buon fine) e incapace di difendere Cécile dalle proprie tendenze autodistruttive, Lulu trascura la vita familiare e sprofonda lentamente in uno stato di insoddisfazione cronica che sfiora l'indifferenza.

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In un'intervista Tavernier ha definito il suo film "la cronaca di una perdita di fede" ed è innegabile che la lenta erosione delle illusioni di Lulu abbia una sua rilevanza (soprattutto perché rappresentata gradualmente e silenziosamente, in assenza di traumi eclatanti), ma ciò che colpisce maggiormente lo spettatore e che lascia un segno indelebile nel polar è senza ombra di dubbio il taglio antispettacolare e radicalmente basico della rappresentazione. Un'impronta cinematografica ruvida e immersiva che non ha mancato di suscitare reazioni violentemente discordanti in seno alle stesse istituzioni: se il Ministro degli Interni ha disapprovato formalmente la visione del mondo poliziesco offerta dal film definendola pessimista, la Federazione autonoma dei sindacati di polizia (FASP, un sindacato minoritario) ha elogiato il film di Tavernier per la fedeltà con cui traccia le difficoltà quotidiane di un'unità parigina. Incomprensibili infine, tenendo conto dell'altissimo scrupolo realista di "L.627", le accuse di razzismo rivolte a Tavernier per aver rappresentato gli spacciatori come prevalentemente neri o nordafricani. Inutile dire che i pregiudizi politicamente corretti a volte fanno più danni della censura ufficiale.

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#146 corey

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Inviato 02 aprile 2009 - 11:41

Polar 1936-1992


Le pietre miliari nella storia del genere dagli anni '30 agli anni '90. Un polar per decennio: "Pépé le Moko" (1936) di Julien Duvivier, "Quai des orfèvres" (1947) di Henri-Georges Clouzot, "Grisbi" (1954) di Jacques Becker, "Le deuxième souffle" (1966) di Jean-Pierre Melville, "Série noire" (1979) di Alain Corneau, "Les ripoux" (1984) di Claude Zidi e "L.627" (1992) di Bertrand Tavernier.
Sette titoli che, in modi estremamente diversi ma ugualmente importanti, hanno segnato in modo indelebile l'immaginario polar, forgiandolo, fissandolo e stravolgendolo. Dal realismo poetico di Duvivier al realismo mimetico di Tavernier, passando per la mitografia del milieu di Becker e l'apologia tragica di Melville. Lirismo e cinismo, sentimenti e tradimenti, nevrosi e spirito di adattamento: sotto i ruoli sociali, l'umanità.

1. Il bandito della Casbah
Dalla Qasba algerina, assemblata con frammenti di Algeri, Marsiglia e location ricostruite in studio, Duvivier traccia le linee guida di un genere che avrà in Gabin e nella mitologia del fallimento due colonne portanti. Seminale.
 
2. Legittima difesa
Capo d'opera di Clouzot e ritratto implacabilmente lucido della Francia del dopoguerra, "Quai des Orfèvres" stabilisce il modello dell'ispettore scettico, mal pagato e disilluso difensore dell'ordine borghese. Nerissimo.

3. Grisbi
"PARIGI 1953 nell'ambiente della mala". Incipit emblematico: il polar di Becker, popolato esclusivamente da truands e interpretato monumentalmente da Gabin, forgia l'iconografia del milieu. Night club e strade immerse in atmosfere malinconiche. Fondativo.
 
4. Tutte le ore feriscono... l'ultima uccide
Dal romanzo di José Giovanni "Le deuxième souffle", "le patron" Melville ricava il polar più complesso, ambiguo e disperatamente tragico dell'intera storia del genere. Definitivo.
 
5. Il fascino del delitto
Dopo Melville non c'è più spazio per la tragedia: il polar si tinge di grottesco. Adattando "A Hell of a Woman" di Jim Thompson, Corneau indovina il neopolar perfetto: protagonista svitato, ambientazione straniante e assurdità dilagante. Surreale.
 
6. Il commissadro
Soltanto un termine in verlan ("ripoux" = "pourri", corrotto) poteva suggerire l'inversione di tendenza compiuta da Claude Zidi. Per l'ispettore Boisrond, interpretato da Noiret, c'è una sola cosa che non può aspettare: l'abbuffata. Anticonvenzionale.
 
7. Legge 627
Tavernier va ancora più in basso di Zidi: camera ad alzo zero, si cala nella lotta quotidiana alla droga della "Brigata stupefacenti" di Parigi. Tra appostamenti, pedinamenti e verbali, "L.627" porta il genere alle soglie della realtà. Documentaristico.

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i periti hanno dimostrato che non vi è alcuna certezza.

#147 corey

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Inviato 20 aprile 2009 - 13:01

La mentale - Il codice (2002) di Manuel Boursinhac con Samuel Le Bihan, Samy Naceri, Clotilde Courau, Marie Guillard

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Quattro anni di carcere sul groppone, Dris (Samuel Le Bihan) ha intenzione di rifarsi una vita: lavora in un magazzino ortofrutticolo e vive tranquillamente nella cité insieme alla premurosa Lise (Marie Guillard), finché il suo storico "associé" Yanis (Samy Naceri) lo va a stanare per coinvolgerlo nuovamente nel giro. Combattuto tra le buone intenzioni e le cattive tentazioni, Dris tentenna di brutto chiedendo alla sua compagna di aiutarlo a stare lontano dai guai. Ma Lise, che scopre di essere incinta, è esasperata dalla volubilità del suo uomo, che nel frattempo ha rincontrato la Nina (Clotilde Courau), vecchia fiamma gitana determinata a tenerselo stretto. Uno sgarro fatto all'anziano boss Feche (Michel Duchaussoy) dà il via a una guerra tra bande che costerà cara a tutti.

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Neopolar ambientato nella banlieue parigina, "La mentale" (il titolo si riferisce alla "mentalità" del codice criminale) è il secondo lungometraggio di Manuel Boursinhac (classe 1954), sceneggiatore e regista attivo sia in campo cinematografico che televisivo. Basato su una sceneggiatura scritta a quattro mani dallo stesso Boursinhac e Bibi Naceri (fratello di Samy e presente nel film in un ruolo secondario), "La mentale" è una pellicola molto più interessante e complessa di quanto possa sembrare. Innanzitutto l'ambientazione: non più il centro di Parigi con i suoi boulevards illuminati o le sue sfavillanti boîtes de nuit, ma l'area della cité, con i suoi casermoni di béton e i suoi sordidi locali.

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In secondo luogo la totale assenza della polizia: proprio come nel polar fondativo "Grisbi" (1954, Jacques Becker), "La mentale" mette in scena le dinamiche criminali dal di dentro, ponendosi ai margini della legge ufficiale e descrivendo internamente le perentorie regole di comportamento del milieu ("Non rompi i coglioni e nessuno ti tocca, rompi il cazzo e ti spezziamo le reni, tradisci e sei morto"). In quest'ottica il film di Boursinhac si configura come il controtipo negativo del film di Becker: se in "Grisbi" la lotta tra la vecchia guardia (Gabin e soci) e i nuovi gangster (Ventura e compagni) era osservata dal punto di vista degli anziani, ne "La mentale" la bagarre è presentata dalla prospettiva della generazione montante.

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In terzo luogo la composizione etnica delle bande rivali: mentre la gang del vecchio Feche è costituita prevalentemente da francesi bianchi, quella di Yanis è all'insegna del meticciato. Yanis e Dris sono beur (giovani magrebini nati o cresciuti in Francia), Niglo (Francis Renaud) è un gitano e Foued (Lucien Jean-Baptiste) un creolo. Lo scontro generazionale si intreccia, arricchendosi, a quello razziale, dando al conflitto criminale nudo e crudo un sostanzioso sottotesto sociale. Nessun manicheismo però: anziché dare l'ultima parola alla formazione etnicamente mista (alla quale vanno inevitabilmente le nostre simpatie), Boursinhac stende sull'intera vicenda una cappa tragica, infarcendo i dialoghi di riferimenti espliciti ad una tracotanza che sfocia in ateismo e condannando tutti i personaggi ad un destino predeterminato. Impossibile non rilevare in questo determinismo tragico l'influenza dei polar di Jean-Pierre Melville.

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La messa in scena, infine: pur non brillando per particolare inventiva o creatività, Boursinhac gira con cartesiana razionalità, padroneggiando esemplarmente spazi e tempi cinematografici. Niente e nessuno potrà togliermi dalla testa la convinzione che il quarantottenne cineasta francese si sia fatto le ossa sui noir di Johnnie To: la disposizione dei punti macchina (sempre distribuiti in modo tale da permettere allo spettatore un orientamento sicuro), i movimenti di camera (dolly imperiosi e avvolgenti, levigate carrellate laterali, panoramiche calibrate al millimetro) e la limpida scorrevolezza del montaggio (mai un'inquadratura fuori posto, mai un virtuosismo esornativo) hanno un inconfondibile sapore hongkonghese. La contaminazione etnica si fa puro meticciato estetico: Hong Kong-Polar-Express.
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#148 Dudley

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Inviato 07 maggio 2009 - 13:27

In ambito "polar", mi pare che nessuno abbia ancora parlato del film "Dernier domicile connu" di José Giovanni, con Lino Ventura.
Qualcuno ha voglia di spendere due parole su questa pellicola?

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#149 corey

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Inviato 07 maggio 2009 - 13:37

Ultimo domicilio conosciuto è il capo d'opera di José Giovanni ed è un film che amo molto, solo che per parlarne decentemente dovrei rivederlo. Trovo abbia dei titoli di testa semplicemente meravigliosi e un'amarezza costante che si mescola spesso e volentieri con quella del personaggio interpretato da Ventura. La Jobert fa da contraltare idealista alla disillusione del commissario Leonetti riuscendo quasi a incrinare la sua corazza disincantata e rassegnata.
Non appena lo rivedo ne parlerò con maggiore cognizione di causa.
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i periti hanno dimostrato che non vi è alcuna certezza.

#150 Dudley

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Inviato 07 maggio 2009 - 13:55

Ultimo domicilio conosciuto è il capo d'opera di José Giovanni ed è un film che amo molto, solo che per parlarne decentemente dovrei rivederlo. Trovo abbia dei titoli di testa semplicemente meravigliosi e un'amarezza costante che si mescola spesso e volentieri con l'amarezza del personaggio interpretato da Ventura. La Jobert fa da contraltare idealista alla disillusione del commissario Leonetti riuscendo quasi a incrinare la sua corazza disincantata e rassegnata.
Non appena lo rivedo ne parlerò con maggiore cognizione di causa.


Grazie!
Nel frattempo chiedo scusa per la mia svista - in effetti il film era menzionato in una delle tue liste sul genere "polar".

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