Ebbene si' dai, grande film, Mank. Il suo piu' elegante, allusivo e politico. Se Social Network era un film che metteva direttamente in scena l'atmosfera del decennio allora appena concluso, questo e' una parafrasi degli anni del trumpismo ""fingendo"" di parlare di un film degli anni 40 in cui si inchiodava certa roba degli anni 30. La storia di una vendetta etica, di uno scritore "lost" e un po' loser contro gli eterni vincitori coi miliardi e il potere. In questo senso un grande film noir senza il noir, come del resto Quarto potere.
Ma anche una storia di fantasmi della Storia, con i dialoghi zeppi di riferimenti a fatti, nomi e situazioni per lo piu' dimenticati. E ovviamente e' classico cinema sul cinema, con quel mix di amore e disgusto che quasi sempre hanno i film meta.
Bianco e nero da strapparsi gli occhi e cast di stralusso, con Oldman che naturalmente regna da attore "Re", wellesianamente.
Prevedibilmente la parte meno interessante e' quella legata alla polemica tra Mankiewicz e Welles, fortunatamente confinata nei minuti finali, e, proprio nel momento in cui sembra svaccare, nobilitata dalla sfumatura che i personaggi sembrano autoconsapevoli di star recitando una recita dovuta. Comunque resta una polemica stupida: che anche la migliore delle sceneggiatura cinematografica resti materia inerte se non c'e' l'occhio giusto a mettrla in scena lo prova l'esistenza di una caterva di remake di merda di grandi film che pure in teoria raccontano la stessa storia. Toh, altro appunto: un po' opaca e sottomessa la caratterizzazione del fratello Joseph, che insomma diventera' un regista tra i piu' grandi, mentre qui sembra un tizio un po' ingenuo vissuto all'ombra del fratello.