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Filosofeggiando!!!


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655 replies to this topic

#201 stan

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Inviato 09 giugno 2009 - 19:10

io per la mia tesina avevo veramente abusato di questo sito
http://www.filosofico.net/

sennò, c'era anche questa collana di libri "arancioni" editi da Laterza, che vedo spesso in giro in molte libreria (in particolare, quello che mi interessava (Adorno e la scuola di Francoforte) l'avevo avuto in prestito dal mio prof adoratore di sigari, adesso per me rimangono libri puzzolenti...)
http://www.ibs.it/co...duzione-bergson
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#202 Greed

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Inviato 09 giugno 2009 - 19:17

io per la mia tesina avevo veramente abusato di questo sito
http://www.filosofico.net/


Io ci trovo solo dei libri da comprare qui! C'è anche del materiale gratis in rete e non lo trovo?

Grazie comunque per i consigli!
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#203 stan

    Groupie

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Inviato 09 giugno 2009 - 19:28

si, ci sono due pagine prima di "entrare"...
qua c'è la funzione cerca
http://www.filosofico.net/filos1.html
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#204 Greed

    round control to major troll

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Inviato 09 giugno 2009 - 19:48

Grazie!
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#205 botty

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Inviato 09 giugno 2009 - 20:19

Il problema è che per fare roba di scuola TUTTI saccheggiano quel sito, secondo me i prof ormai lo conoscono a memoria asd
Per capire al meglio il rapporto tra Bergson e Proust il consiglio migliore che mi viene in mente è leggere il saggio sui dati immediati della coscienza dello stesso Bergson, anche se personalmente trovo tra i due meno analogie di quante uno potrebbe pensare in un primo momento (anche se mi smentiscono l'ampia letteratura e mitologia a riguardo)

p.s.: diciamo no a Pessina.
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#206 Greed

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Inviato 10 giugno 2009 - 10:47

anche se personalmente trovo tra i due meno analogie di quante uno potrebbe pensare in un primo momento (anche se mi smentiscono l'ampia letteratura e mitologia a riguardo)


Appunto! Parlano sempre di Bergson e Proust, ma adesso che sto cercando dei VERI collegamenti, al di là delle semplificazioni dei libri di testo, questi collegamenti non mi sembrano neanche così stretti.

EDIT: Bergson dice che tutti i ricordi della nostra vita sono presenti nella memoria, perlopiù in una dimensione inconscia, perchè questi ricordi non sono "utili" nella vita di tutti i giorni. Per caso parla anche di come questi ricordi inconsci possono tornare alla mente?
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#207 StellaDanzante

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Inviato 10 giugno 2009 - 16:02

Sono ancora qui, per la tesina del liceo (non l'ho ancora fatta ovviamente..).

Conoscete qualche libro o meglio sito internet che parla di Bergson, magari collegandolo con Proust?
Sul mio "fantastico" Fornero-Abbagnano Bergson lo fa davvero male, talmente male che è difficile capire come sia legato a Proust (che è quello che mi serve per la mia tesina).

Anche dei collegamenti con Agostino o La coscienza di Zeno non mi dispiacerebbero!


ciao,

Benché la tesina della maturità sia sostanzialmente una vaccata che non interessa a nessuno, credo che uno sforzo personale per trovare da soli i collegamenti tra gli autori sia necessario. Se questi collegamenti non esistono già fatti da qualcuno, semplicemente bisogna crearli.
Per fare questo, credo basti leggere un riassunto ben fatto del pensiero di ciascuno dei due autori (anche cominciare da Wikipedia credo funzioni). Se tu credi che vi sia un legame tra i due, puoi cercarlo e determinarlo ; se tu credi non ci sia, puoi in ogni caso abbandonare la strada.

Benché non sia un grande conoscitore di Marcel Proust, credo che il collegamento più diretto tra i due autori sia la concezione della coscienza come durata musicale. « La ricerca del tempo perduto » è una ricerca precisamente delle sequenze armoniche e melodiche che la vita ha seguito nel proprio passato, con l'idea di fondo che la coscienza sia un movimento piuttosto che un oggetto fisso.
La differenza essenziale tra i due autori è che Bergson pensava la memoria e il proprio passato come direttamente legati ad uno slancio verso il futuro, ponendo l'azione e la riflessione come due facce della stessa medaglia ; al contrario, Proust ha amplificato solo una delle due parti, quella della riflessione e dell'esplorazione del passato, senza terminare direttamente in un'azione. Si può dire che lo scopo di Bergson fosse politico o etico, mentre Proust ha esplorato più che altro il lato intellettuale.
E' senza dubbio a partire da « Materia e memoria » che il pensiero dei due autori diverge in modo più marcato ; il libro non è che una preparazione alle tesi dello slancio vitale nell' « Evoluzione creatrice » come compensazione alla chiusura verso il passato della prima opera.

Spero che questo possa averti aiutato a procedere nel tuo percorso.
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#208 Greed

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Inviato 10 giugno 2009 - 18:25

Certo che mi hai aiutato.
La tesina sembra una cosa facilissima ma poi mentre la fai ti vengono delle gran paranoie. Se fosse arrivato uno sconosciuto alla porta e mi avesse chiesto "parlami di Bergson e Proust", avrei fatto la tesina oralmente in 5 minuti.

Comunque l'argomento tempo-memoria è veramente qualcosa di molto vasto e interessante, e tocca tutte le materie. Io ho preso in esame in particolar modo la concezione del tempo dalla fine dell' Ottocento. Non ne uscirà fuori niente di particolarmente originale (soprattutto perchè non so molto della fisica e della filosofia più "scientifica"), ma è una buona sintesi (la mia prof di filosofia dice che sono "l'uomo che riesce a sintetizzare il mondo").
Grazie a tutti..ciao
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#209 botty

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Inviato 11 giugno 2009 - 00:55

Appunto! Parlano sempre di Bergson e Proust, ma adesso che sto cercando dei VERI collegamenti, al di là delle semplificazioni dei libri di testo, questi collegamenti non mi sembrano neanche così stretti.


Scusa non volevo fuorviarti... Il parallelo tra Proust e Bergson esiste ed è anche ben motivato (te l'ha spiegato Stella), nonché giustificato da migliaia di fattori storici e anche di semplice gossip (Bergson era sposato con una parente di Proust e ha manifestato più volte il suo apprezzamento nei suoi confronti), il problema è che questa connessione è basata su un'interpretazione secondo me un po' limitata della Recherche, nonostante sia quella che oggi è ritenuta ortodossa. Fermo restando che la Recherche è l'Iliade dell'uomo moderno, perché dentro c'è tutto (asd) e quindi ti dà qualcosa a qualsiasi livello, io trovo più soddisfacente un altro tipo di lettura (tra l'altro un mio amico mi ha fregato l'idea e vuole farci la tesi!) ma appunto è solamente come vedo io la questione.

Tra l'altro può servirti molto quello che ti ha fatto notare Stella Danzante e cioè che il legame con Proust è forte soprattutto nel primo Bergson ma comunque se la tua tesina è sul tempo troverai molte cose interessanti in tutta la sua bibliografia (e mi raccomando non tralasciare la "filosofia scientifica", non ci crederai ma per leggere in modo fruttifero materia e memoria ci vuole un sacco di fisica!)
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#210 Reynard

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Inviato 14 giugno 2009 - 21:05

A proposito di filosofi interessanti per quanto riguarda il tempo?
Io ho pensato Kant (che posso collegare anche alla fisica...almeno spero, perchè in fisica sono scarsino); Bergson, adattissimo per parlare anche di Proust e Joyce; poi anche Husserl dovrebbe andare bene, ma mi sa che non lo facciamo.
Altre idee?


Non so se può ancora esserti utile un consiglio a questo punto, te lo do lo stesso.
"L'irrealtà del tempo" di John McTaggart, edito dalla BUR.
McTaggart è un filosofo idealista inglese dei primi del '900, ora quasi dimenticato. La sua teoria del tempo, però, è rimasta lo standard di riferimento nella discussione sul tempo nella filosofia anglo-americana, non tanto per quanto afferma, quanto per il modo di impostare il problema.
L'aspetto interessante di questo volume è che contiene una amplissima introduzione che ripercorre la discussione sul tempo che si è avuta in questo ambito a partire da McTaggart, oltre ad una appendice che espone in maniera chiara la teoria del tempo di Husserl.
Secondo me è un tipo di impostazione che può risultarti utile ed interessante, specie per integrare quella proposta dai filosofi che hai citato, per ampliare un po' il campo insomma.
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La firma perfetta dev'essere interessante, divertente, caustica, profonda, personale, di un personaggio famoso, di un personaggio che significa qualcosa per noi, riconoscibile, non scontata, condivisibile, politicamente corretta, controcorrente, ironica, mostrare fragilità, mostrare durezza, di Woody Allen, di chiunque tranne Woody Allen, corposa, agile, ambiziosa, esperienzata, fluente in inglese tedesco e spagnolo, dotata di attitudini imprenditoriali, orientata alla crescita professionale, militassolta, automunita, astenersi perditempo.

#211 Greed

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Inviato 15 giugno 2009 - 10:46

Sono un po' in ritardo ora per ampliare e leggere, e poi odio l'idealismo  :D
Comunque lo terrò a mente e in futurò magari lo leggerò, dato che il pallino del tempo ce l'ho sempre.
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#212 maelstrom

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Inviato 21 settembre 2009 - 14:55

Una domanda molto off topic. Quando diavolo inziano le lezioni di filofia a padova?!
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#213 StellaDanzante

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Inviato 21 settembre 2009 - 19:11

Una domanda molto off topic. Quando diavolo inziano le lezioni di filofia a padova?!


Suppongo dovrebbero esserci ancora dei membri del forum iscritti a filosofia a Padova per rispondere a tale questione. Me e paggio essendo emigrati altrove, credo bisognerebbe aspettare una risposta di barkpsychosis ...
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#214 maelstrom

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Inviato 21 settembre 2009 - 19:35

Grazie comunque ;)
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#215 Greed

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Inviato 21 novembre 2009 - 14:48

"Gli psicologi che hanno studiato l'infanzia sanno bene che la rappresentazione del nostro io è all'inizio impersonale. E' a poco a poco, e a forza di induzioni che essa adotta il nostro corpo come centro e diviene la rappresentazione del nostro io" Bergson, Materia e memoria.

Mi potreste spiegare cosa vuol dire tutto ciò? Mi sento vagamente ignorante. Rappresentazione impersonale del nostro io?
La citazione l'ho trovata in un saggio su Gadda, quindi non so di preciso quale sia il contesto in cui Bergson parla di ciò.

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#216 frankie teardrop

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Inviato 21 novembre 2009 - 15:05

Mi sembra di capire che la questione riguardi la coscienza. Inizialmente, il bambino non ha coscienza del suo io: vive un rapporto di pura istintualità con la realtà circostante. Successivamente, "a forza di induzioni", il bambino entra in contatto con la realtà e, per opposizione, il suo io prende coscienza di se stesso.
Nel concetto di "induzione" è possibile rintracciare proprio il significato latino di "in-ducere", ovvero "entrare dentro", ma anche "portare verso di sè". In questo "entrare dentro" che è anche un "portare verso di sè", il bambino penetra nel mondo circostante e, contemporaneamente, lo porta dentro si sè, dando inizio alla differenza tra il suo io e la realtà circostante.
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#217 Greed

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Inviato 21 novembre 2009 - 15:09

Grazie  ;)
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#218 Reynard

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Inviato 23 novembre 2009 - 14:28

Mi sembra di capire che la questione riguardi la coscienza. Inizialmente, il bambino non ha coscienza del suo io: vive un rapporto di pura istintualità con la realtà circostante. Successivamente, "a forza di induzioni", il bambino entra in contatto con la realtà e, per opposizione, il suo io prende coscienza di se stesso.
Nel concetto di "induzione" è possibile rintracciare proprio il significato latino di "in-ducere", ovvero "entrare dentro", ma anche "portare verso di sè". In questo "entrare dentro" che è anche un "portare verso di sè", il bambino penetra nel mondo circostante e, contemporaneamente, lo porta dentro si sè, dando inizio alla differenza tra il suo io e la realtà circostante.


Bene la spiegazione della prima parte, un po' meno quella della seconda ("induzione" è un termine tecnico della logica, un tipo di ragionamento). "A forza di induzioni" significa nient'altro che il bambino arriva ad una rappresentazione del proprio io a partire da una serie di casi singolari, da cui forma man mano una idea generale, e non deducendolo da un concetto.

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#219 frankie teardrop

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Inviato 23 novembre 2009 - 14:36

In ogni caso, quando disco che "bambino penetra nel mondo circostante" sto semplicemente dicendo quello che affermi tu quando scrivi "il bambino arriva ad una rappresentazione del proprio io a partire da una serie di casi singolari, da cui forma man mano una idea generale, e non deducendolo da un concetto". Diciamo che le strade sono diverse, ma la meta è la stessa. 
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#220 Reynard

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Inviato 23 novembre 2009 - 14:51

In ogni caso, quando disco che "bambino penetra nel mondo circostante" sto semplicemente dicendo quello che affermi tu quando scrivi "il bambino arriva ad una rappresentazione del proprio io a partire da una serie di casi singolari, da cui forma man mano una idea generale, e non deducendolo da un concetto". Diciamo che le strade sono diverse, ma la meta è la stessa. 


E' il bisogno di darsi alla filologia quando la parola ha un comodo e chiarissimo significato standard, che è quello usato in questo contesto, che mi dà fastidio. Bergson è uno dei filosofi dalla scrittura più cristallina, non c'è bisogno di complicarlo.
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#221 frankie teardrop

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Inviato 23 novembre 2009 - 14:53

Ma io non voglio complicarlo. Ho cercato di interpretare senza alcuna presunzione il frammento. Figurarsi!
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#222 Reynard

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Inviato 23 novembre 2009 - 15:03

Si, scusa, è che divento incredibilmente pedante in certe occasioni.
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#223 frankie teardrop

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Inviato 23 novembre 2009 - 15:04

Tranquillo.  :-*
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#224 Greed

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Inviato 23 novembre 2009 - 20:27

Ma così non c'è gusto! Speravo che giungeste al litigio e al turpiloquio  :D
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#225 Neutral Rob Hotel

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Inviato 25 novembre 2009 - 15:17

(ho letto solo le prime pagine del topic... le altre le leggerò dopo...)
per adesso:

sto legendo in questi giorni l'elogio dela follia.. molto interessante...
il candido non l'ho apprezzato molto... questa vsione del modo per cui tutto va per il meglio non mi piace (e sinceramente candido mi sta anche un pò sulle balle :))...
schopenauer molto interessante così come hegel (nonstante le dure critiche del primo verso il secondo)... non apprezzo molto la filosofia precedente a kant...
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#226 mongodrone

    post-feudatario

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Inviato 25 novembre 2009 - 15:20

::)
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#227 debaser

    utente stocazzo

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Inviato 25 novembre 2009 - 18:14

il candido non l'ho apprezzato molto... questa vsione del modo per cui tutto va per il meglio non mi piace (e sinceramente candido mi sta anche un pò sulle balle :))...


???
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Codeste ambiguità, ridondanze e deficienze ricordano quelle che il dottor Franz Kuhn attribuisce a un'enciclopedia cinese che s'intitola Emporio celeste di conoscimenti benevoli. Nelle sue remote pagine è scritto che gli animali si dividono in (a) appartenenti all'Imperatore, (b) imbalsamati, c) ammaestrati, (d) lattonzoli, (e) sirene, (f) favolosi, (g) cani randagi, (h) inclusi in questa classificazione, (i) che s'agitano come pazzi, (j) innumerevoli, (k) disegnati con un pennello finissimo di pelo di cammello, (l) eccetera, (m) che hanno rotto il vaso, (n) che da lontano sembrano mosche.
 
non si dice, non si scrive solamente si favoleggia


#228 Greed

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Inviato 26 novembre 2009 - 14:32

il candido non l'ho apprezzato molto... questa vsione del modo per cui tutto va


Ma è proprio ciò che Voltaire critica. L'ottimismo e la convinzione di vivere nel migliore dei mondi possibili è un punto della filosofia di Leibniz che Voltaire "smonta" facendo capitare ogni genere di disgrazia a Candido. Ovviamente Pangloss è una grandissima presa in giro della filosofia di Leibniz  ;)
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#229 Neutral Rob Hotel

    aspirante indie

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Inviato 26 novembre 2009 - 16:40


il candido non l'ho apprezzato molto... questa vsione del modo per cui tutto va


Ma è proprio ciò che Voltaire critica. L'ottimismo e la convinzione di vivere nel migliore dei mondi possibili è un punto della filosofia di Leibniz che Voltaire "smonta" facendo capitare ogni genere di disgrazia a Candido. Ovviamente Pangloss è una grandissima presa in giro della filosofia di Leibniz  ;)


sisi lo so... il fatto è che anche sapendo tutto ciò che sta dietro il personaggio e l'intento di voltaire candido mi sta sulle balle... non c'è niente da fare... a "pelle" è così XD
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#230 freale

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Inviato 26 novembre 2009 - 17:24



il candido non l'ho apprezzato molto... questa vsione del modo per cui tutto va


Ma è proprio ciò che Voltaire critica. L'ottimismo e la convinzione di vivere nel migliore dei mondi possibili è un punto della filosofia di Leibniz che Voltaire "smonta" facendo capitare ogni genere di disgrazia a Candido. Ovviamente Pangloss è una grandissima presa in giro della filosofia di Leibniz  ;)


sisi lo so... il fatto è che anche sapendo tutto ciò che sta dietro il personaggio e l'intento di voltaire candido mi sta sulle balle... non c'è niente da fare... a "pelle" è così XD


Mi sa che quindi Voltaire c'ha preso anche con te asd, il suo fine era proprio quello di far star sulle balle Candido e con esso le teorie filosofiche di Leibniz
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#231 Greed

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Inviato 14 gennaio 2010 - 17:32

Ho cominciato a leggere Il mondo come volontà e rappresentazione

Tra la prefazione e i primi 3-4 paragrafi il vecchio Arturo dice almeno 10 volte che per leggere il libro in questione si dà come presupposto che il lettore abbia letto e conosca il saggio "Il principio di ragion sufficiente".

Ma lo devo proprio leggere? O posso cercare qualche spiegazione del testo in questione?
  • 0

#232 StellaDanzante

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Inviato 14 gennaio 2010 - 18:28

Come per tutti gli autori, leggere i testi antecedenti o precedenti può aiutare a chiarirti le idee su quanto scrive. Ciò nonostante, puoi benissimo leggerti « Il mondo... » senza doverti subire la storiografia del suo pensiero.
Se qualcosa ti pare chiaro o poco sviluppato, in ogni caso, puoi sempre andare a cercare quel testo citato.
  • 0

#233 Neutral Rob Hotel

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Inviato 17 agosto 2010 - 14:38

riportiamo in alto questo topic.... dunque ultimamente ho cominciato a leggere sartre (avevo intenzione di leggere la nausea ma visto che mio cugino ha una vera e propria biblioteca su sartre ho preso tutto quello che ho trovato)
per adesso ho letto solo "l'esistenzialismo è un umanismo" e devo dire che l'ho trovato molto comprensibile anche per un neofita...
per ocme l'avevo affrontato a scuola devo dire che sono rimasto stupito: il filo logico di sartre è impressionante e non è così complicato come mi avevano spiegato (anche heidegger è così comprensibile andando direttamente a leggere i testi???)
ora ho iniziato a leggere "difesa dell'intellettuale" (sono fermo alle prima 40 pagine di introduzione non ho ancora cominciato a leggere le conferenze)
  • 0

#234 ravel

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Inviato 17 agosto 2010 - 19:15

riportiamo in alto questo topic.... dunque ultimamente ho cominciato a leggere sartre (avevo intenzione di leggere la nausea ma visto che mio cugino ha una vera e propria biblioteca su sartre ho preso tutto quello che ho trovato)
per adesso ho letto solo "l'esistenzialismo è un umanismo" e devo dire che l'ho trovato molto comprensibile anche per un neofita...
per ocme l'avevo affrontato a scuola devo dire che sono rimasto stupito: il filo logico di sartre è impressionante e non è così complicato come mi avevano spiegato (anche heidegger è così comprensibile andando direttamente a leggere i testi???)
ora ho iniziato a leggere "difesa dell'intellettuale" (sono fermo alle prima 40 pagine di introduzione non ho ancora cominciato a leggere le conferenze)


La clarté è una tipica caratteristica proprio della lingua francese oltre che dello spirito francese (tanto che mi pare abbiano persino un motto che dice "se non è chiaro... non è francese").
Pensa anche a Descartes...

Comunque se provi a leggere - sempre di Sartre - L'essere e il nulla vedrai che lo troverai un po' meno immediatamente leggibile di un pamphlet come quello che hai letto...

Sartre non lo legge e non lo considera più nessuno (e non da oggi soltanto) ma è stato un pensatore molto importante (e soprattutto molto influente su altri autori, per loro esplicita ammissione).
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«Ciò che l'uomo può essere per l'uomo non si esaurisce in forme comprensibili».
(k. jaspers)

 

Moriremotuttista


#235 StellaDanzante

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Inviato 17 agosto 2010 - 22:57

La clarté è una tipica caratteristica proprio della lingua francese oltre che dello spirito francese (tanto che mi pare abbiano persino un motto che dice "se non è chiaro... non è francese").


Era una cosa detta da uno scrittore del 18esimo secolo, quando cioè il francese era la lingua diplomatica di tutte le corti d'Europa.
Peraltro Sartre è proprio del periodo in cui si stava rimettendo in questione tale concezione (assieme a Merleau-Ponty e alla fenomenologia post-heideggeriana). Ma Jarry scriveva molto prima di lui.

Sartre e Heidegger sono due filosofi dallo stile quasi opposto, il primo molto letterario e politizzato, il secondo poetico e oscuro. Li si legge dunque in modo molto diverso : Sartre abbastanza in fretta, anche perché si ripete molto e intercala le spiegazioni concettuali con degli esempi concreti ; Heidegger invece molto lentamente perché crea delle formazioni semanticamente molto dense, ma forse molto più chiare a livello intuitivo di quelle di Sartre. A condizione di aver compreso il loro ritmo di lettura, nessuno dei due mi sembra difficile da accostare.

In ogni caso Heidegger mi sembra molto più comprensibile in Essere e tempo che nella fase successiva del suo lavoro. E anche se non lo capisci è intrigante, quindi continui a leggerlo lo stesso. Consiglio di abbordarlo sulla versione italiana di Chiodi riveduta da Volpi che ti permette di entrare abbastanza nel vivo del modo di pensare dell'autore.
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#236 ravel

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Inviato 18 agosto 2010 - 15:01

A condizione di aver compreso il loro ritmo di lettura, nessuno dei due mi sembra difficile da accostare.


Aggiungerei - a questo breve "confronto" fra i due pensatori - un'altra osservazione che può avere una qualche influenza sulla loro lettura: mentre alla comprensione di Sartre è meno importante la conoscenza del contesto di formazione intellettuale e la prospettiva teorica generale nella quale inserisce il suo "progetto" filosofico, per Heidegger mi pare che sia molto più importante.
Heidegger è un autore molto legato (anche se ovviamente in senso "polemico" e "distruttivo") alla grande tradizione filosofica sia tedesca sia più genericamente occidentale e si perdono molti degli armonici di quel che voleva fare scrivendo Essere e tempo se non si conoscono abbastanza bene non soltanto Husserl - com'è ben noto - ma anche gli snodi filosofici fondamentali della "modernità".

Questo non per "spaventare" nessuno, tutt'altro, perché questa osservazione non impedisce - e non deve impedire mai - di leggerlo (lui come altri... ), perché comunque è sempre meglio cominciare...  ;)
Il resto, eventualmente, verrà da sé in seguito.
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#237 StellaDanzante

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Inviato 19 agosto 2010 - 09:27

Penso in realtà sia esattamente il contrario, per un semplice motivo : Sartre riutilizza tutto un linguaggio filosofico (quello delle « tre H » : Hegel, Husserl, Heidegger) già installato e parzialmente sedimentato in una tradizione, mentre Heidegger inventa il suo linguaggio direttamente nell'opera stessa, motivo per cui non c'è bisogno di andare altrove per capire il senso dei suoi concetti. Ho letto Essere e tempo 5 anni fa e l'ho compreso al volo, mentre Sartre l'ho dovuto rileggere un paio di volte prima di capire il tutto della questione.

L'Heidegger di cui parli credo invece corrisponda più che altro alla seconda fase del suo pensiero, dove in effetti non fa praticamente altro che passare in rassegna tutti gli autori classici della storia della filosofia occidentale in funzione della loro distanza più o meno grande rispetto alle sue intuizioni esposte in Essere e tempo. I libri su Kant o Nietzsche, per ovvie ragioni, diventano più interessanti se hai già masticato bene tali autori. Tale parte della sua riflessione presuppone allo stesso tempo la scrittura di Essere e tempo e una comprensione della struttura del pensiero degli autori trattati ; si ritorna quindi sempre alla sua opera principale, motivo per cui vale la pena di leggersela direttamente. Sarà in ogni caso la lettura stessa a dettare il proprio ritmo.
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#238 AzimuthCoordinator

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Inviato 19 agosto 2010 - 13:58

La filosofia è forse la mia più grande passione (insieme alla musica). Per la questione di Sartre ho trovato Essere e nulla un testo abbastanza lampante (ammettendo che fra le opere di Sartre è la più complessa), molto più dello sein und zeit di heidegger, che a dire il vero ho trovato molto ostico. Conosco molto meno invece l' heidegger post-esistenzialismo, e a parte le cosette lette sull' abbagnano grande non ho letto nulla. Qualcuno ha nominato quell' opera monumentale che è il "Nietzsche" di Heidegger, opera che sinceramente adoro: l' unica pecca è che trovo un po' fuorviante porre a fulcro dell' intera monografia "la volontà di potenza", opera (postuma peraltro) che, alla luce della questione nazificazione, risulta non certo il modo migliore per avvicinarsi al filosofo in questione.
Che l' inizio di Heidegger avesse molto in comune con Husserl è lampante, tant'è che le prime opere sono da molti accostate alle opere fenomenologiche di Husserl (mi sembra che lo confermò lo stesso Husserl che "la fenomenlogia erano lui e heidegger").
Sartre è lampante, è molto pratico e concreto, com'è stato detto ripete molte volte i concetti (l' in sè e per sè su tutti), ed è radicato nell' aspetto sociale e politico (soprattutto nella seconda parte dell' essere e nulla, quella meno nichilista e più marxista), Heidegger (essendo a mio avviso un vero anello di congiunzione fra un ontologo e un esistenzialista) risulta molto più "metafisico" rispetto a Sartre.

Si è accennato al mondo come volontà e rappresentazione, a mio avviso una delle più grandi composizioni (non di Nietzsche) della storia. Certo comprendere a fondo la tesi di laurea di Schopenhauer ("sulla qusdruplice radice del principio di ragion sufficiente") aiuta senza dubbio a delineare il concetto che sta alla base della wille zum leben e la differenza fra essa e ciò che sta "al di qua" del velo, cioè la rappresentazione. Ad ogni modo penso che il testo si possa leggere anche senza aver approfondito il testo precedente.

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#239 maelstrom

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Inviato 19 agosto 2010 - 14:02

Forse è meglio legger prima il mondo e poi la quadruplice radice
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#240 AzimuthCoordinator

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Inviato 19 agosto 2010 - 14:11

Forse è meglio legger prima il mondo e poi la quadruplice radice

In effetti potrebbe forse essere un' altra soluzione. Ad ogni modo sono molto connessi l' uno all' altro. Entrambi tuttavia possono a mio avviso essere letti di per sè. Comunque Schopenhauer è fra i miei filosofi preferiti. Se non altro per il simpaticissimo odio viscerale che nutriva per Hegel (che pure amo, però riconosco che sia vagamente presuntuoso  :)).
Per quanto riguarda l' antichità, uno dei miei testi preferiti di Platone (e stranamente misoconosciuto) è il Parmenide. Pilastro del tardo platone, la confutazione del teorema ontologico parmenideo è veramente "drammatica" (tant'è che viene definito "parmenicidio" o addirittura "parricidio"). Fantastico.

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#241 maelstrom

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Inviato 19 agosto 2010 - 14:18

Il parmenide è misconosciuto perché ad un primo sguardo sembra il dialogo più complicato di platore, si parla dell'uno, non della bellezza o dell'amore, non è come l'eutifrone, il simposio o il protagora che fra poco puoi leggerti in spiaggia.

Ed ad un livello più alto può sembrare un semplice esercizio di stile.
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#242 AzimuthCoordinator

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Inviato 19 agosto 2010 - 14:43

Vero, il sospetto che Platone si sia divertito a smontare dialetticamente Parmenide attraverso quasi (bestemmio?) un sofismo. Ad ogni modo è molto interessante il tardo Platone (quello delle categorie prime per intenderci). Hai ragione sui "classici" platoniani: ormai l' apologia di Socrate è come Agatha Christie, lettura da spiaggia XD
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#243 ravel

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Inviato 19 agosto 2010 - 14:49

Penso in realtà sia esattamente il contrario, per un semplice motivo : Sartre riutilizza tutto un linguaggio filosofico (quello delle « tre H » : Hegel, Husserl, Heidegger) già installato e parzialmente sedimentato in una tradizione, mentre Heidegger inventa il suo linguaggio direttamente nell'opera stessa, motivo per cui non c'è bisogno di andare altrove per capire il senso dei suoi concetti. Ho letto Essere e tempo 5 anni fa e l'ho compreso al volo, mentre Sartre l'ho dovuto rileggere un paio di volte prima di capire il tutto della questione.

L'Heidegger di cui parli credo invece corrisponda più che altro alla seconda fase del suo pensiero, dove in effetti non fa praticamente altro che passare in rassegna tutti gli autori classici della storia della filosofia occidentale in funzione della loro distanza più o meno grande rispetto alle sue intuizioni esposte in Essere e tempo. I libri su Kant o Nietzsche, per ovvie ragioni, diventano più interessanti se hai già masticato bene tali autori. Tale parte della sua riflessione presuppone allo stesso tempo la scrittura di Essere e tempo e una comprensione della struttura del pensiero degli autori trattati ; si ritorna quindi sempre alla sua opera principale, motivo per cui vale la pena di leggersela direttamente. Sarà in ogni caso la lettura stessa a dettare il proprio ritmo.


Il piano di Essere e tempo prevedeva una "seconda parte" diciamo così "storico filosofica" (della quale il Kant è un pezzo "riutilizzato" quando il progetto si arenò... ) e Heidegger parlava di una "distruzione della storia dell'ontologia" (cioè dell'intera tradizione occidentale), e anche nei corsi universitari di quegli anni non faceva altro che lavorare interpretando furiosamente (alla luce della sua nuova prospettiva) le filosofie del passato.
E' soltanto in questo senso che dicevo che conoscere quella tradizione (e le sue crux ontologiche fondamentali) aiuta in una comprensione allargata dell'opera.
La comprensione "esistenzialistica" - per così chiamarla - è indubbiamente più semplice e meno necessitante di altre conoscenze.
Ma è una lettura come minimo parziale (e - per l'autore che la detestava - addirittura fuorviante).

Invece io trovo assai meno complicato il cosiddetto "secondo Heidegger".
Dice sempre una (sola) cosa e sempre la stessa!  :D
In tutte le salse e varizioni possibili.

Lo paragonerei all'arte contemporanea che spaventa un sacco di persone mentre in genere ha dietro un'estetica molto "leggera" ed è spesso facilmente accostabile e fruibile.
Le stesse persone che poi vedono un quadro rinascimentale e - tranquillizzati dalla dimensione figurativa - sono convinti di avere di fronte un'opera perfettamente chiara e leggibile mentre in realtà (a causa della sua lontananza temporale da noi e dalla nostra cultura) spesso è irta di trabocchetti e allusioni oggi di difficile avvertimento.
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#244 AzimuthCoordinator

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Inviato 19 agosto 2010 - 15:04

Non posso che quotare sull' arte moderna/arte antica. Il simbolismo di certe tele rinascimentali è veramente blindato...altro che ermetismo.

Mi hai fatto venir voglia di approfondire il secondo Heidegger, lo farò. come dicevo non lo conosco enormemente.
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#245 StellaDanzante

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Inviato 19 agosto 2010 - 18:15

Il piano di Essere e tempo prevedeva una "seconda parte" diciamo così "storico filosofica" (della quale il Kant è un pezzo "riutilizzato" quando il progetto si arenò... ) e Heidegger parlava di una "distruzione della storia dell'ontologia" (cioè dell'intera tradizione occidentale), e anche nei corsi universitari di quegli anni non faceva altro che lavorare interpretando furiosamente (alla luce della sua nuova prospettiva) le filosofie del passato.
E' soltanto in questo senso che dicevo che conoscere quella tradizione (e le sue crux ontologiche fondamentali) aiuta in una comprensione allargata dell'opera.
La comprensione "esistenzialistica" - per così chiamarla - è indubbiamente più semplice e meno necessitante di altre conoscenze.
Ma è una lettura come minimo parziale (e - per l'autore che la detestava - addirittura fuorviante).

Invece io trovo assai meno complicato il cosiddetto "secondo Heidegger".
Dice sempre una (sola) cosa e sempre la stessa!  :D
In tutte le salse e varizioni possibili.

Lo paragonerei all'arte contemporanea che spaventa un sacco di persone mentre in genere ha dietro un'estetica molto "leggera" ed è spesso facilmente accostabile e fruibile.
Le stesse persone che poi vedono un quadro rinascimentale e - tranquillizzati dalla dimensione figurativa - sono convinti di avere di fronte un'opera perfettamente chiara e leggibile mentre in realtà (a causa della sua lontananza temporale da noi e dalla nostra cultura) spesso è irta di trabocchetti e allusioni oggi di difficile avvertimento.


Il rapporto tra l'Heidegger di Essere e tempo e il secondo Heidegger mi sembra lo stesso tra un compositore che ha creato l'opera della sua vita seguendo un'ispirazione del momento fino alla fine e quello stesso compositore che, dopo la brusca interruzione dell'ispirazione, passa il resto della sua vita a cercare vano di ritrovarla, fino ad arrivare persino a rinnegare la potenza di quello che è stato generato in un unico momento d'ispirazione.

Non dico che le ricerche etimologiche sul senso dell'essere o sul concetto della libertà non siano utili o interessanti, ma una buona parte delle pagine del secondo Heidegger non hanno la stessa qualità o intensità di una sola delle pagine di Essere e tempo. Dà quasi l'idea di un filosofo che abbia scoperto una delle piste più feconde (probabilmente la più feconda) di tutto il pensiero del XX secolo, ma che ad un certo punto si è spaventato davanti a quello che aveva scritto e ha passato il resto della sua vita a rinnegare quello che era accaduto, lasciando dunque ad altri filosofi il compito di portare a termine quello che aveva cominciato. Il secondo Heidegger in verità è Sartre, Derrida, Foucault, Merleau-Ponty, Lévinas, Agamben, Gadamer, Nancy, Sloterdijk e molti altri.

Il mio consiglio per il « neofita » è di non avere paura e di gettarsi immediatamente su Essere e tempo. Magari non ci capisci nulla all'inizio, ma l'intensità della scrittura ti lascerà un segno indelebile che rimediterai probabilmente per lungo tempo.
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#246 AzimuthCoordinator

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Inviato 20 agosto 2010 - 11:10

Dà quasi l'idea di un filosofo che abbia scoperto una delle piste più feconde (probabilmente la più feconda) di tutto il pensiero del XX secolo

vero. Il solo concetto di cura distrugge tutta l' ontologia classica da Aristotile in poi.
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#247 eugenio_barba

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Inviato 04 ottobre 2010 - 13:46

Ciao a tutti!
leggevo in questi giorni frammenti di Parmenide e qualcosa in generale sui presocratici per mia curiosità.
credo mi sia sfuggito un passaggio nell'elaborazione della via della verità: se l'ente, "cio che è", è pura astrazione e fondamento logico, in che modo si verifica la manifestazione del mondo sensibile/ingannevole che egli contesta?
forse resta un'aporia irrisolta, ma preferisco chiedervi aiuto  ;)
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#248 signora di una certa età

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Inviato 04 ottobre 2010 - 14:49

non puoi chiedere troppo a Parmenide
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In realtà secondo me John Lurie non aveva tante cose da dire... ma molto belle


#249 Reynard

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Inviato 21 febbraio 2011 - 17:44

Continuo da qui

Beh, il saggio Ritornare a Parmenide vide un grande dibattitto tra Bontadini e Severino, con il secondo contestato ma non sorpassato a sinistra. Bontadini ripercorreva la storia della filosofia in un maniera più ortodossa...e questo, ovviamente, lo rendeva più convincente, più tranquillizzante. E, infatti, nel Poscritto a quel saggio del '64, Severino continuava tranquillamente per la sua strada, senza essersi mimimamente piegato, perché le sue posizioni erano solide. L'esperienza non riesce ad attestare il non-essere...e, dunque, si rifugia nel convincimento che qualcosa che muore...finisca nel nulla...quando è contraddittorio che l'essere non sia...E' dall'apparire, dal suo palcoscenico, che quel determinato ente si discosta. Etc. etc...


La sua è una ipotesi audace, netta e affascinante... ma che sia "solida" ho i miei dubbi. In effetti, scavando sotto la superficie cominciano ad esserci dei nodi problematici che mi pare non riesca a sciogliere.


[Premetto che di Severino ho letto poco. Ma visto che non ho intenzione di criticare in toto il suo pensiero ma solo di esprimere i miei dubbi sull'ipotesi neo-parmeninedea, ritengo sia sufficiente. Se poi, testi alla mano, riesci a dirmi se e come ha risolto quei nodi, tanto meglio]

In apparenza l'ipotesi è semplice. Solo l'essere può essere pensato, pensare il non essere è contraddittorio. Ma ammettere il divenire, cioè ammettere che le cose vengono dal nulla e scompaiono nel nulla, è pensare il non essere, è una contraddizione. Tutto ciò che avviene è l'apparire dell'ente e il suo discostarsi dall'apparire.

Troppo semplice, ed infatti a mio avviso non funziona. Se il suo scopo è quello di eliminare la contraddizione inerente al divenire, cioè l'affermazione del non essere, credo che non raggiunga in pieno lo scopo.

Innanzitutto, se il suo scopo è quello di eliminare la contraddizione inerente al divenire, non è poi così opposta alle mosse principali della filosofia post-parmenidea, quella di Platone, quella di Aristotele. Entrambi infatti hanno cercato di eliminare la contraddizione dell'ammettere un non essere riconducendo, in vari modi, il divenire all'essere, eliminando la necessità di riferirsi al ??non essere? per definirlo. Il non essere come differenza, in Platone. L'essere che si dice in molti modi, in Aristotele. La priorità ontologica dell'atto, sempre in Aristotele. Il punto è sempre quello: spiegare l'APPARENZA dell'arrivo dal nulla e della scomparsa nel nulla come articolazioni interne all'essere. Insomma, un parmenidismo ??moderato?. Né questo tipo di mossa di limita alla filosofia antica: è alla base del pensiero di Spinoza. In un certo senso, anche di quello di Leibniz e persino di Hume. E' presente nel Novecento: la teoria del cambiamento di Russell, o il Wittgenstein del ??Tractatus?. (Fra l'altro Severino non è né il primo né l'unico, nel Novecento, a negare il divenire, né quello che l'ha fatto con la tecnica argomentativa più raffinata: mai sentito parlare di McTaggart?).

A mio avviso (potrei sbagliarmi) anche quello di Severino è un ??parmenidismo? moderato. Ripeto, forse mi sbaglio, ma già il fatto che parli di ??ente? lo discosta dal puro Parmenide. Infatti in questo non c'era solo la negazione del divenire, ma anche la negazione delle differenze. Già dire che una cosa non è un'altra è DIRE il non essere (che poi sia anche PENSARE il non essere, è un altro paio di maniche... per me è qui che Parmenide cade e Platone trionfa, ma lasciamo perdere...).
Ma pure tralasciando questo, c'è il fatto che, anche se le cose non vengono dal nulla e non scompaiono nel nulla, comunque APPAIONO e SI DISCOSTANO dall'apparire. E questo è un divenire. Non si nullifica l'ente, ma si nullifica l'apparire dell'ente. E, per essere coerenti e solidi, bisognerebbe comprendere anche l'apparire nell'essere (oppure, mostrare un modo di ridurre l'apparire all'essere, eliminando il linguaggio dell'apparire che porta con sé l'impressione di divenire: magari per scarsa conoscenza, ma non ho mai trovato questa riduzione in Severino. Tu che mi sai dire?).
La domanda è semplice: se solo l'essere è, e il non essere non può neppure essere pensato, DA DOVE viene l'impressione del passaggio dal non essere all'essere (e viceversa)? E, a monte, come è possibile che ??venga? un'impressione? Voglio dire, pure se l'apparire non è nulla di sostanziale ma solo un modo di vedere le cose, come può esserci un modo di vedere le cose che sia diverso dalle cose?

Per dirla in altro modo: l'apparenza del divenire è un qualcosa con cui il filosofo deve scontrarsi. Pure se lo fa negando la presupposizione di non essere che A PRIMA VISTA sorregge l'idea di divenire, e parafrasando il tutto in termini di essere (che è ciò che fanno Platone e Aristotele, tutto sommato), comunque la sua teoria deve spiegare precisamente come le cose appaiono venire dal nulla e appaiono scomparire nel nulla. Severino non fa niente di diverso da questo, e a mio avviso lo fa in maniera poco approfondita. (Si, le cose si discostano dall'apparire: come si riconduce questo mutamento all'essere eliminandone il non essere? Diciamo pure che è solo il nostro sguardo che si discosta dalle cose: la domanda rimane).

Questo è particolarmente pressante nel caso della prospettiva individuale, umana, che vede il divenire e lo soffre come una questione esistenziale (anzi: LA questione esistenziale per eccellenza). Sia pure che il ??divenire? delle cose non sia altro che un accostarsi e un discostarsi dal loro apparire: questo è proprio ciò che più  preme. Dal mio punto di vista, il mondo inizia con la mia nascita, e finisce con la mia morte. Diciamo pure che in realtà con la mia morte nulla svanisce, solo che non è più disponibile al mio sguardo. Ma allora c'è qualcosa che svanisce: il mio sguardo. E questo per me è TUTTO.
In effetti su questo Severino ha qualcosa di interessante da dire. Il convincimento che alla base del rapporto occidentale col divenire, dei tentativi di superarlo con la posizione di vari ??assoluti?, fino all'esito nichilistico del dominio tramite la tecnica, ci sia una angoscia esistenziale per lo svanire nel nulla, è un'analisi molto penetrante. Ma che questa angoscia possa essere risolta dal ritorno a Parmenide, non mi pare. Così come non mi pare che tutte le mosse successive di gestire il divenire nascono semplicemente dal fatto di aver abbandonato la risposta parmenidea: se è stata abbandonata, a mio avviso, è perché è insufficiente. Pensare un essere che allontana da sé ogni non essere non risolve per nulla il problema della MIA nullificazione.

Le uniche filosofie che conosco che riesco davvero a eliminare e il divenire, e le differenze, andando al nocciolo del problema, sono certe filosofie orientali. Sankara, ad esempio, più ancora il Buddhismo. In esse non solo la realtà è unica (mentre le differenze e le ??dualità? sono solo apparenti), ma essa comprende nella sua unità anche le apparenze. Quando viene sospeso il pensiero duale e viene pensata l'unità, non è che le cose della percezione e del pensiero comune svaniscano, TUTTO RIMANE LI' COSI' COM'ERA. Quel che svanisce è l'assenso verso alcune cose e la negazione dell'assenso verso altre. Persino le stesse differenze e apparenze rimangono, l'unica cosa che perdono è la loro assolutezza. C'è qui, secondo me, una affermazione della pienezza dell'essere che non ha eguali. Persino l'apparire è ricondotto a questa pienezza. Il punto in cui l'apparire diventa illusione e perde di vista la pienezza è nel linguaggio, o meglio: nell'atto di asserire.
Visto che il nodo problematico è proprio il linguaggio, questo tipo di filosofi cerca la soluzione in una formulazione linguistica che cerchi di superare la tendenza naturale del linguaggio a dividere, ad asserire e a negare. Il punto non è dire la realtà con altre parole, diverse da quelle dell'apparenza: ma è dirla senza affermare né negare alcuna delle caratterizzazioni particolari, e affermandole e negandole tutte.
Qualsiasi cosa si pensi di questo punto di vista, direi che va veramente al cuore del problema. Negare il divenire nell'essere per spostarlo sul piano dell'apparire sposta soltanto la questione (Che cosa E', l'apparire? E se l'apparire NON E', perché appare?). Qui invece essere e apparire (per applicare due concetti occidentali a un pensiero di tipo diverso, ma è per capirci) sono salvati (e riuniti) entrambi, ciò che viene negata è, appunto, solo la loro divisione.

E qui, ultimo dubbio su un ritorno a Parmenide. Alla base della sua teoria c'è una identificazione tra pensiero e linguaggio. DIRE il non essere equivale a PENSARE il non essere. E inoltre, tra pensiero e realtà: può essere pensato solo ciò che è. Il punto problematico è prendere per buono il linguaggio, quando (magari) è proprio lì che si annida la contraddizione. Fare un'affermazione, infatti, dire che qualcosa E' o che qualcosa E' COSI', potrebbe essere visto come contenere in sé i germi del non essere (perché, per dire che qualcosa è, in un certo senso devi separare il qualcosa dal suo essere, in un certo senso si evoca lo spettro del non essere). In parole povere, quando con Parmenide si afferma che solo l'essere è, a mio avviso, si potrebbe venire a creare proprio una situazione senza uscita, perché si cerca di escludere un ??pensiero? impensabile, inaccettabile e contraddittorio, attraverso un atto (quello di affermare, e quindi in un certo senso di DISTINGUERE), che pone in gioco proprio questa inaccettabile distinzione. Per dirla ancora più semplicemente: se il problema, a monte dell'apparire, del discostarsi delle cose (o del nostro sguardo) dall'apparire, dell'idea che le cose vengano dal nulla e scompaiono nel nulla etc., fosse proprio nell'affermare, cioè nel linguaggio?
E quindi, se invece che essere l'idea del divenire ad essere inadeguata a un pensiero non contraddittorio dell'essere, fosse un pensiero legato al linguaggio (e specie al linguaggio dell'affermare, che vuole allontanare da sé ogni contraddizione) ad essere inadeguato a pensare correttamente il divenire (cioè a pensarlo senza dividerlo in essere e non essere)?
Se, a farla breve, l'adozione di un linguaggio parmenideo, invece che essere la soluzione fosse la causa del problema?
Ammetto di non sapere cosa dice Severino sul linguaggio. Ma in quel poco che ho letto non ho trovato nulla che dissipasse i miei dubbi. Non nego che la sua sia una ipotesi percorribile, ma: 1) non mi pare venga percorsa molto a fondo (non mi pare che Severino discuta parecchio i problemi ontologici, gnoseologici e linguistici legati alla sua ipotesi... almeno al confronto con altri ??parmenidei? come Spinoza), e 2) non mi pare possa escludere tutte le ipotesi concorrenti.

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La firma perfetta dev'essere interessante, divertente, caustica, profonda, personale, di un personaggio famoso, di un personaggio che significa qualcosa per noi, riconoscibile, non scontata, condivisibile, politicamente corretta, controcorrente, ironica, mostrare fragilità, mostrare durezza, di Woody Allen, di chiunque tranne Woody Allen, corposa, agile, ambiziosa, esperienzata, fluente in inglese tedesco e spagnolo, dotata di attitudini imprenditoriali, orientata alla crescita professionale, militassolta, automunita, astenersi perditempo.

#250 Guest_Michele Murolo_*

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Inviato 21 febbraio 2011 - 19:33

La totalità cui guarda Severino è già oltre Bontadini. Il tuo modo di ragionare vorrebbe evidenziare un debito verso Bontadini, quando, in realtà, Severino parte da Parmenide, passa per Heidegger e arriva dove arriva.

Mah questa me la devi spiegare, dal punto storiografico non la vedo molto sensata, non so quanto Severino aveva presente Heidegger negli anni '50/'60(per dire Evola negli anni '50 lo considerava esistenzialista, così come Sofia Vanni Rovighi, l'autrice del libro Storia della filosofia moderna, quindi non so quanto Heidegger fosse stato letto/compreso nella sua intera portata)

Bontadini è già superato nel saggio "Ritornare a Parmenide", con tanto di "Poscritto"

Si ma ripeto, se c'è una cosa che odio è il verbo superare in filosofia...mi spiego meglio, verbo che appunto non credo affatto casuale, non dico che l'hai usato male, anzi hai scelto il più corretto. Superare rimanda al clima fortemente idealistico(di Bontadiniana memoria, essendo il clima della sua formazione molto influenzato dall'attualismo gentiliano) tipico di un modo di fare filosofia secondo me molto problematico, se fosse così facile superare i filosofi faremmo scienza e non filosofia, cosa c'è più comodo dell'atteggiamento hegeliano(ad esempio) di superare le posizioni precedenti(il tipico processo Kant/Fichte/Schelling/Hegel)...se fosse tutto così facile si studierebbe l'ultimo arrivato come summa di tutto quello che arriva prima, invece le cose sono molto più complesse.

Fornire materiali per altre filosofie non è necessariamente un merito

Si però visto che il possedere le verità è diciamo passato un pò di moda ci si accontenta della ricerca(che rimane sempre orientata alla verità) ed è indubbio che fornire spunti nuovi è sempre un gran bene(forse meglio di risolvere le vecchie domande, ammesso che qualcuno ci sia mai riuscito)

Ne deduco che tu non abbia letto gli ultimi suoi lavori...

No, sinceramente non ho tempo da buttare via, visto che oggi ho contato 11 suoi libri(della stessa collana!) scritti negli ultimi 10 anni, se hai voglia di consigliarmi 1/2 libri sono contento ma tutti non ho il tempo di leggerli(non sono Scaruffi)

ma piena di sentieri da esplorare.

Quali?
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