Adriano Sofri
"Il presidente della Pontificia Accademia per la vita, mons. Carrasco de Paula, ha deplorato il suicidio della signora Brittany Maynard, precisando: “Non giudichiamo le persone, ma il gesto in sé è da condannare”. Mi sono rigirato fra le mani questa frase, e non ne sono venuto a capo. Mi sembra un equilibristico tentativo di tenere assieme il “non giudicare” – il “chi sono io per giudicare” – e la condanna. Il “gesto in sé” – an sich? – separato dalla persona di cui conclude la vita, è, in parole povere, una sciocchezza. Se la chiesa intende trattare il suicidio alla stregua di un omicidio, e la stessa eutanasia come un omicidio, potrà dire di un omicidio cosiddetto comune che non ne condanna l’autore, ma il gesto in sé? L’eventualità lascia immaginare un inferno pieno di gesti e vuoto di persone, che forse è una bella utopia, più probabilmente un gioco di parole. Io inclino, in modo esitante, a distinguere fra un suicidio comunque motivato – che può addolorarmi e magari spingermi a provare a dissuaderlo, non a trovare obiezioni radicali – e un suicidio di una persona che sa di dover morire presto, penosamente e spogliata della propria intelligenza. A distinguere fra un suicidio e un suicidio assistito, senza possibilità di obiezione radicale ad alcuno dei due, e fra un suicidio e un omicidio, con un’obiezione radicale. La casistica è necessaria, naturalmente: tanto per i manuali dei confessori, quanto per i codici penali. Per le coscienze personali, ogni caso è unico, che vieti la condanna, che la imponga, o che le riconosca delle attenuanti. Provo una simpatia senza riserve per la giovane donna Brittany e per i suoi gesti."
Il giochetto "condanno il gesto non la persona" viene adoperato anche con l'omossesualità, gli omosessuali non sono peccatori, l'omosessualità lo è.