Pacifiction, di Albert Serra (2022)
Il buon Albert Serra, in sala durante la proiezione, ha fatto una bellissima introduzione al film dicendo una cosa tipo: ho una buona e una cattiva notizia per voi, la buona è che dicono che ci sono 45 minuti in questo film che sono un capolavoro, la cattiva è che sono gli ultimi 45 minuti e quindi vi dovete sorbire le 2 ore precedenti!
Sinceramente da Serra non mi aspettavo nemmeno lontanamente la capacità di poter scherzare
E invece è un tipo davvero fenomenale nel raccontare il suo film, molto puntuale e preciso. Avrei voluto fargli una domanda, ma poi non me la son sentita perché sicuramente suonava un po' da stronzi. La questione è, in quella lentezza estenuante cosa ci trova di così interessante?
Perché c'è quel fattore che trovo sempre lievemente stridente nel suo cinema. Perché quella lentezza lì lui la cerca, e pare quasi che stia a provocare lo spettatore (io in realtà credo di essermi addormentato a qualunque suo film, magari anche solo un power nap da qualche minuto, ma con certi film il sonno amplifica la visione). È una provocazione?
Fatto sta che qui il buon Serra fa un film inedito, lavora sul genere girando una specie di noir, o thriller politico (pare incredibile ma è così). Siamo nella Polinesia francese, il protagonista è un diplomatico francese (uno straordinario Benoît Magimel, che ha recitato nel film senza sapere nulla della sceneggiatura, girando ogni giorno con un auricolare in cui Serra gli lanciava delle battute) alle prese con un intrigo legato a dei nuovi esperimenti nucleari. Ci son i francesi, ci son gli americani, il tramonto (quando mai) del colonialismo, e mille intrighi che stanno lì sospesi.
È un film che dimostra la mirabile capacità di Serra e del suo fedele DoP, di creare immagini nuove che riflettono su cose già viste (il suo stile pittorico in film precedenti è sostituito da un uso piuttosto pazzo della color correction, dice Serra che il film è stato girato con la più economica delle Black Magic, riversato in pellicola, corretto, rigirato in digitale e ricorretto, con le saturazioni sparate a mille). E qui si parla perennemente del mondo postcoloniale, di come quelle immagini abbiano creato un mondo attraverso gli occhi dell'occidente (c'era a Berlino questa primavera una bellissima mostra su Gauguin che sondava lo stesso identico tema).
Ma senza caricarlo di altro. Questo è un filmone, imponente e importate. Pesante da matti senza dubbio. Sono tre ore estenuanti. Ma si gode parecchio (la scena di lui in acqua che guarda i surfisti ha un'intensità che supera Michael Mann).
Voto difficile da dare se fosse una cosa seria, siccome non lo è: 8++