Forse a tutta una generazione di intellettuali italiani di un certo tipo brucia enormemente il fatto (per me indiscutibile) che il cinema abbia saputo raccontare la società italiana del dopoguerra - i suoi cambiamenti, le sue grandezze e le sue miserie - molto meglio di loro.
Non entro nel merito dell'opinione di Calvino, tua e di Harry sull'argomento, mi limito però a una puntualizzazione sul quotato.
Che mi pare ingeneroso e non del tutto giustificato.
Dallo stesso Calvino (La speculazione edilizia, La giornata di uno scrutatore), a Bianciardi, al Volponi di Memoriale, ovviamente a Pasolini narratore (Ragazzi di vita) - del Pasolini critico e intellettuale nemmeno dico... - al bellissimo I superflui di Arfelli (dal quale dovevano trarre un film! ), al Parise del Prete bello, per dire solo i primi che mi vengono in mente, mi pare che di capacità di raccontare la società italiana del dopoguerra non sia mancata.
Ovviamente spesso meno immediata e palatabile di un film (magari anche "brillante").