Io dico che ormai è abbastanza palese che l'elemento corruttivo non è legato ad un sistema di governo piuttosto che ad un altro ma al potere in sé: il potere (come possibilità di "abusare" dell'altro, di stargli sopra, di comandarlo, di deciderne i destini) è un fine collettivo, un fine dell'essere arrivati, la volontà di ogni singolo che aspira a dominare sull'altro singolo.
Non esiste una sola organizzazione umana dove il potere non generi i mostri: da sempre noi pensiamo all'esatto opposto, che i disonesti inquinino le istituzioni, invece è il potere in sé che è fonte di disuguaglianza e che rappresenta l'elemento che spacca la società tra chi "può" di più e chi "può" di meno.
Socrate temeva il potere dei molti legandolo al facile prevalere di chi sa ben sobillare gli istinti e le passioni più primitive, Platone aveva un'idea molto simile e se la sarebbe risa alla grande dei nostri discorsi su "conflitto di interessi", "limiti del potere", "contropoteri", "questione morale": tanta era la paura che chi detenesse il potere lo facesse per fini privati che, non solo lo limitava ad una classe sociale estremamente ristretta, selezionata, ed "educata" a fare questo, ma addirittura toglieva loro ogni possibile "fine" privato impedendo loro, fina dalla nascita, di "possedere" qualcosa, di avere qualsivoglia proprietà privata e qualsivoglia legame familiare (i genitori nella classe dei custodi/governanti erano puri riproduttori, non esisteva nemmeno il concetto di famiglia).
Insomma non è che nessuno si sia mai accorto che è il potere che genera il mostro e che la lotta per il potere è una lotta per essere più "potente" dell'altro uomo. E questo avviene ovunque, dalla riunione di condominio, al posto di lavoro, alle grandi istituzioni. E' uno degli istinti più profondi dell'umano: il bisogno di prevalere, di essere riconosciuto, di affermarsi. Il potere ne diventa solo lo strumento istituzionalizzato e socialmente accettato che assorbisce (ed esalta ancora di più) questo istinto.
Il tuo ragionamento è interessante e coglie un aspetto fondamentale, però secondo me rischia di essere anti-storico.
Pensare che il sistema italiano e mondiale debba funzionare in un certo modo perchè è insito nella natura umana secondo me è profondamente sbagliato.
Noi agiamo in un certo modo, più o meno tutti, dal metalmeccanico al grande finanziere, perchè il capitalismo, sistema da noi stessi generato, ci impone di farlo.
Ed il capitalismo, essendo un qualcosa di reale e concreto, è più forte della volontà politica, delle leggi, delle istituzioni. Che anzi, nel momento clou si piegano al suo volere.
Lo stato sociale e la Costituzione sono conquiste importanti e fondamentali, però non hanno modificato le ragioni fondamentali dell'esistenza dell'organizzazione statale intesa come volontà politica e militare. Ricordo un articolo del direttore del Corriere risalente all'intervento in Iraq: davanti alle lamentele di molte persone di sinistra, fra cui io stesso, per la guerra, lui si limitò a precisare: "Lo Stato in origine è e deve rimanere una macchina da guerra". Più chiaro di così.
Le nostre conquiste ed i nostri diritti valgono finchè non si mette in discussione il profitto dei ceti economicamente più forti.
E non perchè questi siano cattivi, è conveniente anche per le grandi società e multinazionali che tutti stiano bene, e del resto se il problema del capitalismo fosse che alcuni hanno di più ed altri meno, meritocraticamente (e non come accade oggi), quando a tutti si riconoscono i diritti base ed una sopravvivenza più che degna, non saremmo qui a discuterne.
Noi siamo qui a parlare di problemi perchè nel capitalismo è insito il concetto di prevaricazione e lotta e guerra, dal punto di vista materiale proprio.
La crisi di oggi non è dovuta solo agli azzardi di qualche banchiere, è una crisi del capitalismo (per la quale persino un cardinale tedesco scomoda Marx, per dire che in fondo aveva visto giusto sull'economia). E' una crisi di sovrapproduzione: la concorrenza dei prodotti cinesi, meno costosi dei nostri e che hanno preso in parte il posto dei nostri nei mercati più ricci (UE ed USA), incide sulle nostre forze produttive. Inevitabilmente. Nella concorrenza è insito questo concetto: qualcuno prevale, il mercato è finito e quindi qualcuno è destinato a crescere e qualcun altro a decrescere. Sarà sempre così.
La situazione non sarà mai stabile.
Il probelma è che nel momento in cui si descre a pagare il prezzo siamo e saremo noi, a partire dalle categorie più deboli per arrivare al ceto medio.
Non ci si scappa, è una questione di rapporti materiali.
Per me questa non è una gestione intelligente e moderna delle risorse umane, che oggi sono immense e consentirebbero di superare tantissimi problemi ove gestite nell'interesse della collettività e dei vari paesi e non nell'interesse del potere economico di questi paesi.
Le Monde poco tempo fa scriveva, con aria di rassegnazione, che "Una manovra di circa 50 volte meno costosa rispetto a quella con cui si sta cercando di salvare gli istituti di credito consentirebbe di superare la fame del mondo".
Perchè non viene fatto? Semplicemente perchè non è conveniente in un'ottica di mercato, e quindi le istituzioni non si muovo per realizzarla.
Di fatto, con il capitalismo siamo dominati dal mercato, le stesse multinazionali sono dominate dal mercato, e questo compromette i nostri diritti più elementari e le norme costituzionali nei momenti di crisi.
Quindi, per tornare al punto di partenza, non è una questione di cattiveria dell'uomo: è una questione di sistema economico ingestibile e di regole insite nel mercato, che portano e porteranno sempre a queste conseguenze.
L'illusione dell'URSS e delle dittature simili era quella di superare queste difficoltà nazionalizzando tutto in un solo paese, quasi che il problema fosse la proprietà privata del capitale e non l'esistenza del capitale in concorrrenza con gli altri: URSS, Cina e Cuba non sono paesi in cui le risorse vengono gestite nell'interesse della colletività, anche perchè questo non è possibile in un paese solo le cui relazioni sono fittissime con gli altri, ma sono o erano paesi in cui il capitale è di proprietà dello stato, trasformato in un'unica gigantesca azienda priva di concorrenti nel mercato interno ed incapace di reggere la concorrenza nel mercato esterno.